venerdì 31 marzo 2017

Vedono solo l'irreale - Gurdjieff

È interessante notare a questo proposito che gli esseri del continente Atlantide, un continente in seguito scomparso, conoscevano ancora il secondo frammento del loro pianeta e anch'essi lo chiamavano "Anulios".
Ma gli esseri degli ultimi periodi d’esistenza di questo continente, nella presenza dei quali si erano già cristallizzati e integrati gli effetti delle conseguenze delle proprietà dell'organo kundabuffer, lo chiamavano "Kimespai", cioè letteralmente "che-non-lascia-dormire".
Gli attuali esseri tricerebrali di quest'originale pianeta ignorano quell'antico frammento perché la sua relativa piccolezza e la sua distanza dalla Terra lo rendono inaccessibile alla loro vista, e perché nessuna "nonna" ha raccontato loro che nel buon tempo antico quel piccolo "satellite" del pianeta era ben conosciuto.
E quei pochi che, attraverso un giocattolo eccellente ma assai puerile chiamato "telescopio", per caso lo intravedono, non gli prestano la minima attenzione e lo scambiano semplicemente per un grande "aerolito".
D'altra parte è probabile che gli esseri attuali non lo vedano mai più, poiché alla loro natura è diventata inerente la proprietà di vedere soltanto l'irreale.
Rendiamo loro questa giustizia: negli ultimi secoli si son meccanizzati talmente "ad arte" da non veder più nulla di reale.


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, p 77

Sul moto perpetuo - Gurdjieff

«Mi trovavo un giorno in una città dov'erano esposti "modelli" di ogni genere e innumerevoli "progetti" di meccanismi per il moto perpetuo. Che cosa non si poteva vedere! Che macchinari tortuosi e complicati ho avuto l'opportunità di osservare! In ognuno dei congegni che avevo sotto gli occhi c'erano più trovate e più artifizi di quanti ce ne siano in tutte le leggi della creazione del mondo e dell'esistenza del mondo messe insieme.
Negl'innumerevoli modelli e progetti che vidi allora notai che l'idea dominante era quella di trar profitto dalla "forza del peso", vale a dire che un meccanismo complicatissimo doveva sollevare un certo peso, la cui caduta rimetteva in moto tutto il meccanismo, che a sua volta faceva rimontare il peso, e così via...
Il risultato fu che migliaia di quegl'infelici dovettero esser rinchiusi nei cosiddetti "manicomi" mentre altre migliaia, persi nel sogno, trascuravano del tutto le obbligazioni esseriche stabilitesi più o meno bene nel corso dei secoli, o le mettevano in pratica nel modo peggiore.
Non so come sarebbe finita la cosa se un essere già del tutto rincitrullito e in declino, uno di quelli che loro chiamano "vecchi rimbambiti", e che aveva acquisito laggiù coi trucchi del mestiere un certo credito, non avesse "provato", con calcoli noti a lui solo, che inventare il moto perpetuo era assolutamente impossibile.


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 66-67

Sottomettersi alle forze superiori - Gurdjieff

Nel nostro caso, mio caro capitano, approfitterò d'una di esse. In una situazione come questa, egli avrebbe detto probabilmente:
"Non è possibile saltare più in alto delle proprie ginocchia, ed è assurdo cercare di baciarsi i gomiti".
Io le dico la stessa cosa e aggiungo che non c'è niente da fare, mio caro capitano; quando un avvenimento causato da forze incommensurabilmente superiori alle nostre si presenta, è d'uopo sottomettersi.
[..]
Poco fa, se ben ricordi, ha detto che non bisogna opporsi a forze superiori alle nostre; e ha aggiunto che non solo non bisogna opporsi, ma bisogna sottomettersi ed accettare i loro risultati con venerazione, lodando e benedicendo nelle sue divine opere la provvidenza del Signore Nostro Creatore.


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 54-56

Il racconto di Karapet di Tiflis - Gurdjieff

Circa trenta o trentacinque anni fa, il deposito della stazione ferroviaria di Tiflis aveva una "sirena a vapore".
Ogni mattina la sirena svegliava gli operai della strada ferrata e gli impiegati del deposito. Ma siccome la stazione di Tiflis si trovava su una collina da cui il fischio raggiungeva quasi tutti i quartieri della città, non svegliava solo gli impiegati delle ferrovie ma anche l'altra gente. Mi sembra anzi che l'amministrazione municipale di Tiflis avesse avuto con l'amministrazione delle ferrovie uno scambio epistolare relativo al disturbo arrecato al sonno mattutino di pacifici cittadini.
L'obbligo di far funzionare la sirena era stato affidato proprio a Karapet, allora impiegato al deposito. Al mattino appena arrivato, prima di tirare la corda che azionava il fischio, costui sventagliava le braccia in tutte le direzioni e gridava solennemente, a pieni polmoni, come un mullah maomettano dall'alto del suo minareto:
«Tua madre è una... uhm! Tuo padre è un... uhm! Tuo nonno è il più grande... uhm! Che i tuoi occhi, il tuo naso, il tuo fegato, la tua milza, i tuoi calli., uhm!» In una parola, scagliava tutt'intorno le ingiurie peggiori che conosceva, e soltanto quando aveva finito impugnava la corda della sirena.
Avendo sentito parlare di Karapet e della sua abitudine, una sera decisi di andarlo a trovare dopo la fine del lavoro, portandomi dietro una botticella di vino di Cacezia; e dopo aver fatto "il rituale dei brindisi" ancora d'uso in quei paesi, gli chiesi – utilizzando la forma suggeritami dal codice di cortesia locale, s'intende – il motivo del suo modo d'agire.
Tracannò d'un colpo il suo bicchiere, e dopo aver intonato un famoso canto conviviale indispensabile in Georgia in simili circostanze – «Rimpinziamoci fino al collo, amici» – mi rispose senza fretta.
«Lei non beve il vino alla maniera moderna, e cioè solo per le apparenze; lei beve in maniera franca e onesta. Questo mi dimostra che se cerca i motivi del mio usuale comportamento non lo fa per semplice curiosità, come gl'ingegneri e i tecnici che mi perseguitano con le loro domande, ma lo fa perché veramente desidera sapere; e perciò io voglio – anzi, considero in tutta franchezza che devo – confessarle onestamente le scrupolose riflessioni che mi hanno condotto a comportarmi così.
In passato lavoravo al deposito come manovale nei turni di notte e dovevo lavare le caldaie delle locomotive. Dopo l'installazione di questa sirena a vapore, il capo-deposito, certamente considerando la mia età e quindi la mia crescente incapacità a svolgere mansioni pesanti, mi assegnò come compito unicamente l'obbligo di venire mattina e sera, a ora fissa, ad azionare il fischio.
Fin dalla prima settimana dopo l'assunzione nel mio nuovo servizio, notai che dopo aver eseguito il mio compito per una o due ore mi sentivo piuttosto a disagio.
Era uno strano sentimento... Cresceva di giorno in giorno, e finì per trasformarsi in un'angoscia istintiva che mi faceva perdere l'appetito persino per la zuppa di cipolle. Ci pensavo e ci ripensavo senza sosta, e cercavo di indovinarne la causa.
Ruminavo il mio problema con particolare intensità quando mi recavo al lavoro e quando me ne tornavo a casa.
Ma nonostante tutti i miei sforzi non riuscivo a trovare nessuna spiegazione, neanche approssimativa.
Le cose andarono avanti così per quasi sei mesi, e quando già avevo i calli alle mani a forza di tirare la corda della sirena, improvvisamente per un caso stranissimo riuscii a comprendere che cosa stava accadendo.
Lo shock che mi portò a una corretta comprensione e a un pieno convincimento fu provocato da un'esclamazione che udii nelle circostanze, davvero strane, che le racconterò.
Me ne andavo una bella mattina verso il mio deposito, senza aver dormito molto perché avevo passato una parte della notte da certi vicini a festeggiare il compleanno della loro nona figlia, e l'altra parte a leggere un libro, raro e molto interessante, che mi era capitato in mano per caso ed era intitolato Sogni e Magia. Mentre mi stavo affrettando alla volta della sirena, scorsi improvvisamente all'angolo della strada un infermiere di mia conoscenza, dipendente del servizio sanitario municipale, che mi fermò con un cenno.
La funzione di quest'infermiere consisteva nel percorrere a ore fisse le strade del paese, insieme con un aiutante che spingeva un carretto appositamente attrezzato, e nel catturare al passaggio tutti i cani randagi che non avevano al collare la targhetta metallica comprovante il pagamento della tassa municipale alla città di Tiflis. In seguito egli portava i cani al macello, dove venivano custoditi per due settimane a spese della città e nutriti coi resti della macellazione. Se durante questo periodo non erano stati reclamati dai loro padroni e se la tassa non era stata pagata, i cani, con una certa solennità, venivano inoltrati verso un'uscita che conduceva direttamente a un forno speciale.
Poco dopo dall'altro lato di questo notevolissimo forno, con un incantevole gorgoglio e gran vantaggio del nostro comune, colava fuori una certa quantità di grasso, di purezza ideale e trasparenza perfetta, destinato alla fabbricazione di sapone e forse anche di qualcos'altro; e inoltre si riversava all'esterno, fra diversi rumori altrettanto incantevoli, una gran quantità di sostanze molto utili per la concimazione.
Il mio amico infermiere acchiappava i cani con un procedimento semplicissimo e molto ingegnoso.
Egli si era procurato una vecchia rete da pesca di grande ampiezza, che portava ripiegata in un certo modo sulla potente spalla nel corso delle spedizioni intraprese a beneficio dell'umanità nei quartieri malfamati della nostra città, e quando un cane "senza passaporto" cadeva nel campo percettivo dei suoi occhi onniveggenti e terribili per tutta la stirpe canina, lui, senza fretta, si avvicinava silenziosamente al cane con l'agilità di una pantera, e cogliendo il momento in cui l'animale mostrava interesse o affezione per qualcosa, gli gettava addosso la rete e lo avviluppava abilmente; poi, tirando a sé il carretto, allentava il viluppo in modo che il cane ne uscisse per entrare direttamente in gabbia.
Al momento di fermarmi, l'amico infermiere stava appunto sorvegliando una vittima, cioè spiava il momento opportuno per gettare la rete su un cane che scodinzolava davanti a una cagna.
Quando stava per compiere il gesto fatale, la campana della chiesa vicina si mise improvvisamente a suonare per chiamare gli abitanti alla messa del mattino.
Spaventato dai rintocchi inattesi che rompevano il silenzio mattutino, il cane diede un balzo di lato e fuggì di volata, ventre a terra, lungo la via deserta.
L'infermiere, scosso da capo a piedi da una furia terribile, gettò la rete sul marciapiede, e sputando sopra la spalla sinistra urlò: "Ah, per tutti i diavoli! Proprio adesso doveva suonare!"
 Appena l'esclamazione dell'infermiere ebbe raggiunto il mio apparato riflessivo, molti pensieri mi si affollarono in testa, e mi condussero infine a una visione secondo me corretta della ragione per cui ero preda di quell'angoscia istintiva.
Subito dopo la scoperta provai una forte contrarietà per il fatto che un'idea così semplice e limpida non mi fosse mai venuta in mente prima.
 Sentivo con tutto l'essere che il mio intervento nella vita pubblica non poteva che portare al risultato di quella sensazione che la mia presenza subiva ormai da sei mesi.
In effetti, qualsiasi uomo strappato al suo dolce sonno mattutino dall'urlo infernale della sirena a vapore non poteva astenersi dal riversare le sue ingiurie, per dritto e per traverso, su di me ch'ero la causa di quell'infernale cacofonia – e questo faceva indubbiamente confluire verso la mia persona le vibrazioni di numerosi malauguri da tutte le parti.
 Quel famoso giorno, dopo aver compiuto il mio dovere, andai a sedermi nell'osteria vicina in preda alla mia solita angoscia. Mentre mangiavo il mio spuntino, riflettevo; e giunsi alla conclusione che se avessi anticipatamente ingiuriato tutti quelli che parevano fortemente disturbati dal mio servizio, costoro, trovandosi nella "sfera dell'idiozia" cioè, secondo il libro che avevo letto la notte precedente, nel dormiveglia, avrebbero potuto insultarmi a volontà senza che questo avesse su di me alcun effetto.
E devo dire che da allora non ho mai più sentito quell'angoscia istintiva».


