mercoledì 29 novembre 2017

Tutte le strade portano a Te - Ligabue

Tu che sei ciò che sei
che non cambierai mai
promettimi che ci sarà sempre un posto
che tieni caldo per me

fino a che
tutte le strade portano a Te
lascia che piova pure
prendiamo il Sole che c'è
fino a che
tutte le strade portano a Te
non ci si può sbagliare
prendiamo il tempo che c'è


lunedì 27 novembre 2017

L'informazione è potere - Aaron Swartz

L'informazione è potere. Ma, come per ogni tipo di potere, c'è chi vorrebbe tenerla per sé. L'intera eredità scientifica e culturale del mondo, pubblicata nel corso dei secoli in libri e riviste, è sempre più digitalizzata e resa inaccessibile da parte di una manciata di società private. Vuoi leggere i documenti che contengono le più famose scoperte scientifiche? Devi pagare un prezzo enorme a editori come Reed Elsevier.
C'è chi sta lottando per cambiare questa situazione. Il movimento per l'Open Access ha combattuto valorosamente per assicurarsi che gli scienziati non dessero via il copyright sul proprio lavoro ma che invece lo pubblicassero su Internet, a condizioni che consentano a chiunque di accedervi.
Nel vecchio sistema delle comunicazione di massa eri principalmente limitato dalla quantità di spazio nelle onde radio. Puoi spedire solo 10 canali attraverso le onde radio per ricevere la televisione. Con i cavi puoi anche arrivare a 500 canali. In Internet tutti hanno un canale. Tutti possono avere un blog. Tutti hanno un modo per esprimersi. Quindi quello che vedi ora non è una questione su «chi ha accesso alle onde radio?». La domanda è «chi prende il controllo dei mezzi con cui trovi le persone?». Abbiamo iniziato a vedere il potere centralizzarsi in siti come Google, questa sorta di portinai che ti dicono dove trovi in Internet dove vuoi andare. La gente che ti fornisce le tue fonti delle notizie. Quindi il problema non è che solo certe persone abbiano la possibilità di parlare, ora tutti hanno la possibilità di parlare. È una questione di «chi viene ascoltato?»

Aaron Swartz (1986 – 2013)

Non scendo dalla croce

Ero uscito di casa
per saziarmi di sole.
Trovai un uomo
che si dibatteva
nel dolore
della crocifissione.
Mi fermai e gli dissi:
"Permetti che ti aiuti"?

Lui rispose:
"Lasciami dove sono.
Non scendo dalla croce
fino a quando sopra
vi spasimano i miei fratelli,
fino a quando
per staccarmi
non si uniranno
tutti gli uomini".

Gli dissi:
"Che vuoi
che io faccia?".
Mi rispose:
"Va per il mondo
e dì a tutti coloro
che incontrerai
che c'è un uomo
che aspetta
inchiodato
sulla croce". 




 http://www.testimonianzecristiane.it/preghiere/preghiere/scendocroce.htm

Krishna

Non cercare riposo su quel piano in cui le cose terrene danno vita a pensieri e desideri, perché se lo fai, verrai trascinato attraverso l'aspra selva della vita, che è estranea a Me. Ogni volta che senti che i tuoi piedi si stanno impigliando nelle ingarbugliate radici della vita, sappi allora che ti sei allontanato dal sentiero al quale Io ti chiamo, perché Io ti ho posto su sentieri larghi e piani che sono cosparsi di fiori.
Ho posto davanti a te una luce che tu puoi seguire e cosí correre senza inciampare.
Bharati p. 212, Tolstoj p. 181


Chi è ugualmente tranquillo davanti ad amici e nemici, (ricevendo) adorazione e insulti, e durante le esperienze di caldo e freddo e di piacere e sofferenza; chi ha rinunciato all'attaccamento, considerando allo stesso modo lode e biasimo; chi è tranquillo e contento con qualunque cosa, non attaccato alla vita di casa, ed ha una natura calma e piena di devozione – questi Mi è caro.
Bhagavadgītā


È uno yogi eccelso chi guarda con mente equanime tutti gli uomini: benefattori, amici, nemici, stranieri, mediatori, esseri odiosi, parenti, peccatori e santi. Bhagavadgītā


O voi che siete in catene e continuamente cercate e agognate la libertà, cercate soltanto l'amore. L'amore è la pace stessa, una pace che dà una soddisfazione completa.
Bharati p. 167, Tolstoj p. 193


La mia mano ha seminato amore in ogni parte, dando a tutti coloro che vogliono ricevere. Doni vengono offerti a tutti i miei figli, ma molte volte, nella loro cecità, essi non riescono a vederli. Come sono pochi quelli che raccolgono i doni che giacciono in abbondanza ai loro piedi; come sono numerosi invece quelli che, con volontaria ostinazione, allontanano gli occhi da questi doni e si lamentano, gemendo, di non avere ciò che Io ho dato loro! Molti di loro ripudiavano spavaldamente non solo i miei doni, ma anche Me: Me, la fonte di ogni bene e l'autore del loro essere.
Bharati p. 161, Tolstoj p. 185


Chi sono Io? Io sono ciò che tu hai cercato fin da quando i tuoi occhi di neonato guardavano con stupore il mondo, il cui orizzonte non fa altro che nascondere ai tuoi occhi questa vita reale. Io sono ciò per cui nel tuo cuore tu hai pregato, ciò che tu hai rivendicato come tuo diritto di nascita, anche se non sapevi che cosa fosse. Io sono ciò che ha dimorato nella tua anima per centinaia e migliaia di anni. Qualche volta Io stavo in te in grande tristezza perché non mi riconoscevi; altre volte alzavo la testa, aprivo gli occhi e protendevo le braccia, chiamandoti talora teneramente e tranquillamente, talora con energia, esortandoti a ribellarti contro le dure, ferree catene della terra che ti tenevano legato alla creta.
Bharati p. 192, Tolstoj p. 190


Possiamo unirci nel glorificare il nome di Dio e se avete pregiudizi verso il nome di Kṛṣṇa, cantate "Cristo" o "Kṛṣta", non c'è differenza.
A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada


Tutte le volte che l'ordine (dharma) vacilla, Krishna stesso si manifesta (IV, 7) e rivela, in maniera adeguata al determinato 'momento storico', questa saggezza atemporale (questa è la dottrina dell'avatār).
Mircea Eliade


 https://it.wikiquote.org/wiki/Krishna




Qualsiasi ordine è imposto con la forza - Osho

Il reale è sempre imprevedibile ed è sempre caotico. Qualsiasi ordine è imposto con la forza. Nel caos esiste un ordine spontaneo che ha una sua bellezza. Ma, poichè è imprevedibile, non può essere controllato e l'ego ne resta spaventato.

L'ego vuole sempre controllare ogni cosa: ama l'ordine e ha paura del caos.  Il caos è la morte dell'ego, ma il divino è caos, ed è imprevedibile. Sprigiona la tua realtà!