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 44-47

Il signor Belzebù come eroe - Gurdjieff

Per le mie opere ho intenzione di scegliere come eroi alcuni tipi che, o di riffa o di raffa, siano percepiti come reali, per cui dovrà cristallizzarsi nel lettore la nozione che ognuno di essi è "qualcuno" e non "uno qualsiasi".
Durante queste ultime settimane, mentre ero ancora a letto fisicamente stremato e abbozzavo mentalmente il programma delle mie opere, meditando sulla forma e sull'ordine di esposizione, decisi che l'eroe principale della prima parte sarebbe stato... sapete chi?... il grande Belzebù in persona.
E ciò, naturalmente, malgrado il fatto che sin dall'inizio la mia scelta potrebbe provocare nel pensiero della maggioranza dei miei lettori tali associazioni di idee da suscitare in loro ogni sorta di impulsi automatici contraddittori, prodotti da un insieme di dati formatisi necessariamente nel loro psichismo per le anormali condizioni di vita esteriore degli uomini, e cristallizzatisi in essi grazie alla loro famosa "morale religiosa". E tutto ciò non mancherebbe di tradursi in una inesplicabile ostilità nei miei confronti.

Sapete una cosa, miei cari lettori?
Se nonostante il mio avvertimento volete rischiare di conoscere il resto di quest'opera, sforzarvi di assimilarla con uno spirito di imparzialità e comprendere la vera essenza delle questioni che intendo chiarire, allora – per tener conto della particolarità psichica innata nell'uomo, secondo cui questi non si oppone a percepire il bene solo se stabilisce un legame di mutua sincerità e fiducia – desidero confessarvi sin d'ora in tutta franchezza quali associazioni sono scattate in me, costituendo poco a poco nella sfera appropriata del mio stato conscio i fattori che hanno suggerito alla mia individualità di scegliere come eroe di quest'opera un Individuo come il Signor Belzebù, con tutto quel che rappresenta per voi.
La mia decisione non è priva di astuzia, e la mia astuzia consiste semplicemente nel calcolare che, se gli concedo un'attenzione simile, egli si degnerà certamente di testimoniarmi la sua riconoscenza – non vedo motivo di dubitarne – e mi assisterà con tutti i mezzi a sua disposizione nei lavori che mi appresto a scrivere.
Il Signor Belzebù è fatto, si dice, di un'altra pasta. Eppure possiede – come mi è stato concesso di apprendere parecchio tempo fa dai trattati d'un celebre monaco cattolico, frate Fullon – una coda ricciuta; e l'esperienza mi ha convinto in modo formalmente esaustivo che i ricci non sono mai naturali, ma si producono solo a seguito di varie manipolazioni intenzionali; e secondo la "sana logica" formatasi nel mio stato conscio attraverso la lettura di vari libri di chiromanzia, ne ho concluso che il Signor Belzebù deve avere anche lui la sua piccola dose di vanità... Dunque, come potrebbe non aiutare chi fa pubblicità al suo nome?
Non per nulla il nostro famoso e insuperabile maestro Mullah Nassr Eddin dice spesso:
«Se non si liscia il pelo della bestia non si può viver bene in nessun posto, anzi nemmeno ci si può respirare».
E un altro saggio terrestre detto Till Eulenspiegel, che si trovò egli pure a edificare la sua saggezza sulla scempiaggine umana, esprime la stessa idea con le parole:
«Chi non unge il mozzo della ruota non può pretendere di partire».
Conoscendo queste massime di saggezza popolare, queste e molte altre simili, elaborate in secoli di vita comune, ho deciso di "lisciare il pelo per il verso giusto" al Signor Belzebù – il quale, come ben sapete, dispone di potenti mezzi e di una vasta scienza.


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 41-42

L'agricoltore deve conquistare il mondo - Francesco Saba Sardi

É assai probabile che l'idea del paradiso perduto, reperibile in molte religioni, debba esser fatta risalire al passaggio dal Paleolitico, dalla vita del cacciatore, all'esistenza molto meno libera, più faticosa, più organizzata e costruttiva dei coltivatori. Come si è visto, poi, le società agricole si fondando sulla divisione del lavoro, e dunque sulla costituzione di classi, e un po' alla volta sulla nascita del potere, del dominio, dello stato. E, mentre i gruppi di cacciatori possono basarsi sul tabù, gli agricoltori devono avere proibizioni e leggi. La complessità sociale a mano a mano cresce, le attività dell'organismo sociale si moltiplicano, si formano gruppi di specialisti (guerrieri, fabbri, gestori della cosa pubblica, amministratori, custodi dei granai eccetera). L'esistenza si basa sull'artificio anziché sulla "naturalità". L'agricoltore deve conquistare il mondo, anziché accontentarsi di ciò che gli vien "dato", ed è ovvio che la concezione che si farà dei rapporti con i suoi simili, e soprattutto con l'aldilà dipenderà da questa necessità.

[..]
Se in un primo momento si crede che la terra si ingravidi da sola, per partenogenesi, con l'invenzione dell'aratro il lavoro agricolo viene assimilato all'atto sessuale.

[..]
In pari tempo, trionfa la concezione del diritto del più forte. Cessa l'uguaglianza delle società "selvagge", in cui uomini e donne hanno uguali diritti; la società diviene maschilista, fallocratica.


Francesco Saba Sardi, Il grande libro delle religioni, pp 38-40

Il potere non è che favola - Mircea Eliade

La leggenda, come la favola, è una sua riduzione. In particolare, la prima è l'applicazione del mito a persone ed eventi umani. Un personaggio dotato di straordinarie valenze, un personaggio che "sa" o che "può", un capo, un sovrano, uno stregone, un mago, un guerriero, un eroe, mi appaiono dotati di qualità sovrumane, e io attribuisco loro le caratteristiche della divinità, li elevo al di sopra della sfera umana. La favola, invece, è una sorta di schema, di promemoria, ancora una volta un filo di Arianna che mi permette di ricostruire il mito, la cosmogonia. Aggiungo che la favola si presta a un'utilizzazione, che anzi è l'utilizzazione del mito, per esempio a esaltazione di sovrani e potenti. Il sovrano si dichiara, assai spesso, inviato dal cielo, figlio di dei, prescelto dalle potenze superne per portare il bene agli uomini (ma anche il male, punendoli o schiacciandoli a proprio piacimento). Il sovrano, in altre parole, si traveste con gli abiti del mito, inventa una favola che gli serve da giustificazione. A ben guardare, il potere non è che favola.

Mircea Eliade


Francesco Saba Sardi, Il grande libro delle religioni, pp 23-24

Nelle società industriali - Mircea Eliade

[..] Nelle società industriali, in cui si è in grado di ovviare alle inclemenze atmosferiche (regolando il regime delle acque, riscaldando le case, producendo industrialmente viveri, fornendo macchine per ogni necessità e via dicendo), ci si persuade di non dipendere affatto dal destino, cioè dai capricci di dei e spiriti, da
imperscrutabili decreti, ma di essere capaci di decidere in larga misura della sorte umana, e magari di riuscire a vincere malattie e morte. E a questo punto, le divinità e gli spiriti, la sfera del sacro, non occorrono più o assumono importanza secondaria. La religione, in tal caso, resta destinata unicamente agli “ingenui” che continuano ad aver fede nell’aldilà o che sono legati alle tradizioni. Insomma, si riduce all’esteriorità del culto. Nei nostri paesi, pochi vanno in chiesa, pochi pregano - ma molti continuano ad aver paura della morte e a pensare che "qualcosa" esiste al di fuori di noi.

Mircea Eliade


Francesco Saba Sardi, Il grande libro delle religioni, p 22

Sul significato di laico - Mircea Eliade

Lei ritiene che gli stessi atteggiamenti religiosi sussistano in tutte le culture, comprese quelle moderne, che almeno in apparenza sono laiche? 

Bisogna intendersi sul significato di “laico”. Il laico ritiene che tutto si possa spiegare senza far ricorso al sacro. Vita e morte, a suo avviso, sono frutto di fenomeni chimico-fisici, e se qualcosa sfugge alla nostra comprensione è solo perché ancora non si sono svelati i segreti del mondo naturale, ma prima o poi si riuscirà a penetrarli. In tal modo, il mondo viene desacralizzato, o per meglio dire il sacro viene accantonato, viene nascosto travestito da profano. Il laico ritiene di poter tutto “spiegare”, oggi o in un futuro ancora inimmaginabile. Invece il “primitivo”, legato alla concezione del sacro, almeno all’inizio non “spiega” nulla: si limita a costatare. In un secondo tempo l’uomo pretende di penetrare, con la mente, nella sfera del sacro, la “esplora” convinto dell’identità di una parte di sé con dei e spiriti, e organizza l’aldilà proiettandovi i propri principi sociali, con una gerarchia di dei e spiriti, con figure divine che corrispondono ai suoi re, sacerdoti, strutture familiari e costumanze, oppure a concetti astratti (bellezza, forza eccetera); in una fase ancora successiva, resosi conto dell’enorme divario tra umanità e divinità (legate tuttavia dalla “parentela”, l’una essendo la creazione dell’altra, e la prima possedendo una scintilla divina, l’anima), tenderà eventualmente a creare una teologia (cioè una descrizione di dio), magari in termini astratti, senza attribuire più all’aldilà aspetti umani, ma immaginando remotissimi, imperscrutabili, inavvicinabili dei. Potrà anche accadere che miri a far confluire tutte le divinità in una sola, un dio unico. Sarà allora il monoteismo (dio unico) contrapposto al politeismo (molteplicità di dei). E accaduto in Occidente, non però in India né in Giappone, anche se in tutte le società agricole e industriali esiste per lo meno il concetto di una divinità suprema.

Mircea Eliade


Francesco Saba Sardi, Il grande libro delle religioni, pp 20-21

Sull'uccisione degli animali - Mircea Eliade

Ma i cacciatori dovevano uccidere gli animali per vivere, no? E, così facendo, non uccidevano i loro dei e antenati?

Sì, e naturalmente si sentivano in colpa per questo, sicché dovevano chiedere perdono all'animale ucciso - o meglio alla sua anima, al principio vitale racchiuso in esso, cioè alla divinità che ospitava nel proprio corpo mortale - mediante offerte, per esempio di erbe, pietre, conchiglie e via dicendo: oggetti che venivano deposti sulla salma della bestia, dopo di che il cacciatore pregava, cioè offriva il suo desiderio alla divinità, chiedendole scusa per averla offesa e spiegandole che doveva pure mangiare. Da certi segni nel cielo o in terra, il cacciatore arguiva se la sua preghiera era stata accolta e se il suo gesto - lo spargimento di sangue di un messaggero che era anche suo "fratello", figlio come lui dell'aldilà - era stato "perdonato" o meno.

Mircea Eliade


Francesco Saba Sardi, Il grande libro delle religioni, pag. 18

Scoperta del sacro - Mircea Eliade

[..] In altre parole, che il mondo esiste. Ma l'esistenza vera del mondo non è qualcosa di afferrabile a prima vista: la si intuisce, ma la realtà ci sfugge: la realtà profonda, intendo. Non i "fatti", ma quello che sta dietro ai fatti, ciò che li origina. E questo qualcosa è, se posso usare questo termine, l'aldilà. Noi ci vediamo nascere, crescere, invecchiare e morire, e con noi vediamo nascere e perire tutte le cose, animali, piante, mondi di interi, stelle, galassie, pianeti. E ci chiediamo non soltanto perchè questo accade, ma che cos'è che lo fa accadere. Cerchiamo cioè il significato della nostra esistenza e di quella dell'universo tutto. Cerchiamo il significato dei nostri impulsi e delle nostre esperienze. Ora, la scoperta, presunta o effettiva, di questo significato - il senso che attribuiamo alla vita e alla morta - è la scoperta del sacro. Qualcosa, un aldità, esiste, ne siamo certi. Ma noi di questo qualcosa scorgiamo soltanto una piccola parte, o meglio una vaga ombra.

Mircea Eliade


Francesco Saba Sardi, Il grande libro delle religioni, pag. 15

sabato 25 marzo 2017

Amore, proteggerlo mantenendo le distanze - Omraam Mikhaël Aïvanhov

Gli uomini e le donne che si innamorano, vorrebbero che il loro amore non finisse mai. Ciò è possibile, ma a condizione di conoscere certe regole e applicarle. Se volete veramente conservare il vostro amore per un essere, non affrettatevi ad avvicinarvi a lui fisicamente, poiché una volta passate le grandi ebollizioni, presto vi stancherete e comincerete a vedere i lati negativi l'uno dell'altra. Per proteggere la vostra ispirazione, cercate di mantenere una certa distanza. Coloro che vogliono rapidamente conoscere tutto e assaporare tutto, ben presto non provano più curiosità l'uno per l'altra, non hanno nemmeno più voglia di incontrarsi perché hanno visto troppo, hanno “mangiato” troppo: sono saturi. Ed ecco, tutto è finito. Quell'amore, che dava loro tutte le benedizioni, che dava loro il cielo, lo hanno sacrificato per qualche momento di piacere. Perché non cercano di essere più vigili? Perché si privano così in fretta di quelle sensazioni sottili e poetiche che farebbero durare a lungo il loro amore?


https://www.facebook.com/FratellanzabiancauniversaleItalia/posts/1296814600400877:0

venerdì 24 marzo 2017

Forze estranee - Gurdjieff

Non so e non desidero sapere quali conclusioni ricavi la vostra mente dal racconto dello straordinario concorso di circostanze che vi descriverò: quanto a me, la coincidenza contribuì a convincermi che gli avvenimenti della mia gioventù, di cui qui vi faccio il racconto, non furono semplici effetti del caso bensì eventi creati apposta da alcune forze esterne.

G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, p 34

La nonna di G - Gurdjieff

Il primo dato si costituì in me quand'ero ancora un marmocchio.

Viveva ancora a quel tempo la mia cara nonna, ora defunta, e aveva poco più di cent'anni.

Al momento della sua morte – che il Regno dei Cieli sia la sua dimora! – mia madre mi condusse vicino al letto, secondo l'uso di quei tempi, e mentre mi chinavo a baciare la sua mano destra, la cara nonna pose sul mio capo la sua morente mano sinistra, e disse con voce bassa ma distinta:

«O primogenito dei miei nipoti!

 Ascolta!... e ricorda sempre le mie ultime volontà. Nella vita, non fare mai quello che fanno gli altri».

Poi mi fissò la radice del naso, e notando probabilmente che alle sue parole ero rimasto perplesso aggiunse, un po' contrariata e in tono autoritario:

«O non fai nulla, cioè vai solo a scuola; o fai qualcosa che mai nessuno abbia fatto».