Osho

Schiavi e liberi - Friedrich Nietzsche

« Tutti gli uomini si distinguono, come in ogni tempo anche oggi, in schiavi e liberi; poiché chi non ha per sé due terzi della sua giornata, è uno schiavo, qualunque cosa poi sia: uomo di Stato, commerciante, funzionario, dotto. »


 Friedrich Nietzsche, “Umano, troppo umano”, I, 283


sabato 25 novembre 2017

Vivere è Cristo

Non morremo mai più. Anche se questo corpo sarà preda della corruzione, noi vivremo in Cristo, come egli stesso ha detto: "Chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Gv 11, 25). Siamo quindi certi, sulla parola di Dio, che Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti i santi di Dio vivono. Il Signore effettivamente ha detto che vivono, perché colui che è il loro Dio è "Dio dei vivi e non dei morti". Parlando di se stesso, l'Apostolo afferma: "Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno; desidero di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo" (Fil 1, 21-23)...

Questa è la nostra fede, o carissimi fratelli. Del resto, "se noi riponiamo la nostra speranza soltanto in questo mondo, siamo da compiangere più di tutti gli uomini" (1 Cor 15, 19). La nostra vita materiale, come voi medesimi potete osservare, ha la stessa durata di quella delle fiere, degli animali, degli uccelli e magari anche minore. Caratteristica dell'uomo invece è di ottenere quello che Cristo ha dato per mezzo del suo Spirito, la vita eterna, a patto però che non pecchiamo più. Come la morte viene a causa del peccato, così dalla morte siamo liberati per mezzo della santità; la vita si perde col peccato, mentre viene salvata dalla santità. "La morte è il salario del peccato; ma dono di Dio è la vita eterna, in Gesù Cristo nostro Signore" (Rm 6, 23).

Bene e male

A volte mi chiedo se tutto questo male, queste divisioni, frammentazioni sono dovute e volute anche da chi, iniziati, illuminati, risvegliati, chiamateli come vi pare, per creare in tutti noi ulteriori attriti, affinché dopo tante sofferenze e prese di coscienza, ci si possa migliorare, unificare, deframmentare. La parola diavolo significa proprio, colui che divide, frammenta. E se molti dividono in modo inconsapevole forse c'è qualcuno che lo fa di proposito completamente consapevole di ciò che sta facendo. Creatori e manutentori di grandi cerchi. C'è chi cerca di starci dentro, giocando consapevolmente dentro ad un meccanismo perverso e divisorio, altri cercano di distruggerli e anche qui chi più o chi meno consapevolmente. Allora la famosa frase di Goethe (...e così, chi sei infine? Io sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male e eternamente compie il bene) sembra avere un qualche senso. Un senso che distrugge ogni possibile certezza fino ad ora conosciuta. In cui si intravede un qualcosa di profondamente inconoscibile in cui Dio non è solo sommo bene ma anche sommo male. Ma tutto questo è difficile da accettare, se allora è tutto un gioco, un'illusione, un gigante bluff di consapevolezza e inconsapevolezza, di felicità e tristezza... perchè? Perchè ridursi, dividersi così per poi unificarsi, risalire con tanta sofferenza e tristezza, per combattere l'odio, far fiorire l'amore. Questa è la vita? Che senso ha tutto questo? E allora anche un'altra famosa frase del grande mistico sufi Rumi mi viene in soccorso per non soccombere:
Al di là del bene e del male esiste uno spazio. Lì è dove ti reincontrerò...






mercoledì 22 novembre 2017

Raramente vediamo ciò che guardiamo - Gurdjieff

Raramente vediamo ciò che guardiamo. Se lei ha sentito parlare di qualcuno prima di conoscerlo, se ne fa un’immagine, e se questa immagine ha qualche somiglianza con l’originale, è l’immagine che viene fotografata, non la realtà. L’uomo è una personalità piena di pregiudizi. Quelli che chiamiamo pensieri non sono pensieri. Non abbiamo pensieri: abbiamo varie etichette, alcune brevi, altre concise, altre lunghe, ma nient’altro che etichette. Queste etichette vengono trasferite da un posto all’altro


 G.I. Gurdjieff

La mappa non è il territorio - Richard Bandler

La mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata; è un errore confondere il modello con la realtà. Ogni persona di questo mondo possiede una propria visione della realtà. Noi traduciamo continuamente la realtà che ci circonda in rappresentazioni interne che costituiscono la nostra mappa soggettiva. La mappa sono i nostri pensieri, il nostro modo di vedere il mondo, ed il territorio è il mondo e la realtà esterna. Questo significa che quello che pensiamo non è necessariamente quello che è. Ne consegue che ciascuno di noi può avere un diverso modello del mondo pur vivendo nello stesso mondo reale. L'errore più diffuso e la causa di molti dei mali della nostra civiltà, è quello del voler imporre, spesso inconsciamente, la propria mappa della realtà agli altri.



Richard Bandler


I vostri bambini - CM

Ho passato la mia vita in carcere.

Ho sempre visto la gente del mondo libero come i buoni
e la gente nelle prigioni come i cattivi.
Sono sempre stato in galera e sono rimasto stupido,
osservando il vostro mondo crescere,
senza riuscire a capirlo, senza capire le cose che voi fate.
Ho fatto del mio meglio per tirare avanti nel vostro mondo.
Ho fatto tutto ciò che ho potuto per andare d’accordo con voi e non ho ordinato a nessuno di voi
di fare nulla di più di quello che voleva fare.
quello che voglio è essere in pace
qualunque cosa comporti.

Ma questo non me lo permettete.
Perché il vostro mondo è fatto di immondizia ai lati della strada,
e io sono una delle vostre immondizie.
Ora volete uccidermi. Ma io sono già morto, lo sono stato per tutta la mia vita.
Io vivo nel mio mondo,
e sono il re del mio mondo,
anche se è un immondezzaio,
se è nel deserto
o da qualunque altra parte.
Voi potete uccidere il corpo
ma non potete uccidere l’anima
L’anima è sempre là
all’inizio e alla fine
non potete fermarla
è più grande di me
Nella mia mente io vivrò per sempre
e nella mia mente io ho sempre vissuto
sono solo quello che avete costruito.
Vi aspettate di spezzarmi?
Impossibile, mi avete spezzato anni fa.
Stavo seduto in cella
quando il tipo mi apriva la porta e diceva “vuoi uscire?”
io lo guardavo e dicevo:
e tu vuoi uscire? tu sei in prigione, tutti voi siete in prigione
la legge che è in voi è peggiore della legge che è in me.

Voi avete reso i vostri bambini quello che sono, questi bambini che vengono da voi con i coltelli, sono i vostri bambini, glielo avete insegnato voi.
Dite quanto sono cattivi e assassini i vostri bambini, ma glielo avete insegnato voi.

Voi avete resi i vostri bambini quello che sono.
Ai bambini spiegate che cosa non devono fare nella speranza che escano e lo facciano, cosicché voi possiate giocare il vostro gioco con loro.
Ai soldati insegnate ad uccidere,
e loro vanno ed uccidono
poi li processate e li mettete in prigione perché hanno ucciso.
Se un soldato va sul campo di battaglia ci va rischiando la sua vita,
ma questo gli dà il permesso di prenderne una?

Non ho niente contro nessuno di voi.
Non posso giudicare nessuno di voi.
Ma penso che sia il momento buono perché voi tutti cominciate a guardarvi, e giudichiate le bugie nelle quali vivete.
Voi non siete voi, siete solo dei riflessi, siete riflessi di tutto ciò che credete di sapere, di tutto quello che vi è stato insegnato;
i vostri genitori vi hanno detto che cosa siete,
vi hanno costruito prima che voi aveste sei anni
e quando voi eravate a scuola e vi facevate il segno della croce e giuravate fedeltà alla bandiera,
essi in realtà vi intrappolavano
perché a quell’età voi non conoscevate nessuna menzogna
finché quella menzogna non fu riflessa su di voi,
è sbagliato non avere denaro, è sbagliato pagare in ritardo le rate della macchina, è sbagliato rompere la TV, è sbagliato, è sbagliato,
voi continuate, lo ammucchiate nella vostra mente, voi siete bastonati da tutto ciò e dalla vostra confusione.
Ognuno di voi è solo un riflesso degli altri
Voi non mi sembrate veri.
Voi mi sembrate il composto di ciò che qualcuno vi ha detto che siete
voi vivete per le opinioni degli altri
non siete sicuri di come siete
e vi chiedete se sembrate a posto.
prendete un’altra alka seltzer
e un’altra aspirina e sperate di non dover pensare alla verità.
Perché? Perché? Perché?
I vostri perché vengono da vostra madre
vostra madre vi insegna i perché
voi continuate a chiedere e lei continua dirvi i suoi perché
e vi riempite il vostro piccolo cervello di perché.
Voi proiettate paura,
e cercate qualcosa su cui proiettarla.
Quando siete piccoli tenete la bocca chiusa
e quando qualcuno vi dice “seduto”
voi vi sedete finché non capite che lo potete colpire
e se lo capite vi alzate lo colpite e dite a lui di sedersi.

L’ira che riflettete su di me
è l’ira che avete nei vostri confronti.
Io sono voi
Voi siete il mio sangue
Voi siete mio fratello
è per questo che non posso combattervi.
Non mi interessa come vi sembro
non mi interessa cosa pensate di me
e non mi interessa sapere cosa farete di me.

Non avete alcuna idea di quello che state facendo, e voi state facendo ciò che fate solo per denaro.
Non passerà molto tempo prima che vi uccidiate tutti da soli, perché voi siete tutti pazzi.
Voi siete tutti assassini,
voi uccidete cose migliori di voi.
L’essere umano non esisterà ancora per molto tempo
Dio vi chiederà di prendervi le vostre responsabilità

Dovreste tutti guardarvi attorno, affrontare i vostri bambini e cominciare a seguirli e ascoltarli.
Ma siete troppo sordi, muti e ciechi, per fermare ciò che state facendo.

Ma va bene. Va tutto bene. Non fa davvero nessuna differenza perché comunque stiamo andando tutti nello stesso posto.
Tutto è perfetto.

Voi avete portato sul banco dei testimoni il tizio che è contrario ad uccidere
e gli state chiedendo di uccidervi
di giudicarvi
perché voi tutti sapete
e io so che voi sapete,
e voi sapete che io so che voi sapete.
Quindi, chiudiamo il cerchio.

CM

Tu non sei i tuoi pensieri - Osho

Non identificarti con pensieri ed emozioni
Se vuoi eliminare il dominio della mente su di te, distruggi tutte le identificazioni che hai con essa. Un pensiero nasce dentro di te – non diventare tutt’uno con esso! Perché se lo fai, gli dai forza. Rimani invece a distanza, come se ti trovassi a lato della strada e guardassi la gente passare. Guarda il pensiero come se fosse una nuvola su in alto nel cielo, mentre tu sei lontano, sulla terra. Non identificarti, non diventare tutt’uno con i tuoi pensieri. Non dire: “Questo è il mio pensiero”. Appena dici ‘mio’, ti sei identificato e, appena ti sei identificato, tutta la tua energia fluisce verso quel pensiero. È questa energia che ti rende schiavo; ed è la tua stessa energia! Non identificarti. Quando cominci a prendere le distanze dai tuoi pensieri, essi iniziano a perdere forza e a diventare senza vita, perché non ricevono più energia.

Aspetta la pausa
Quando arriva la rabbia, mettiti da una parte, a distanza, e osservala. Lascia che cresca e permei tutto il tuo corpo. Ti avvolgerà da ogni lato. Lasciala fare! Devi solo ricordarti una piccola cosa – tu non sei la tua rabbia. Non avere fretta di saltarci dentro, perché allora sarà difficile uscirne. Osservala, ma rimani fermo su di un punto: se davvero devi rispondere alla persona che ti ha insultato, fallo quando la rabbia è scomparsa. Per nessuna ragione fallo prima di allora.
All’inizio sarà difficile, sarà davvero arduo. Dovrai essere molto vigile, stare in guardia, ma pian piano diverrà più facile. Più grande è la distanza che crei tra te stesso e i tuoi pensieri, meglio riuscirai a prendere il controllo. Ma tu stai così vicino ai tuoi desideri da dimenticarti perfino che c’è una distanza tra te e loro, che tra voi due c’è un intervallo vuoto, una pausa.
Inizia da oggi. I risultati non verranno subito, perché la vicinanza, l’associazione con i tuoi pensieri, è esistita per vite e vite. Questi vecchi rapporti non possono essere spezzati in un giorno; ci vorrà tempo, ma anche un piccolo sforzo da parte tua produrrà dei risultati, perché questa è una falsa identificazione.
Fino a quando la mente è la padrona, tu rimarrai uno schiavo. Nel momento in cui comprendi la realtà, la libertà accade naturalmente. Non lottare con la mente. Se combatti, questa libertà spontanea non accadrà. Se lotti, stai mettendo la mente sul tuo stesso piano. Tu combatti con qualcuno solo se lo consideri uguale a te. Prima era un amico, ora è un nemico. Il padrone non è allo stesso livello, il padrone è sempre più in alto, in cielo, mentre il servo è giù, sulla terra. Quando sei il padrone, acquisti una libertà che è naturale, unica.
Tu sei l’osservatore! La rabbia viene e va, ma il testimone rimane. Ricordare quel testimone ti rende sempre più integrato, perché esso è l’unico centro eterno, che non scompare mai. Solo sulla roccia eterna dell’osservazione si può costruire una vita autentica.


 http://fabriziobartolini.blogspot.it/2012/02/tu-non-sei-i-tuoi-pensieri-non.html

lunedì 20 novembre 2017

Hai un momento Dio - Luciano Ligabue



C'ho un po' di traffico nell'anima, non ho capito che or'è
c'ho il frigo vuoto, ma voglio parlare perciò, paghi te.
Che tu sia un angelo od un diavolo, ho 3 domande per te:
chi prende l'inter, dove mi porti e poi dì, soprattutto perché?
Perché ci dovrà essere un motivo, no?
Perché forse la vita la capisce chi è più pratico.