G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 30-31

giovedì 23 marzo 2017

Il grande libro delle religioni - Francesco Saba Sardi

"Il Grande libro delle religioni" propone un affascinante e insolito itinerario alle soglie del mistero, tra le luci e le ombre che celano le risposte ai nostri piú assillanti interrogativi. Un esemplare racconto che, partendo dai santuari e dai sepolcreti della preistoria, dà voce a una folla di spiriti, dei, eroi, paladini della fede, redentori, martiri, angeli e demoni per mettere in luce il rapporto che l'uomo intrattiene con il sacro.


http://www.mondadoristore.it/grande-libro-delle-religioni-Francesco-Saba-Sardi/eai978880450896/

lunedì 13 marzo 2017

I racconti di Belzebù a suo nipote - Gurdjieff

Fino al 1924, G.I. Gurdjieff aveva insegnato alla maniera orientale, comunicando le sue idee a un piccolo gruppo di allievi, sempre e solo in modo diretto sia nella teoria che nella pratica, senza mai permetter loro di trascrivere le indicazioni ricevute. Ma quell'anno, in seguito a un grave incidente, egli ritenne che fosse giunto il momento di far conoscere l'insieme delle sue idee "in una forma accessibile a tutti". Si trattava cioè di evocarle in un libro che potesse suscitare nel lettore sconosciuto una nuova e inabituale corrente di pensieri; perciò egli decise di adottare la forma, comune alle grandi tradizioni, di un racconto mitico "su scala universale" e tuttavia centrato sul problema essenziale: il significato della vita umana. Allora, pur senza abbandonare le sue altre attività, si piegò al mestiere di scrittore, con la prontezza e il vigore che lo caratterizzavano e con quell'abilità artigianale che in gioventù gli aveva permesso di imparare tanti altri mestieri. L'opera fu scritta in condizioni spesso difficili e nei luoghi più disparati. Man mano che procedeva la stesura, egli ne faceva leggere ad alta voce i brani, che poi rielaborava. Qualche anno più tardi, portato a termine il suo compito, Gurdjieff non aveva scritto solo un libro, bensì una serie di libri. A questo insieme monumentale egli diede come titolo Di tutto e del Tutto. I Racconti di Belzebù a suo nipote ne costituiscono la prima parte. Sin dall'inizio intorno al libro si crea una leggenda: il suo carattere insolito fa sì che molti lo dichiarino impubblicabile. E tuttavia nel 1948, un anno prima della sua morte, Gurdjieff ne fa preparare l'edizione in diverse lingue, e nel '50 viene pubblicato simultaneamente in America, in Inghilterra e in Austria. Da allora è stato tradotto e pubblicato in decine di paesi, e in Italia la prima edizione, da lungo tempo esaurita, viene oggi ripresentata in versione riveduta. Se la pubblicazione di questo libro è stata sin dall'inizio un avvenimento culturale, essa è certamente ancor più un avvenimento umano: giacché si rivolge a chiunque porti in sé le domande fondamentali a cui, a suo avviso, né la scienza né la filosofia moderna hanno dato risposta. Questo libro sarà allora un'avventura forse difficile in una terra sconosciuta e sconcertante ma, se ha risvegliato il desiderio di viverla, sarà certamente un'avventura straordinaria.

 

 http://www.neripozza.it/collane_dett.php?id_coll=1&id_lib=279

Ouspensky lascia G - Gurdjieff

La mia posizione personale nel lavoro di G. si era a poco a poco modificata. Durante un intero anno avevo visto molte cose che non potevo comprendere; tutto ciò si era accumulato, e io sentivo che dovevo andarmene. Questo cambiamento può apparire strano e inatteso dopo ciò che ho scritto sin qui, ma si era fatto a poco a poco. Da qualche tempo,l'ho scritto più sopra, vedevo la possibilità di separare G. dalle sue idee. Non avevo alcun dubbio sulle idee. Al contrario, più vi riflettevo,più ne penetravo il contenuto, e più le apprezzavo e ne realizzavo la portata. Ma cominciavo a dubitare che fosse possibile per me, come pure per la maggioranza dei nostri compagni, continuare a lavorare sotto la direzione di G.

[..]

Tuttavia ciò non significa affatto che un uomo non abbia scelta oche debba seguire suo malgrado una via non rispondente a ciò che egli cerca. G. stesso diceva che non vi sono scuole 'generali', che ogni guru in una scuola ha la sua propria specialità. L'uno è scultore, l'altro musicista, un terzo insegna qualcosa d'altro, e tutti gli allievi di un tale guru devono studiare la sua specialità. La possibilità di una scelta esiste dunque. Spetta però a ciascuno di trovare il guru del quale egli sia capace di studiare la specialità, quella che si accorda ai suoi gusti, alle sue tendenze e alle sue capacità.

[..]

Per quanto concerne la mia relazione con G., vedevo chiaramente allora che mi ero sbagliato su molte cose e che, se restavo ancora con G., non sarei più andato nella stessa direzione dell'inizio. E pensavo che tutti i membri del nostro piccolo gruppo, salvo rare eccezioni, erano in una situazione analoga, se non identica.

Era una constatazione sorprendente, ma assolutamente giusta. Non avevo niente a ridire sui metodi di G., salvo che non mi convenivano. Un esempio molto chiaro mi venne allora in mente. Non avevo mai avuto un atteggiamento negativo verso la via religiosa e mistica, vale a dire verso 'la via del monaco'; tuttavia non avrei potuto pensare nemmeno per un istante che una tale via fosse possibile o conveniente per me. Ora, dopo tre anni di lavoro, mi ero accorto che G. stava conducendoci in effetti verso il monastero, e che egli ormai esigeva da noi l'osservanza di tutti i riti e di tutte le cerimonie della via religiosa. Questo fatto era per me, naturalmente, un valido motivo per non essere d'accordo con G. e per andarmene, anche a rischio di perdere la sua direzione immediata. E nel contempo ciò non avrebbe voluto certo dire che io consideravo sbagliata la via religiosa in generale. Al contrario, questa via potrebbe persino essere molto più corretta della mia,ma essa non è la mia.

Presi la decisione di lasciare G. e il suo lavoro dopo una grande lotta interiore. Avevo basato troppe cose su questo lavoro per poter facilmente riprendere tutto da capo. Ma non vi era null'altro da fare.
Senza dubbio, non abbandonavo niente di ciò che avevo acquisito durante questi tre anni. Tuttavia impiegai un intero anno prima di passare al di là di tutto ciò e scoprire come mi sarebbe stato possibile continuare a lavorare nella stessa direzione di G., pur mantenendo la mia indipendenza.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 411-413

Sul digiuno - Gurdjieff

Per quanto mi riguarda, ciò che mi interessava particolarmente era constatare che posto prendesse nella vita il chiacchierare. A mio vedere,questo primo digiuno si riduceva per ognuno a chiacchierare senza sosta, indefessamente, sul digiuno, durante più giorni; in altre parole,ciascuno parlava di se stesso. A questo proposito, mi ricordai delle conversazioni di un tempo, con uno dei miei amici di Mosca, sul fatto che il silenzio volontario dovrebbe essere la più severa disciplina alla quale un uomo possa sottomettersi. A quell'epoca noi lo intendevamo come 'silenzio assoluto'. Anche in questa occasione, le spiegazioni di G. misero in rilievo lo stupefacente carattere pratico che distingueva il suo insegnamento ed i suoi metodi da tutto ciò che avevo conosciuto prima.

"Il silenzio completo è più facile, disse egli, quando cercai di metterlo al corrente delle mie idee sull'argomento. Il silenzio completo è semplicemente una via al di fuori della vita, buona per un uomo nel deserto o in un monastero. Qui noi parliamo di lavoro nella vita. Si può anche mantenere il silenzio in modo che nessuno se ne accorga. Tutto il problema deriva dal fatto che diciamo troppe cose. Se ci limitassimo alle sole parole realmente indispensabili, soltanto questo potrebbe dirsi mantenere il silenzio. Così è per ogni cosa: per il nutrimento, per il piacere, per il sonno; per ogni cosa vi è un limite a ciò che è necessario. Al di là comincia il 'peccato'. Cercate di afferrare bene: il 'peccato' è tutto ciò che non è necessario".

[..]

Il breve digiuno di cui ho parlato si accompagnava anche ad esercizi speciali. Fin dall'inizio, G. spiegò che nel digiuno la difficoltà consisteva nel non lasciare inutilizzate le sostanze elaborate nell'organismo per la digestione degli alimenti.

"Queste sostanze, disse, sono delle soluzioni molto concentrate. E se non si presta loro attenzione, avvelenano l'organismo. Esse devono essere utilizzate fino all'esaurimento. Ma come esaurirle se l'organismo non prende alcun nutrimento? Soltanto con un maggior lavoro supplementare o un eccesso di traspirazione. È un pericoloso errore impegnarsi a 'risparmiare le proprie forze', a fare il minimo possibile, ecc...allorché si digiuna. Al contrario, occorre dispensare energie quanto più possibile. Solo allora il digiuno può essere utile".