Hai un momento Dio?
No, perché sono qua, insomma ci sarei anch'io.
Hai un momento Dio?
O te o chi per te, avete un attimo per me?

Li pago tutti io i miei debiti, se rompo pago per tre
quanto mi costa una risposta da te, di su, quant'è?
ma tu sei lì per non rispondere, e indossi un gran bel gilet
non bevi niente e io non ti sento com'è?
Perché?
Perché ho qualche cosa in cui credere
perché non riesco mica a ricordare bene che cos'è.

Hai un momento Dio?
No perché sono qua, se vieni sotto offro io.
Hai un momento Dio?
Lo so che fila c'è ma tu hai un attimo per me.

Nel mio stomaco son sempre solo, nel tuo stomaco sei sempre solo
ciò che sento, ciò che senti, non lo sapranno mai....

Almeno dì se il viaggio è unico e se c'è il sole di là
se stai ridendo, io non mi offendo però, perché
perché nemmeno una risposta ai miei perché
perché non mi fai fare almeno un giro col tuo bel gilet.

Hai un momento Dio?
No perché sono qua , insomma ci sarei anch'io
Hai un momento dio?
O te o chi per te avete un attimo per me?


Vocazione di San Matteo

Vocazione di San Matteo, Caravaggio

Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!».
Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?». Ed egli rispose: «Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!». Pietro allora gli disse: «Spiegaci questa parabola». Ed egli rispose: «Anche voi siete ancora senza intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna? Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l'uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l'uomo».
Matteo 15, 10-20


«I dodici apostoli non erano perfetti. Gesù non li chiamò perché erano già santi, ma affinché lo diventassero, affinché fossero trasformati, per trasformare così anche la storia»
Benedetto XVI

domenica 19 novembre 2017

I bambini dagli occhi di Sole - Sri Aurobindo

Ho visto i luminosi pionieri dell'Onnipotente

al confine dove il cielo si volge verso la vita,

scendere le scale d'ambra della nascita;

i precursori di una Divina moltitudine.

Essi venivano sul Sentiero della Stella del Mattino,

nella piccola stanza della vita mortale.

Li ho visti attraversare la penombra di una età

i bambini dagli occhi solari

portatori di una meravigliosa Aurora,

i grandi creatori dal calmo aspetto.

Li ho visti gli abbattitori delle barriere del mondo

i lottatori contro il destino nato dalla paura.

Li ho visti i lavoratori della Casa degli Dei,

i messaggeri di ciò che non può essere comunicato,

gli architetti dell'immortalità.

Li ho visti cadere nella sfera umana,

con i volti ancora luminosi della gloria immortale,

con voci che ancora parlavano con i pensieri di Dio,

con corpi resi splendenti dalla Luce dello spirito.

Portavano la Magica Parola, il Mistico Fuoco,

la dionisica Coppa della Gioia.

Li ho visti, i bambini che rendono l'uomo migliore,

coloro che cantano uno sconosciuto inno dell'Anima.

Ho sentito l'eco dei loro passi nei corridoi del tempo.

Ho visto gli alti sacerdoti della Saggezza,

della dolcezza, della Potenza e della Felicità Celeste,

i rivelatori delle vie solari della Bellezza,

i nuotatori delle acque tempestose dell'Amore,

i danzatori che aprono le porte d'oro del Nuovo Tempo.

Sono quì.

Camminano fra noi per mutare la sofferenza in gioia,

per giustificare la Luce sul volto della Natura.


Tratto da Luci dei Maestri








http://www.vedanta.it/index.php?option=com_content&view=article&id=153&Itemid=330

I pensieri - Sri Aurobindo

"E ora, arrivando fino a un livello più ordinario, ognuno ha in sé, in misura maggiore o minore, il potere di dare forma alla sua attività mentale ed usare questa forma o nella sua attività consueta o per creare e realizzare qualche cosa.

Stiamo sempre, sempre, creando immagini, creando forme. Noi le spediamo nell'atmosfera senza nemmeno sapere che facciamo così – vanno errando, passando da una persona ad un’altra, incontrano compagni, qualche volta si riuniscono e procedono felicemente, qualche volta si creano conflitti, e ci sono battaglie; perché spesso, molto spesso, in queste immaginazioni mentali c'è un elemento piccolo di volontà che cerca di realizzare sé stesso, e dopo tutti cercano di spedire fuori la loro formazione così che possa agire, così che le cose accadano come vuole e, siccome ognuno fa questo, si crea una confusione generale.

Se i nostri occhi fossero aperti alla visione di tutte queste forme nell’atmosfera, vedremmo cose molto sorprendenti: campi di battaglia, onde, assalti, ritirate di una folla di piccole entità mentali che continuamente sono gettate fuori nell'aria e sempre provano a realizzare se stesse.

Tutte queste formazioni hanno una tendenza comune a volersi materializzare e realizzare fisicamente, e siccome sono innumerevoli - sono di gran lunga troppe perché ci sia spazio abbastanza sulla terra perché ognuna possa manifestarsi - si spingono e si danno gomitate una con l'altra, cercando di spingere indietro quelle con cui non vanno d'accordo o anche formano eserciti che marciano in buon ordine, sempre prendendo il posto disponibile in tempo e spazio- è solo un spazio proprio piccolo paragonato con la quantità innumerevole di creazioni.

Così, individualmente, questo è quello che accade. Alcune persone lo fanno senza saperlo- forse quasi tutti- e sono sballottate continuamente da una cosa ad un’altra, e speranze e desideri sono delusi, qualche volta senza traumi, qualche volta con disperazione, perché loro non hanno nessun controllo o dominio sopra queste cose.

Ma l'inizio della saggezza è guardare noi stessi e pensare e vedere questo fenomeno, divenire consapevole di questa costante proiezione nell'atmosfera di piccole entità vive che tentano di manifestarsi.

Tutto questo viene fuori dall'atmosfera mentale che portiamo dentro noi stessi. Una volta che vediamo ed osserviamo, possiamo cominciare a selezionare, respingendo quelle che non sono in conformità con la nostra volontà più elevata o aspirazione e permettendo soltanto alle formazioni che possono aiutarci ad avanzare e svilupparci normalmente, di spostarsi verso la manifestazione.

Questo è il controllo attivo del pensiero".

Tratto da Metaphysica


http://www.vedanta.it/index.php?option=com_content&view=article&id=152&Itemid=329

L'Eterna Tenebra della Luna

Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil tempo che si perde a giuoco, e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco, i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.
Ariosto, «Orlando Furioso», canto XXXIV.


Tutto ciò che tocchi
Tutto ciò che vedi
Tutto ciò che assaggi
Tutto ciò che senti
Tutto ciò che ami
Tutto ciò che odi
Tutto ciò di cui diffidi
Tutto ciò che salvi
Tutto ciò che dai
Tutto ciò che baratti
Tutto ciò che compri
Elemosini o prendi in prestito o rubi
Tutto ciò che crei
Tutto ciò che distruggi
Tutto ciò che fai
Tutto ciò che dici
Tutto ciò che mangi
Chiunque tu incontri
Tutto quello che disprezzi
Chiunque tu combatti
Tutto ciò che è adesso
Tutto ciò che è andato
Tutto ciò che verrà
E tutto quanto sotto il sole è in sintonia
Ma il sole è eclissato dalla luna.
(Non c'è un lato oscuro della luna, davvero. In realtà è tutta scura.)
Pink Floyd, «The Dark Side of the moon», Eclipse


"Per esempio, l'evoluzione dell'umanità oltre un certo limite, o più esattamente oltre una certa percentuale, sarebbe fatale alla luna. Attualmente la luna si nutre della vita organica, si nutre dell'umanità. L'umanità è una parte della vita organica; questo significa che l'umanità è un nutrimento per la luna. Se tutti gli uomini divenissero troppo intelligenti, non vorrebbero più essere mangiati dalla luna.
   "Ma, allo stesso tempo, le possibilità di evoluzione esistono e possono essere sviluppate in individui distinti, con l'aiuto di conoscenze e metodi appropriati. Tale sviluppo può soltanto avere luogo nell'interesse dell'uomo, in opposizione alle forze e, si potrebbe dire, agli interessi del mondo planetario. Una cosa l'uomo deve ben comprendere: la sua evoluzione non è necessaria che a lui. Nessun altro vi è interessato, ed egli non deve contare sull'aiuto di nessuno; infatti, nessuno è tenuto ad aiutarlo e neppure ne ha l'intenzione. Al contrario, le forze che si oppongono all'evoluzione di grandi masse umane, si oppongono anche all'evoluzione del singolo. Spetta a ciascuno di eluderle. E se un uomo può sottrarsi ad esse, l'umanità non lo può. Comprenderete più tardi come questi ostacoli siano utili; se non esistessero bisognerebbe crearli intenzionalmente, poiché soltanto vincendo degli ostacoli l'uomo può sviluppare in sé le qualità di cui ha bisogno.
 P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, pp 67


E tuttavia devo a lui la paura di perdermi, e l’urgenza di salvarmi in questa vita. Io non sono suo discepolo, né mai ho provato e preteso di ripetere i suoi esercizi fisici, armonici e musicali. Direte: potevo apprenderlo già dal Vangelo, dalla Chiesa. Ma da quanto tempo la Chiesa non parla più della perdizione, e dell’urgente necessità di scamparla? O come mai ciò che predicano cardinali e vescovi non lascia nell’anima il senso di quell’urgenza? Gesù adottò anch’Egli un linguaggio estremo, preso dalle zone estreme della lingua, per spingerci all’urgente necessità. «Se il vostro occhio ti è di scandalo, strappalo da te; meglio per te entrare nella Vita con un occhio solo, che con due occhi finire nella Geenna». «Non ciò che entra nell’uomo lo rende impuro, ma ciò che ne esce. Perché ciò che entra va a finire nel cesso…». «Sepolcri imbiancati, pieni dentro di sporcizia». Ed anche «le tenebre esteriori», lo «stridor di denti», vengono da una zona inaudita perché – al contrario di Lui – non ne sappiamo niente. Non ne sappiamo per ora. Spiace dirlo, ma non pare di sentire simili estreme parole dalla bocca dei cardinal Martini, Tettamanzi o Ruini. Cristo forgiò una lingua rovente, apposta per scuoterci. Com’è che gli ecclesiastici non sentono lo stesso bisogno? Ripetono tiepide formule usuali, apprese, levigate dall’unzione e inefficaci; che non imprimono alcuna urgenza, e nemmeno alcuna convinzione. Forse se ne vergognano? O credono che delle espressioni forti e originalmente terribili si sia abusato in passato? Forse. Ma temo che il motivo sia un altro. E’ che la loro fede è diventata moralistica, ed ha finito per essere di morale «sociale». Anche in questi giorni, tra i motivi per cui ci si deve opporre ai PACS e alle nozze gay, hanno ripetuto che è in gioco «la famiglia» (ed è vero); contro l’aborto e l’eutanasia, invocano il «rispetto della vita» (verissimo). Ma per quale motivo dovrebbero starli a sentire gli increduli, convinti che non ci sia alcun aldilà, che certi atti non portino ad alcuna «tenebra esteriore», ad alcuna riduzione della vita alla schiavitù gelida e paralizzata del minerale? L’appello alla morale non ha alcun senso, se non si paventano «le tenebre esteriori» in cui «non c’è più salvezza possibile». In questione, coi PACS e l’aborto o l’eutanasia, non è solo o tanto la salute della società naturale; è in gioco il nostro destino, la nostra perdizione. Forse c’è il timore di essere derisi se si evoca il peccato. Ma «peccato» è già parola moralistica. Ciò che descrive invece Gurdjeff è un processo oggettivo, impersonale, basato sulle leggi ferree dell’universo, quasi una fisica spirituale. Chi non esercita il dominio sui sensi, chi si contenta di essere quello che già è, a suo gusto e senza sforzarsi di risalire la corrente delle «48 leggi» che ci condizionano, diventa ineluttabilmente quella poltiglia umana, personalità evanescente e informe, che finisce sulla Luna. Là si accumulano residui d’anime senza forza né «io» vero, cadute sotto il giogo delle 96 condizioni. Infatti lassù «non c’è che pianto e stridor di denti», ossia: nemmeno più gli «io» sussistono, ma solo sub-personalità cristallizzate nel gelo estremo, inimmaginabile. 
Maurizio Blondet, http://www.azionetradizionale.com/2007/02/19/gurdjieff-e-la-luna/



La parabola dei talenti

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 25,14-30.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due.
Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;
per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.
Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;
avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.
Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.
E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».


Traduzione liturgica della Bibbia



Meditazione del giorno:

San Giovanni Crisostomo (ca 345-407), sacerdote ad Antiochia poi vescovo di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelie sul vangelo di Matteo, n. 78, 2-3


La parabola dei talenti

Uno dei servi disse: "Signore, mi hai dato cinque talenti"; un altro ne indica due. Riconoscono che hanno ricevuto da lui il mezzo per fare il bene; gli testimoniano una grande riconoscenza e gli rendono i loro conti. Cosa risponde il padrone? "Bene, servo buono e fedele (poiché è proprio della bontà vedere il prossimo); sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". Gesù designa così una beatitudine completa.