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 394-396

Esercizio dello Stop - Gurdjieff

G. ci mostrò pure un esercizio completamente nuovo per noi, senza il quale, secondo lui, era impossibile divenire padroni della natura motrice. Era quello che chiamava esercizio dello 'stop'.

[..]

"Nell'intenzione di opporsi a questo automatismo e di acquistare un controllo sulle pose e suoi movimenti dei vari centri, esiste un esercizio speciale. Esso consiste in questo: ad una parola o un cenno del maestro,precedentemente convenuto, tutti gli allievi che lo odono o che lo vedo-no devono all'istante stesso sospendere i loro gesti, qualunque essi siano,immobilizzandosi sul posto nella posizione stessa in cui il segnale li ha sorpresi. Inoltre, essi devono non soltanto cessare di muoversi, ma anche tenere gli occhi fissi sul punto stesso che stavano guardando al momento del segnale, tenere la bocca aperta se stavano parlando, con-servare l'espressione della loro fisionomia e, se sorridevano, mantenere questo loro sorriso sul volto. In questo stato di "stop', ciascuno deve anche sospendere il flusso dei propri pensieri e concentrare tutta l'attenzione, mantenendo la tensione di muscoli, nelle differenti parti del corpo, al livello stesso ove essa si trovava e controllarla tutto il tempo,riportando per così dire la propria attenzione da una parte del corpo a un'altra. E deve rimanere in questo stato e in questa posizione fino a quando un altro segnale convenuto gli permetta di riprendere un atteggiamento normale, o fino a quando sia talmente stanco da essere incapace di conservare più a lungo l'attitudine originaria. Non si ha alcun diritto di cambiare qualche cosa, né il proprio sguardo, né il proprio punto di appoggio, niente. Se uno non può resistere, cada pure. Occorre persino che cada come un sacco, senza tentare di proteggersi dall'urto. Allo stesso modo, se teneva qualche oggetto in mano deve mantenerlo il più a lungo possibile; se le sue mani si rifiutano di obbedirgli, se l'oggetto gli sfugge, ciò non è considerato come una mancanza.

"Tocca al maestro vegliare affinché nessun incidente accada in conseguenza di cadute o di posizioni insolite, e a questo riguardo gli allievi devono avere piena fiducia nel loro maestro e non temere alcun danno.

"Questo esercizio e i suoi risultati possono essere considerati indifferenti maniere. Prendiamo per prima cosa questo esercizio dal punto di vista dello studio dei movimenti e delle pose. Esso da all'uomo la possibilità di uscire dal cerchio del suo automatismo, né si può farne a meno, specie all'inizio del lavoro.

[..]

"L'esercizio dello 'stop' è considerato sacro nelle scuole, egli disse. Nessuno che non sia il maestro o un incaricato da lui, ha il diritto di dare l'ordine dello 'stop ? . Lo 'stop' non potrebbe servire né da gioco né da esercizio tra gli allievi. Voi non siete mai in grado di conoscere la posizione in cui si trova un uomo. Se non potete sentire al suo posto,non potete sapere quali sono i muscoli che sono tesi e nemmeno sino a qual punto. Talvolta se qualche tensione difficile dovesse essere mantenuta, essa potrebbe causare la rottura di un vaso sanguigno e in certi casi provocare la morte immediata. In conseguenza, soltanto chi sia assolutamente certo di sapere quello che fa, può permettersi di dare l'ordine di 'stop'.



P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 388-391

Tensione e rilassamento muscolare - Gurdjieff

"Vi parlerò ora di un certo difetto di funzionamento del corpo che in ogni caso è indispensabile correggere. Finché persiste, nessun lavoro,sia morale che spirituale può essere compiuto in maniera corretta.

"Vi ricorderete che quando abbiamo parlato del lavoro di 'una fabbrica a tre piani' vi ho spiegato che la maggior parte della energia elaborata dall'officina è consumata in pura perdita e specialmente in tensione muscolare. Questa tensione muscolare inutile assorbe una quantità enorme di energia. Nel lavoro su di sé l'attenzione deve anzi tutto essere rivolta a questo.

"A proposito del lavoro dell'officina in generale, è indispensabile stabilire che l'aumento della produzione non può avere alcun senso,finché un tale spreco non è stato arrestato. Se la produzione è accresciuta, mentre lo spreco rimane senza freno e nulla viene fatto permettervi fine, la nuova energia prodotta aumenterà unicamente questo inutile spreco e potrà persino far sorgere dei fenomeni malsani. L'uomo deve dunque prima di iniziare qualsiasi lavoro fisico su sé stesso, imparare a osservare e a sentire la propria tensione muscolare: deve essere capace di rilassare i muscoli quando è necessario, cioè far cadere la tensione inutile dei muscoli".

G. ci insegnò un gran numero di esercizi relativi al controllo delle tensioni muscolari come pure certe posizioni adottate nelle scuole, perla preghiera e la contemplazione, che un uomo non può prendere se non sa come ridurre la tensione inutile dei suoi muscoli. Tra queste si trovava la postura detta di Budda, con i piedi posati sulle ginocchia e un'altra più difficile ancora, di cui dava una dimostrazione perfetta,e che noi non eravamo capaci di imitare che in modo molto approssimativo.

Per prendere quest'ultima posa G. si inginocchiava poi si sedeva (senza scarpe) sui talloni, coi piedi stretti l'uno contro l'altro (era già molto difficile star seduti così sui talloni per più di un minuto o due). Dopo di che alzava le braccia e tenendole al livello delle spalle si piegava lentamente all'indietro fino al suolo e si distendeva, sempre con le gambe premute sotto di sé. Rimasto disteso in questa posizione per un certo tempo, si rialzava con la stessa lentezza, colle braccia tese,poi s'allungava di nuovo e così via.

Ci insegnò il rilassamento graduale dei muscoli, cominciando sempre dai muscoli della faccia, e ci diede diversi esercizi al fine di 'sentire' a volontà le mani, i piedi, le dita, ecc... L’idea della necessità di un rilassamento muscolare non era per niente un'idea nuova, ma la spiegazione di G., secondo la quale il rilassamento dei muscoli del corpo doveva incominciare da quelli del viso, era per me completamente nuova; non avevo mai incontrato niente di simile nei manuali di 'yoga' né in libri di fisiologia.

[..]

Avevamo cominciato a praticare gli esercizi di rilassamento muscolare che ci portavano a risultati molto interessanti. Così uno di noi si trovò all'improvviso in grado di far cessare una dolorosa nevralgia del suo braccio. D'altronde il rilassamento muscolare aveva un grande effetto sul sonno vero e proprio e chiunque facesse seriamente questi esercizi,presto notava che riposava molto meglio, pur avendo bisogno di meno ore di sonno.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 386-388

I super sforzi - Gurdjieff

"Le scuole si impongono, disse egli un giorno, anzitutto a causa della complessità della struttura umana. Da solo l'uomo è incapace di mantenere il controllo di tutto sé stesso, cioè sulle sue differenti parti; solo le scuole offrono questa possibilità, e così i metodi di scuola ed una disciplina di scuola. L'uomo è veramente troppo pigro. Farà quasi tutto senza l'intensità necessaria, o non farà nulla, immaginando di far qualcosa; lavorerà con intensità a qualche cosa che non ne richiede, e lascerà passare i momenti in cui l'intensità si impone. Proprio in quei momenti si risparmia, teme di fare qualche cosa di poco piacevole. Mai da solo riuscirà a raggiungere l'intensità voluta. Se vi siete osservati nel modo giusto, sarete d'accordo sul quel che sto dicendo. Se un uomo si impone un compito qualsiasi, molto presto comincia ad essere indulgente verso se stesso. Egli cerca di portare a termine il suo compito con i minori sforzi possibili: questo non è lavoro. Nel lavoro, contano solo i super-sforzi, al di là del normale, al di là del necessario. Gli sforzi ordinari non contano".

"Che cosa intendete per super-sforzo?", domandò qualcuno di noi.

"Significa uno sforzo al di là di quello necessario per raggiungere uno scopo determinato. Immaginate che io abbia camminato per tutta la giornata e che sia molto stanco. Il tempo è cattivo, piove e fa freddo. A sera, arrivo a casa. Ho fatto forse più di quaranta chilometri. A casa la cena è pronta; fa caldo e l'atmosfera è piacevole. Ma invece di mettermi a tavola esco di nuovo sotto la pioggia e decido di non rientrare prima di aver fatto ancora 4 o 5 chilometri. Ecco ciò che si può chiamare un super-sforzo. Fino a quando mi affrettavo verso casa, era semplicemente uno sforzo: questo non conta. Io rincasavo; il freddo, la fame, la pioggia, tutto questo portava i miei passi. Nel secondo caso,cammino perché l'ho deciso io stesso. Ma questo tipo di super-sforzo diventa ancora più difficile allorquando non sono io a deciderlo, ma obbedisco a un maestro, che al momento in cui meno me lo aspetto esige da me nuovi sforzi, quando ritenevo di averne già fatti abbastanza per quel giorno.

"Un'altra forma di super-sforzo consiste nell'effettuare un lavoro di qualsiasi genere più rapidamente di quanto la sua natura richieda. Supponiamo che stiate facendo qualche cosa, che stiate facendo il bucato,o tagliando della legna. Ne avete per un'ora; fatelo in mezz'ora: questo sarà un super-sforzo.

"Ma in pratica, un uomo non può mai imporre a sé stesso dei super-sforzi consecutivi o di lunga durata; ciò esige la volontà di un'altra persona che non abbia alcuna pietà e che possieda un metodo.

"Se l'uomo fosse capace di lavorare su sé stesso, tutto sarebbe molto più semplice e le scuole sarebbero inutili. Ma non lo può, e occorre ricercarne le ragioni, nella profondità stessa della sua natura. Lasceremo in disparte per ora la sua mancanza di sincerità verso sé stesso, l'incessante mentire a sé stesso e così via; parlerò solo dei centri e della loro divergenza, che è quanto basta a rendere impossibile all'uomo un lavoro su di sé indipendente. Dovreste comprendere che i tre principali centri,intellettuale, emozionale e motore, sono interdipendenti, e che in un uomo normale lavorano sempre simultaneamente. Ecco da che cosa è costituita la maggior difficoltà del lavoro su di sé. Che cosa significa una tale simultaneità? Significa che un certo lavoro del centro intellettuale è legato a un altro lavoro dei centri emozionale e motore, ossia un certo tipo di pensiero è inevitabilmente legato ad un particolare tipo di emozione (o stato d'animo) ed a un certo tipo di movimento (o di posizione), e che l'uno fa scattare l'altro; in altre parole, significa che un certo tipo di emozione (o di stato d'animo) fa scattare dei movimenti o attitudini e pensieri determinati, come un certo tipo di movimenti o di posizioni fa sorgere certe emozioni, o stati d'animo, ecc. ecc. Tutte queste cose sono collegate e non ve ne è alcuna che possa esistere senza un'altra.

"Immaginate ora che un uomo decida di pensare in modo nuovo. Non potrà impedirsi di continuare a sentirsi nel vecchio modo. Supponete che provi dell'antipatia per R. (indicò uno di noi). Questa antipatia per R. fa subito sorgere vecchi pensieri, ed egli dimentica la sua decisione di pensare in modo nuovo. Oppure, immaginate che abbia l'abitudine di fumare una sigaretta ogni volta che vuole pensare. Si tratta in questo caso di un'abitudine motrice. Decide di pensare in modo nuovo e comincia a fumare una sigaretta, ricadendo subito nel suo abituale modo di pensare senza neppure rendersene conto. Il gesto abituale di accendere una sigaretta ha già riportato i suoi pensieri alla loro antica tonalità. Dovete ricordare che un uomo non può mai da solo distruggere legami simili. È necessaria la volontà di un altro, è necessario il bastone. Tutto quanto può fare un uomo che desidera lavorare su sé stesso quando giunge ad un certo livello, consiste nell'obbedire. Da solo non può far niente.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 383-384

domenica 12 marzo 2017

L'arte della plastica - Gurdjieff

Un avvenimento eccezionale si verificò, al momento della sua partenza. L'avevamo tutti accompagnato alla stazione Nicolajevski. G. era con noi sul marciapiede vicino al vagone, stavamo parlando. Egli era come l'avevamo sempre conosciuto. Dopo il secondo colpo di campana,salì nel suo scompartimento e si affacciò al finestrino.

Un altro uomo, era un altro uomo! Non era più quello che noi avevamo accompagnato al treno. Nello spazio di quei pochi secondi,era cambiato, ma come dire in che consisteva la differenza? Sul marciapiede, egli era come tutti, ma, dal finestrino del vagone, un uomo di tutt'altro ordine ci osservava. Un uomo di cui ogni sguardo, ogni movimento, era improntato di una importanza eccezionale, e di una dignità incredibile, come se egli fosse diventato ad un tratto un principe regnante, o il sovrano di qualche regno sconosciuto verso il quale ritornava, e che noi eravamo venuti a salutare alla partenza.

Alcuni di noi non si resero chiaramente conto, al momento stesso, di cosa succedeva, ma vivevamo tutti, emozionalmente, qualcosa che trascendeva il corso ordinario della vita. Non durò che qualche secondo. Il terzo colpo di campana seguì quasi immediatamente il secondo e il treno si mosse. Non ricordo chi parlò per primo di questa 'trasfigurazione' di G. quando fummo soli, ma sta di fatto che ciascuno di noi l'aveva constatata, benché non tutti ne avessimo realizzato con la stessa intensità il carattere straordinario. Tutti, senza eccezione, avevamo tuttavia sentito qualcosa che sfiorava il miracoloso.

G. ci aveva spiegato altre volte che, se si possiede a fondo l'arte della plastica, si può cambiare completamente il proprio aspetto. Egli aveva parlato della possibilità di dare alle proprie sembianze bellezza o bruttezza, di forzare la gente a notarvi, oppure la possibilità di divenire positivamente invisibile.

Cosa era dunque successo? Forse si trattava di un caso esemplare di questa 'plastica'.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, p 359

Livelli d'essere - Gurdjieff

"Per determinare, con l'aiuto della 'tavola degli idrogeni', le differenti proprietà delle cose e delle, creature viventi, costituite da numerosi idrogeni, si parte dal principio che vi è in ogni creatura vivente e in ogni cosa, un idrogeno definito che ne costituisce il centro di gravita; esso è per modo di dire, ' l'idrogeno medio ' di tutti gli idrogeni costituenti quella data creatura o cosa. Per trovare questo 'idrogeno medio', è necessario innanzitutto conoscere il livello di essere della creatura in questione. Il livello d'essere è determinato dal numero di piani della sua macchina. Sinora non abbiamo parlato che dell'uomo,e abbiamo considerato l'uomo come una struttura a tre piani. Non possiamo parlare al tempo stesso degli animali e dell'uomo, poiché gli animali differiscono dall'uomo in maniera radicale. Gli animali superiori che conosciamo non comportano che due piani; gli animali inferiori non ne hanno che uno".
G. fece un disegno.





"L'uomo è composto di tre piani.

"Il montone ha due piani.

"Il verme non ha che un piano.

"Allo stesso tempo i piani inferiore e intermedio dell'uomo equivalgono, in un certo modo, a quelli del montone; il suo piano inferiore,preso a sé, corrisponde a quello del verme. Si può dunque dire che l'uomo è costituito da un uomo, da un montone e da un verme; e che il montone è costituito da un montone e da un verme. L'uomo è una creatura complessa; il suo livello d'essere è determinato dal livello d'essere delle creature che lo compongono. Il montone ed il verme possono avere nell'uomo un ruolo più o meno grande. Così è il verme ad avere la parte principale nell'uomo n. 1; nell'uomo n. 2 è il montone, e nell'uomo n. 3, l'uomo. Queste definizioni tuttavia non valgono che per i casi individuali. In generale, ' l'uomo ' è determinato dal centro di gravita del piano medio. Il centro di gravita del piano intermedio dell'uomo è l'idrogeno 96. L'intelligenza dell'idrogeno 96 determina l'intelligenza media dell'uomo,ossia del corpo fisico dell'uomo. Il centro di gravita del corpo astrale sarà l'idrogeno 48. Il centro di gravita del terzo corpo, l'idrogeno 24. Il centro di gravita del quarto corpo, l'idrogeno 12.

"Se rammentate il diagramma dei 4 corpi dell'uomo, che indicava gli idrogeni medi del piano superiore, vi sarà più facile comprendere ciò che sto dicendo".
G. disegnò questo diagramma.





"II centro di gravita del piano superiore è di un idrogeno soltanto al di sopra del centro di gravita del piano medio. E il centro di gravita del piano medio è di un idrogeno soltanto al di sopra di quello del piano inferiore.

"Ma, come ho già detto, per determinare il livello d'essere mediante la tavola degli idrogeni, si prende abitualmente il piano medio.

[..]

"In relazione a quanto ho detto è essenziale determinare i principi di classificazione e di definizione degli esseri viventi da un punto di vista cosmico, dal punto di vista della loro esistenza cosmica. Per la scienza ordinaria, la classificazione è stabilita secondo caratteristiche esteriori: le ossa, i denti, o le funzioni: mammiferi, vertebrati, roditori, ecc. Per la scienza esatta la classificazione è stabilita secondo caratteristiche cosmiche. Infatti, per ogni creatura vivente, esistono caratteri determinanti che permettono di stabilire con la massima esattezza la classe e la specie alla quale essa appartiene, ossia il suo proprio posto nell'universo, come pure la sua relazione con le altre creature.

"Queste sono le caratteristiche dell'essere. Il livello cosmico d'essere di ogni creatura vivente è determinato:

"Innanzitutto, da quello che mangia; "In secondo luogo, da ciò che respira; "Terzo, dall'ambiente dove vive.

"Sono queste le tre caratteristiche cosmiche del suo essere.

"Prendete per esempio l'uomo. Egli si nutre di idrogeno 768, respira l'idrogeno 192 e vive nell'idrogeno 192. Non vi sono altri esseri come lui sul nostro pianeta, sebbene vi siano esseri che gli sono superiori.