Quanto a colui che aveva ricevuto un talento, è andato a sotterrarlo. "Il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". Vedi, non è solo il ladro, l'uomo che cerca sempre d'arricchirsi, chi fa il male, che è punito alla fine; è anche colui che non fa il bene... Cosa sono questi talenti, infatti? E' la potenza di ognuno, l'autorità di cui ci si rallegra, la fortuna che si possiede, l'insegnamento che si può dare e ogni altra cosa di questo genere. Nessuno venga a dire: non ho che un talento, non posso farci niente. Poiché puoi, anche con un solo talento, agire in modo lodevole.

sabato 18 novembre 2017

Compromessi - Osho

Guarda certe persone: sono infelici perché hanno fatto compromessi su ogni punto, e non possono perdonarsi di aver fatto quei compromessi.
Sanno che avrebbero potuto osare di più, e invece hanno dimostrato di essere dei vigliacchi.
Hanno perso valore ai loro stessi occhi, hanno perso il rispetto di se stessi.
Ecco cosa fa il compromesso.

Osho

venerdì 17 novembre 2017

Dal Nero al Bianco

La tua più grande Maledizione sarà la tua più grande Benedizione
La tua Malattia sarà la tua Guarigione
Il tuo Calvario sarà la tua Risalita
La tua Oscurità sarà la tua Luce
La tua Croce sarà la tua Rosa
La tua Morte sarà la Vita Nuova

Grazia - Jeff Buckley


C'è la luna che chiede di restare
abbastanza a lungo da permettere alle nuvole di farmi volare via
bene, è giunto il momento per me di andare, non ho paura di morire
la mia voce sbiadita canta d'amore
ma lei piange per lo scorrere del tempo
del tempo


aspetta nel fuoco...

e lei piange sul mio braccio
camminando verso le luci scintillanti nel dolore
bevi un po' di vino, dobbiamo andarcene entrambi domani,
oh amore mio
e la pioggia cade e penso
che sia giunta la mia ora
e mi ricorda il dolore
che devo lasciarmi
dietro

aspetto nel fuoco...

e li sento soffocare il mio nome
è così facile sapere e dimenticare con questo bacio
non ho paura di andare, ma tutto procede così lentamente

Chi perderà la sua vita la salverà - Santa Faustina Kowalska

O giorno eterno, giorno desiderato,
ti attendo con nostalgia ed impazienza,
tra non molto l'amore scioglierà i veli,
e tu diverrai la mia salvezza.

Giorno stupendo, momento impareggiabile,
in cui vedrò per la prima volta il mio Dio,
lo Sposo della mia anima e il Signore dei Signori,
sento che la mia anima non proverà timore.

Giorno solennissimo, giorno luminoso,
in cui l'anima conoscerà Dio nella sua potenza,
e s'immergerà tutta nel Suo amore,
constatando che sono finite le miserie dell'esilio.

Giorno felice, giorno benedetto,
nel quale il mio cuore arderà per Te di ardore eterno
poiché fin d'ora Ti sento, sia pure attraverso i veli,
Tu, o Gesù, in vita e in morte sei per me estasi ed incanto.

Giorno che attendo da tutta la vita,
ed attendo Te, Dio,
poiché desidero soltanto Te.
Solo Tu sei nel mio cuore, tutto il resto è nulla per me.

Giorno di delizia, di eterne dolcezze,
Dio di grande Maestà, mio Sposo,
Tu sai che nulla soddisfa il cuore di una vergine.
Poserò il mio capo sul Tuo dolce Cuore.


Santa Faustina Kowalska (1905-1938), religiosa
Diario, § 1229 (Libreria Editrice Vaticana, 2004, fine 3° quaderno)

In verità, il regno di Dio è dentro di voi

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 17,20-25.
In quel tempo, interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», Gesù rispose:
«Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!».
Disse ancora ai discepoli: «Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete.
Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli.
Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno.
Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione».


Traduzione liturgica della Bibbia



Meditazione del giorno:

San Giovanni Cassiano (ca 360-435), fondatore di monastero a Marsiglia
Conferenze, n. 1 (SC 42, p. 90)


Il Regno di Dio in mezzo a noi e dentro di noi

Secondo me, sarebbe indegno allontanarci dalla contemplazione di Cristo, non fosse che un momento. Quando cominciamo a deviare da questo obiettivo divino, rivolgiamo a lui gli occhi del cuore e riconduciamo a lui , come linea diritta, lo sguardo dello spirito. Tutto sta nel santuario profondo dell'anima; quando il demonio ne è stato scacciato e il male non vi regna più, allora il regno di Dio si stabilisce in noi. Ma "il regno di Dio, scrive l'evangelista, non verrà in modo visibile... In verità, il regno di Dio è dentro di voi".

Ora in noi non può esserci che la conoscenza o l'ignoranza della verità, l'amore del vizio o della virtù, per mezzo del quale diamo la regalità sul nostro cuore o al demonio o a Cristo.

L'apostolo Paolo a sua volta descrive così la natura di questo regno: "Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). Se dunque il regno di Dio è dentro di noi, e consiste nella giustizia, la pace e la gioia, chiunque possiede queste virtù è senza dubbio nel regno di Dio... Eleviamo lo sguardo dell'anima verso il regno, che è gioia senza fine.

Chiamatemi con i miei veri nomi - Thich Nhat Hahn



Non dire che domani scomparirò, perché io arrivo sempre.
Guarda in profondità: io arrivo ogni secondo, per esser un germoglio sul ramo a primavera;
per essere un minuscolo uccellino con le ali ancora fragili che impara a cantare nel suo nido;
per essere un bruco nel cuore di un fiore; per essere un gioiello che si nasconde in una pietra.
Io arrivo sempre, per ridere e per piangere, per temere e per sperare.
Il ritmo del mio cuore è la nascita e la morte di tutto ciò che è vivo.
Io sono un insetto che muta la sua forma sulla superficie di un fiume.
E io sono l'uccello che, a primavera, arriva a mangiare l'insetto.
Io sono una rana che nuota felice nell'acqua chiara di uno stagno.
E io sono il serpente che, avvicinandosi in silenzio, divora la rana.
Sono un bambino in Uganda, tutto pelle e ossa, le mie gambe esili come canne di bambù,
e io sono il mercante che vende armi mortali all'Uganda.
Io sono la bambina dodicenne profuga su una barca,
che si getta in mare dopo essere stata violentata da un pirata.
E io sono il pirata, il mio cuore ancora incapace di vedere e di amare.
Io sono un membro del Politburo, con tanto potere a disposizione.
E io sono l'uomo che deve pagare il "debito di sangue" alla mia gente,
morendo lentamente in un campo di lavori forzati.
La mia gioia è come la primavera, così splendente che fa sbocciare i fiori su tutti i sentieri della vita.
Il mio dolore è come un fiume in lacrime, così gonfio che riempie tutti i quattro oceani.
Per favore chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io possa udire tutti i miei pianti e tutte le mie risa insieme,
cosicché io possa vedere che la mia gioia e il mio dolore sono una cosa sola.
Per favore, chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io mi possa svegliare
E cosicché la porta del mio cuore sia lasciata aperta, la porta della compassione.

martedì 14 novembre 2017

sui figli della Luce

Quando Gesù nel Vangelo parla dei figli della Luce, a chi si riferisce esattamente?