[..]

"L'intelligenza di una materia è determinata dalla creatura alla quale essa può servire da nutrimento. Ad esempio: che cos'è più intelligente,secondo questo punto di vista, una patata cotta o una patata cruda? Una patata cruda, che può servire da nutrimento ai maiali, non può nutrire l'uomo; una patata cotta è dunque più intelligente di una patata cruda.

"Se questi principi di classificazione e di definizione fossero capiti nel modo giusto, molte cose diventerebbero chiare e comprensibili. Nessun essere vivente è libero di cambiare a suo piacere né il proprio nutrimento né l'aria che respira, né l'ambiente in cui vive. L’ordine cosmico determina per ogni essere il suo nutrimento, la sua aria e il suo ambiente.

"Quando abbiamo parlato delle ottave di nutrimento nel laboratorio a tre livelli, abbiamo visto che tutti gli idrogeni sottili richiesti per il lavoro, la crescita e l'evoluzione dell'organismo, sono elaborati partendo dai tre tipi di nutrimento: il nutrimento nel senso comune della parola, il mangiare e il bere; l’aria, che noi respiriamo, e infine le impressioni. Supponiamo ora di poter migliorare la qualità del nutrimento e dell'aria, e di nutrirci, diciamo, di idrogeno 384 invece di 768, e respirare l'idrogeno 96 invece di 192. Quanto sarebbe semplificata e facilitata l'elaborazione delle sostanze sottili nell'organismo! Si, ma vi è in questo un'impossibilità radicale. L'organismo è per l'appunto adattato a trasformare queste materie grossolane in materie sottili: se gli deste materie sottili al posto di materie grossolane non potendole trasformare,morirebbe in breve tempo.

"Né l'aria, né il nutrimento possono essere cambiati, ma le impressioni, o meglio, la qualità delle impressioni possibili per l'uomo, non dipendono da alcuna legge cosmica. L'uomo non può migliorare né il suo nutrimento, né l'aria. Migliorare in tal caso, sarebbe infatti rendere le cose peggiori. Ad esempio, l'idrogeno 96 invece di 192, sarebbe un gas rarefatto o un gas incandescente, irrespirabile per l'uomo; il fuoco è idrogeno 96. È la stessa cosa per il nutrimento. L'idrogeno 384 è l'acqua. Se l'uomo potesse migliorare il suo nutrimento, ossia renderlo più sottile, dovrebbe nutrirsi d'acqua e respirare fuoco. È chiaro che è impossibile. Pur non potendo migliorare né il suo nutrimento, né l'aria, l'uomo può tuttavia migliorare le sue impressioni fino ad un grado elevatissimo, e introdurre così idrogeni sottili nel suo organismo. È precisamente su questo che si basa la possibilità della sua evoluzione. L'uomo non è certo obbligato a nutrirsi delle spente impressioni dell'idrogeno 48, egli può avere le impressioni degli idrogeni 24 e 12,dell'idrogeno 6 e persino dell'idrogeno 3. Questo cambia tutta la prospettiva e un uomo che trae dagli idrogeni sottili il nutrimento per il piano superiore della sua macchina, differirà certamente da un uomo che si nutre di idrogeni grossolani o inferiori.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 352-356

Quattro porte del cerchio exoterico - Gurdjieff

"Se ci rappresentiamo l'umanità sotto la forma di quattro cerchi concentrici, possiamo immaginare quattro porte alla periferia del terzo cerchio, vale a dire del cerchio exoterico, attraverso le quali gli uomini del cerchio meccanico possono penetrare.

"Queste quattro porte corrispondono alle quattro vie che abbiamo descritto.

"La prima è la via del fachiro, la via degli uomini numero 1, degli uomini del corpo fisico, nei quali predominano gli istinti, i sensi e gli impulsi motori, uomini di poco cuore e di scarso intelletto.

"La seconda è la via del monaco, la via religiosa, la via degli uomini n. 2, cioè degli uomini di tipo emozionale. Né il loro intelletto né il loro corpo devono avere una forza particolare.

"La terza via è la via dello yogi. È la via dell'intelletto, la via degli uomini n. 3. Il corpo e il cuore non devono essere particolarmente forti altrimenti potrebbero essere un impedimento su questa via.

"Al di fuori di queste vie, che non potrebbero convenire a tutti, ve n'è tuttavia una quarta.

"La differenza fondamentale tra le tre vie, del fachiro, del monaco,dello yogi, e la quarta, è che le tre prime sono legate a forme permanenti mantenutesi quasi invariate nel corso di lunghi periodi storici. La loro base comune è la religione. Le scuole di yogi differiscono poco,esteriormente, dalle scuole religiose. La stessa cosa si può dire per le diverse confraternite o ordini di fachiri che, nel corso della storia, sono esistite ed esistono ancora in diversi paesi. Queste tre vie tradizionali sono vie permanenti nei limiti del nostro periodo storico.

"Due o tre mila anni fa esistevano altre vie ancora, ma sono scomparse. Quanto a quelle mantenutesi fino a oggi, esse erano, a quel tempo,molto meno differenziate.

"La quarta via differisce dalle antiche e dalle nuove per il fatto che non è mai permanente, non ha forme determinate e non esistono istituzioni che le siano connesse. Essa appare e dispare secondo le leggi che le sono proprie.

"La quarta via non può esistere senza un certo lavoro che abbia un senso ben definito, ed essa implica sempre una certa attività, che sola sostiene e giustifica la sua esistenza. Quando questo lavoro è compiuto, cioè quando lo scopo che si proponeva è raggiunto, la quarta via scompare; ben inteso, scompare da questo o da quel luogo, scompare in una data forma, per riapparire forse in un altro luogo e in un'altra forma. Le scuole della quarta via esistono per poter portare a compimento il lavoro relativo a uno scopo determinato. Esse non esistono mai per se stesse, come scuole aventi lo scopo di educare o di istruire.

"Se ci rappresentiamo l'umanità sotto la forma di quattro cerchi concentrici, possiamo immaginare quattro porte alla periferia del terzo cerchio, vale a dire del cerchio exoterico, attraverso le quali gli uomini del cerchio meccanico possono penetrare.

"Queste quattro porte corrispondono alle quattro vie che abbiamo descritto.

"La prima è la via del fachiro, la via degli uomini numero 1, degli uomini del corpo fisico, nei quali predominano gli istinti, i sensi e gli impulsi motori, uomini di poco cuore e di scarso intelletto.

"La seconda è la via del monaco, la via religiosa, la via degli uomini n. 2, cioè degli uomini di tipo emozionale. Né il loro intelletto né il loro corpo devono avere una forza particolare.

"La terza via è la via dello yogi. È la via dell'intelletto, la via degli uomini n. 3. Il corpo e il cuore non devono essere particolarmente forti altrimenti potrebbero essere un impedimento su questa via.

"Al di fuori di queste vie, che non potrebbero convenire a tutti, ve n'è tuttavia una quarta.

"La differenza fondamentale tra le tre vie, del fachiro, del monaco,dello yogi, e la quarta, è che le tre prime sono legate a forme permanenti mantenutesi quasi invariate nel corso di lunghi periodi storici.

La loro base comune è la religione. Le scuole di yogi differiscono poco,esteriormente, dalle scuole religiose. La stessa cosa si può dire per le diverse confraternite o ordini di fachiri che, nel corso della storia, sono esistite ed esistono ancora in diversi paesi. Queste tre vie tradizionali sono vie permanenti nei limiti del nostro periodo storico.

"Due o tre mila anni fa esistevano altre vie ancora, ma sono scomparse. Quanto a quelle mantenutesi fino a oggi, esse erano, a quel tempo,molto meno differenziate.

"La quarta via differisce dalle antiche e dalle nuove per il fatto che non è mai permanente, non ha forme determinate e non esistono istituzioni che le siano connesse. Essa appare e dispare secondo le leggi che le sono proprie.

"La quarta via non può esistere senza un certo lavoro che abbia un senso ben definito, ed essa implica sempre una certa attività, che sola sostiene e giustifica la sua esistenza. Quando questo lavoro è compiuto, cioè quando lo scopo che si proponeva è raggiunto, la quarta via scompare; ben inteso, scompare da questo o da quel luogo, scompare in una data forma, per riapparire forse in un altro luogo e in un'altra forma. Le scuole della quarta via esistono per poter portare a compimento il lavoro relativo a uno scopo determinato. Esse non esistono mai per se stesse, come scuole aventi lo scopo di educare o di istruire.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 346-347

Forza cosciente e forza meccanica - Gurdjieff

"Si può dire che vi è una forza cosciente in lotta contro l'evoluzione dell'umanità?", domandai.

"Da un certo punto di vista lo si può dire", rispose G.

Riporto questa risposta perché essa sembra in contraddizione con quello che G. aveva detto prima: che non vi erano che due forze in lotta nel mondo, la 'coscienza' e la 'meccanicità'.

"Da dove viene questa forza?".