Quesito
Caro Padre Angelo,
seguo con molto interesse la sua rubrica, la ringrazio per lo splendido supporto che offre a tutti noi, e ringrazio il Signore di averle donato una così limpida intelligenza.
Vengo al mio quesito: quando Gesù nel Vangelo parla dei figli della Luce, a chi si riferisce esattamente, a tutti gli esseri umani o ad una esigua parte di essi?
In che modo costoro sono speciali, se lo sono?
Sono meno inclini al peccato dell'umanità in genere?
La ringrazio per l'attenzione,
le chiedo di pregare per me,
un saluto caro
Simona


Risposta del sacerdote

Cara Simona,

1. Gesù parla dei figli della luce nel Vangelo secondo Luca, e precisamente al cap. 16,8.
Ne parla all’interno della parabola dell’amministratore scaltro, il quale, licenziato dal suo padrone, fa bene i conti per mettere al sicuro il proprio futuro.
Gesù dice che “il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”.

2. I figli della luce sono solo i discepoli di Gesù, vera luce del mondo.
Non sono dunque tutti gli essere umani
.

3. In questa parabola Gesù dice che i figli di questo mondo, nel procurarsi i loro beni materiali sono molto scaltri. Ed è vero.
Si pensi anche solo alla gente comune che per provvedere meglio alle proprie necessità si affida alla consulenza di tanti esperti. Anzi si mette del tutto nelle loro mani.
Se si tratta poi di ingrandire o di tutelare la propria fortuna, vi impegna tutte le risorse della mente e si mette nelle mani di qualche buon commercialista.

4. Nel procurarsi i beni nell’anima, che sono quelli che durano eternamente, si assiste invece ad una certa ignavia.
Molti vivono tranquillamente nel peccato mortale.
Altri, pur essendo in grazia, non si danno da fare per progredire.
Eppure l’unico motivo per cui siamo in questo mondo è quello di preparare “un buon capitale per la vita futura”, come dice san Paolo in 1 Tm 6,19.

5. Mi chiedi in quale modo i figli della luce siano speciali, se lo sono.
La risposta è ovvia: sono speciali certamente.
E lo sono perché si fidano del tutto di Colui che dalle Scritture è chiamato “Consigliere ammirabile” (Is 9,5).
Secondo la sacra Scrittura solo i consigli di Dio sono detti mirabili, e cioè infallibili.
Tuttavia talvolta succede che anche i figli della luce, i discepoli di Gesù, si lascino affascinare da modi di pensare e di vivere che sono contrastanti con l’insegnamento del Signore. In questo allora non sono più speciali, ma perfettamente allineati al mondo. Sono come il sale che ha perso il suo sapore...

6. Chiedi infine se i figli della luce siano meno inclini al peccato dell'umanità in genere.
Ti posso dire che tutti, insieme col peccato originale, ereditiamo anche l’inclinazione al male, la triplice concupiscenza di cui parla san Giovanni nella sua prima lettera.
Tutti siamo inclini al peccato: chi più, chi meno.
È un fatto innegabile però che quando uno apre la propria vita al peccato, ne diventa schiavo. Anzi il peccato talvolta farà sentire le sue esigenze in maniera prepotente. Gesù ha detto: “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato” (Gv 8,34).
Puoi chiederti: chi è più inclinato ad assumere droga? Chi non ne ha mai fatto uso o chi ne è dipendente?
La risposta è facile. E ugualmente facile è la risposta anche all’ultimo quesito che mi hai posto.

7. Pertanto conviene seguire in tutto l’insegnamento del Signore.
Solo l’obbedienza alla sua parola rende veramente liberi (Gv 8,32), signori di se stessi, delle tentazioni e delle inclinazioni al male.
Ti saluto, ti auguro un felice anno nuovo, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo




https://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=1958

lunedì 13 novembre 2017

Pensare e sentire - Gurdjieff

Bar.: Posso fare una domanda? Come posso distinguere tra il mio centro intellettuale e il mio centro istintivo?

Gurdjieff: Si dedichi a un compito semplice. Quando lei pensa, pensa. Le associazioni vanno avanti automaticamente; quella è la sua mente. Quando ha caldo o fieddo, quando è nervoso, arrabbiato, quando qualcosa le piace, quando non le piace, quello è il suo sentire.

Bar.: Ma nelle proprie azioni, come si può impedire che i centri usurpino le rispettive funzioni; pensare con il mio sentire, avere un sentimento intellettuale, e confondere l’uno con l’altro.

Gurdjieff: Desidera dire che non può pensare perché sta sentendo?

Bar.: Intendo che ho un pensiero emozionale.

Gurdjieff: Lei ha una debolezza, una malattia: non deve pensare col suo sentire, deve pensare con la sua testa. Pensare con il suo sentire è una debolezza, una malattia. L‘inizio viene dal sentire, il centro del pensiero è solo una funzione. Ma il centro di gravità deve essere il pensiero. Ora lei può sapere cos’è l’individualità, è quando il suo centro di gravità è nel suo pensiero. Dunque, se il suo centro di gravità non è nel suo‘ pensiero, lei non è un individuo, lei è un automa. È una spiegazione semplice. Ogni uomo dovrebbe tentare di prendere familiarità con l’essere un individuo, una persona indipendente, qualcosa, non una merda, scusi la parola, non un animale, un cane, un gatto. È un sintomo molto semplice. Se lei concentra il suo essere nel pensiero, allora è un individuo; ci sono molte gradazioni tra gli individui, ma questo non è importante al momento. Lei è un individuo quando ha il suo centro di gravità nel centro del pensiero. E se esso è in un altro centro, lei è solo un automa. Può essere nel suo corpo e nel suo sentire, ma quando lavora, dovrebbe sempre avere come scopo di essere nel suo pensiero. E far questo consciamente. Se non lo fa, ogni cosa in lei si fa inconsciamente. Il suo lavoro dovrebbe consistere esclusivamente nel concentrarsi sul suo pensiero. È una spiegazione semplice. Phillip? Anche a lei questo dovrebbe spiegare molte cose.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, pp 144-145

Il Lavoro è una cosa molto seria - Gurdjieff

Madame Et.: Posso chiederle un consiglio? Volevo domandarle: quando faccio il mio lavoro di ricordare me stessa sono sempre ostacolata dalla stessa idea: come posso fare il mio lavoro, come posso organizzare la mia giornata, affinché tutti in casa siano felici? E durante il giorno è proprio l’opposto. Sono ostacolata dalle idee che hanno a che fare con il lavoro. Penso a quel che ho sentito qui e da Madame De Salzmann, e questo mi intralcia costantemente.

Gurdjieff: Questo è il risultato delle incombenze della vita quotidiana, succede a tutti. L’ho detto spesso. Deve dedicare un tempo speciale per il lavoro ogni giorno. Non tutto il tempo, il lavoro è una cosa molto seria. Non può lavorare interiormente tutto il giorno. Deve ritagliarsi un tempo speciale e aumentarlo mano a mano. Per questo lavoro dedichi mezz’ora delle sue ventiquattr’ore. In questa mezz’ora dimentichi tutto il resto, metta tutto il resto da parte. È una piccola cosa. Sacrifichi a questo tempo tutte le sue occupazioni, tutto il lavoro delle sue funzioni esteriori. Sacrifichi tutto per il suo lavoro interiore e in seguito potrà metterlo da parte per le cose della vita quotidiana. Non può fare questo lavoro tutto il giorno.