"Ci vorrebbe troppo tempo per darvi una spiegazione e questo per noi attualmente non avrebbe alcun significato pratico. Vi sono due processi, talvolta chiamati 'involutivo' e 'evolutivo'. Ecco la loro differenza: un processo involutivo comincia coscientemente nell'Assoluto,ma allo stadio seguente è già meccanico e lo diventa sempre di più. Il processo evolutivo, al contrario, incomincia semiconsciamente, e diventa sempre più cosciente man mano che si sviluppa. Ma a certi momenti, una certa coscienza può apparire nel processo 'involutivo',sotto forma di opposizione cosciente al processo d'evoluzione.

"Da dove viene questa coscienza? Dal processo evolutivo, naturalmente. Questo deve procedere senza interruzione. Ogni arresto causa una separazione dal processo fondamentale. Questi frammenti sparsi di coscienza che sono stati arrestati nel loro sviluppo possono anche unirsi,e, per un certo tempo, vivere lottando contro il processo di evoluzione Dopo tutto, ciò non fa che renderlo più interessante. In luogo di una lotta contro delle forze meccaniche, può esserci, in certi momenti, una lotta contro l'opposizione intenzionale di forze realmente molto forti,benché la loro potenza non sia certamente da paragonare con la potenza delle forze che dirigono il processo evolutivo. Queste forze avverse possono anche a volte prendere il sopravvento, e ciò perché le forze che dirigono l'evoluzione hanno una scelta di mezzi più limitata; in altri termini, esse non possono fare uso che di certi mezzi e di certi metodi. Le forze avverse invece non sono limitate nella scelta dei mezzi, possono usarne diversi, anche quelli che non apportano che un successo temporaneo, e in fin dei conti annullano sia l'evoluzione che l'involuzione.

"Ma, come ho già detto, questo argomento è senza significato pratico per noi. Per noi, importa soltanto stabilire dove cominci l'evoluzione e come essa proceda. E se ci ricordiamo la completa analogia tra l'umanità e l'uomo, non sarà difficile stabilire se l'umanità sia in via d'evoluzione.

"Possiamo dire, a esempio, che la vita sia governata da un gruppo di uomini coscienti? Dove sono? Chi sono? Vediamo esattamente il contrario: che la vita è in potere dei più incoscienti e dei più addormentati.

"Possiamo dire di vedere nella vita una preponderanza degli elementi migliori, più forti, più coraggiosi? Per nulla. Al contrario, vediamo ovunque regnare la volgarità e la stupidità in tutti i loro aspetti.

"Possiamo dire infine di vedere nella vita aspirazioni verso l’unità,verso una unificazione? Certamente no. Noi non vediamo che nuove divisioni, nuove ostilità, nuovi malintesi.

"Di modo che, nella situazione attuale dell’umanità, nulla denota una evoluzione. Al contrario, paragonando l'umanità a un uomo, vediamo chiaramente il crescere della personalità a spese dell'essenza, vale a dire la crescita dell'artificiale, dell'irreale, di ciò che non ci appartiene, a spese del naturale, del reale, di ciò che è veramente nostro.

"Nello stesso tempo, constatiamo una crescita dell'automatismo.

"La civiltà contemporanea vuole degli automi. E le persone sono certamente sul punto di perdere le proprie abitudini di indipendenza,diventando sempre più simili ad automi, a pezzi di macchine. Non è possibile dire come finirà tutto questo né come uscirne, e neppure se ci sarà una fine o un'uscita. Una sola cosa è certa, ed è che la schiavitù dell'uomo non fa che aumentare. L'uomo sta diventando uno schiavo volontario. Non ha più bisogno di catene: incomincia ad amare la sua schiavitù, a esserne fiero. E nulla di più terribile potrebbe accadere ad un uomo.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 342-343

martedì 7 marzo 2017

Teorie intelletuali - Gurdjieff

"Naturalmente molta gente pensa che la vita dell'umanità non si svolge come dovrebbe, ed essa inventa ogni sorta di teorie destinate a rinnovarla completamente. Ma non appena viene fuori una teoria, un'altra le si oppone. Ciascun fautore di una teoria pretende raccogliere tutti i suffragi. Egli trova, in effetti, sempre dei partigiani. La vita, ben inteso, non per questo cambia il suo corso, ma la gente continua a credere alle proprie teorie, o a quelle che ha adottato e continua a credere che sia veramente possibile fare qualcosa. E tutte queste teorie sono completamente fantastiche, soprattutto perché esse non tengono in alcun conto ciò che è più importante, ossia la parte molto secondaria che spetta all'umanità ed alla vita organica, nel processo cosmico. Le teorie intellettuali pongono l'uomo al centro di tutto. Come se tutto non esistesse che per lui: il sole, le stelle, la luna, la terra! Esse arrivano a dimenticare persino la misura dell'uomo, la sua nullità, la sua esistenza effimera, ecc... Ed esse asseriscono che un uomo può, se lo vuole, cambiare tutta la sua vita, cioè organizzarla su principi razionali. Vediamo così apparire continuamente nuove teorie che suscitano teorie opposte ed esse tutte assieme, con i loro conflitti incessanti, costituiscono senza alcun dubbio una delle forze che mantengono l'umanità nella condizione in cui si trova attualmente. D'altronde tutte queste teorie 'umanitarie' o di 'eguaglianza' non soltanto sono irrealizzabili, ma sarebbero fatali se si realizzassero. Tutto, nella natura, ha il suo scopo e il suo senso, la diseguaglianza tra gli uomini così come la loro sofferenza. Distruggere la diseguaglianza porterebbe a distruggere ogni possibilità di evoluzione. Distruggere la sofferenza equivarrebbe per prima cosa a distruggere tutta una serie di percezioni per le quali l'uomo esiste, e in seguito a distruggere lo 'choc', cioè la sola forza che possa cambiare la situazione. Ed è la stessa cosa, per tutte le teorie intellettuali.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, p 341

Evoluzione e processo equilibrato - Gurdjieff

"Noi non abbiamo indizi che ci permettano di precisare in quale periodo dell'evoluzione planetaria ci troviamo, né se la terra e la luna avranno o no il tempo d'attendere che la vita organica si sviluppi fino allo stadio voluto della sua evoluzione. Ma coloro che sanno, naturalmente, possono avere delle informazioni esatte in proposito, ossia possono definire in quale fase della loro evoluzione si trovino la terra, la luna e l'umanità. Per quel che ci concerne, noi non possiamo sapere, ma dovremmo ricordarci che il numero delle possibilità non è mai infinito.

"D'altra parte se esaminiamo la vita dell'umanità quale nei la conosciamo sul piano storico, non dovremmo convenire che l'umanità gira in un circolo vizioso? Essa distrugge nel corso di un secolo tutto ciò che ha costruito in un altro, ed essa paga attualmente il suo progresso meccanico degli ultimi cento anni, con la perdita di molti altri valori, forse ben più preziosi, a spese dei quali è avvenuto questo progresso. In generale, ci sono tutte le ragioni per pensare e affermare che l'umanità è attualmente in un periodo di stagnazione; e di qui al declino ed alla degenerazione il passo è breve. Una stagnazione significa che un processo si è equilibrato. L'apparizione di una qualità qualsiasi provoca immediatamente l'apparire di un'altra qualità di natura opposta. La crescita del sapere in un campo comporta la crescita dell'ignoranza in un altro; la raffinatezza porta con sé la volgarità, la libertà, la schiavitù, il retrocedere di certe superstizioni favorisce lo sviluppo di altre, e così di seguito.

"Ora, ricordando la legge d'ottava, vedremo che un processo equilibrato che si effettua in un certo modo non può essere modificato a volontà in un momento qualsiasi. Un cambiamento può intervenire, una nuova via può essere presa, soltanto a certi 'incroci'. Nell'intervallo tra un 'incrocio' e l'altro nulla può essere fatto. E se un processo passa per un 'incrocio' senza che nulla accada, senza che niente sia fatto, è già troppo tardi: il processo continuerà a svilupparsi secondo leggi meccaniche; anche se coloro che prendono parte a questo processo vedono l'imminenza di una distruzione totale, non saranno in grado di far niente. Lo ripeto, ci sono cose che non possono essere fatte se non in certi momenti, cioè a questi 'incroci' che, nelle ottave, abbiamo definito gli intervalli mi-fa e si-do.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 340-341

Ogni vera religione - Gurdjieff

"Dovete capire, diceva, che ogni vera religione, parlo di quelle create con uno scopo preciso da uomini veramente sapienti, comporta due parti. La prima insegna ciò che deve essere fatto. Questa parte rientra nella sfera delle conoscenze generali e si corrompe col tempo man mano che si allontana dalla sua origine. L'altra parte insegna come fare ciò che insegna la prima. Essa è conservata segretamente in certe scuole e col suo aiuto è sempre possibile rettificare ciò che è stato falsato nella prima parte, o reintegrare ciò che è stato dimenticato.

"Senza questa seconda parte, non può esistere conoscenza della religione o, in ogni caso, questa conoscenza resta incompleta e molto suggestiva.

"Questa parte segreta esiste nel Cristianesimo, così come in tutte le altre religioni autentiche, e insegna come seguire i precetti del Cristo e ciò che essi realmente significano".


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 337-338