Madame Et.: Lo penso anch’io. Diventa meccanico. Io sono, io desidero essere.

Gurdjieff: Lei mescola, non deve mescolare. Non mescoli questo lavoro con il lavoro ordinario. Abbiamo due generi di stati di veglia. Per questo lavoro, dovrebbe avere uno stato di veglia attivo. Ma una mezz’ora di questo stato di veglia è sufficiente per il resto del giorno, in cui lei può continuare a vivere come al solito. Può fare questo? E se non può farlo per mezz’ora, anche dieci minuti sono una ricchezza per chi è in grado di lavorare dieci minuti. Deve dedicare e sacrificare a questo lavoro un tempo speciale. Non può dare tutto il suo tempo. La vita è una cosa, il lavoro un’altra. La sostanzialità di ognuna è differente: per questo lavoro, deve essere più attiva. L’ho detto molte volte. Quando comincia il lavoro il suo compito è il suo lavoro. Prima di cominciare dovrebbe rilassarsi, prepararsi, raccogliersi. In seguito, con tutto il suo essere deve svolgere il suo compito. È una cosa molto complicata. Non si può fare a lungo, ci si ritrova presto stanchi. Il lavoro consuma tutte le forze. Se gli dedica cinque minuti di troppo, tutte le sue forze saranno consumate. È per questa ragione che dico che deve aumentare il tempo poco a poco, finché non vi sarà abituata: cinque minuti, sei minuti, dieci minuti. Solo questo sistema la preparerà ad acquisire lo stato che si addice a un vero uomo. Se riesce a lavorare per molto tempo, questo le dimostra che non lavora con tutto il suo essere, che sta lavorando solo con la sua mente. Ma quanto a questo, può farlo per mille anni senza guadagnarci nulla; non vale niente. Lavori per poco tempo, ma lavori bene. Non è la quantità ma la qualità che conta. La vita è una cosa. Non la mescoli con altre cose. Cinque minuti di buon lavoro valgono più di ventiquattr’ore di un altro genere. Se non ha molto tempo, lavori cinque minuti. Lasci che la vita ordinaria continui automaticamente secondo abitudine per il resto del tempo. Quel che dice non riguarda il lavoro. La nostra vita è una cosa, il lavoro un’altra. Altrimenti diventerà una psicopatica. Se si ricorda di sé con la mente non vale nulla; si ricordi di sé con tutto il suo essere. Non può farlo a lungo, si esaurirebbe. Lo faccia per cinque minuti, ma dimentichi tutto il resto. Sia un’egoista assoluta, dimentichi tutto, il suo Dio, suo marito, i suoi figli, il denaro. Ricordi solo il lavoro. Breve, ma sostanziale.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, pp 141-144

Esercizi sullla non immaginazione - Gurdjieff

Pom: Posso fare una domanda?

Gurdjieff: Se lo desidera. Questa e la prima volta che parla, vero?

Pom: Vorrei sapere cosa fare per impedire, al di fuori del lavoro che dura per un certo periodo di tempo, alla mia immaginazione di prendere il largo?

Gurdjieff: Bene, per questo le darò un consiglio molto semplice e molto ordinario. Anche lei è sulla strada giusta. Quello che sto per dirle è una cosa molto semplice. Comprendere logicamente non le darà assolutamente nulla. Tra un po’ capirà che l’unico consiglio adatto è quello che le sto dando ora. Durante il suo tempo libero, conti: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, fino a cinquanta. Poi: cinquanta, quarantanove, quarantotto, quarantasette, quarantasei, eccetera, finché non torna al punto di partenza. Tutto il tempo. E se lo fa sette volte, cinque o dieci minuti, si sieda, si rilassi e dica a sé stesso: “Io sono”, “lo desidero essere”, “Io posso essere”, “Non usare tutto questo per essere malvagio, ma buono”, “Aiuterò il mio prossimo quando sarò. lo sono”. Dopodiché, conti ancora. Ma consciamente, non automaticamente. Lo faccia durante tutto il tempo libero che ha. La prima volta le sembrerà assurdo. Ma quando lo avrà fatto per due o tre settimane, mi ringrazierà con tutto il cuore. Ha capito?

Pom.: Molto bene.

Gurdjieff: Non le do nient’altro. Conosco mille altre cose, ma ora le do solo questa semplice cosa. [Agli altri] E questo lo salverà. La sua intera vita cambierà e fino all’ora della sua morte mi ringrazierà, non mi dimenticherà mai. Faccia quello che le ho detto, e questo è tutto.


[..]
Jac: Monsieur Gurdjieff, poco fa sono stato molto colpito dalla domanda di Pom e dalla sua risposta. Nella mia vita, che di solito è molto attiva e molto triviale, osservo quanto poco spazio ci sia per il lavoro. Fin troppo spesso mi sento perso. Il che è normale. Ma quel che è meno normale è che sono attaccato, identificato con questo trambusto, questa trivialità che si addice così esattamente a me, al me ordinario, l’individuo che è più forte in me. E le chiedo se non dovrei forse applicare al mio caso il suggerimento che ha dato a Pom, perché credo che contenga qualcosa di chiaro e semplice che mi tirerà fuori dalla gabbia per scoiattoli in cui giro tutto il tempo.

Gurdjieff: Non la aiuterebbe per nulla. È difficile contare a quel modo: uno, due, tre, fino a cinquanta. Le darò qualcosa di ancora più semplice. Ha una famiglia. Un padre? Una madre? Un fratello?

Jac: E una sorella.

Gurdjieff: Anche una sorella: cinque persone. A partire da domani mattina, prenda questo come compito: ogni dieci minuti, poco meno o poco più, circa dieci minuti — è lo stesso per me se sono otto o dodici — ricordi suo padre, dieci minuti dopo sua madre, eccetera. Se ne ricordi e li rappresenti a sé stesso. E quando ha finito con tutti e quattro, dieci minuti dopo, “Io sono”, “Io desidero essere”, con il sentire tutta la sua presenza. E dieci minuti dopo ricominci: suo padre, sua madre, eccetera. E in tal modo dovrebbe trascorrere il suo tempo. È più semplice così. Capisce? Ad ogni modo, deve avere una idea fissa. Ogni volta che pensa a sua madre, pensi che lei è qui, con orecchini d’argento alle sue orecchie, di poco valore; e dia la sua parola a sé stesso che quando sarà cresciuto e guadagnerà dei soldi si darà il compito di comprare per lei orecchini d’oro. [A Madame Et.] Il dieci per cento per me. [A far] Mi ha capito?


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, pp 140-141, 147-148

Muscoli grandi e muscoli piccoli - Gurdjieff

Gurdjieff: Non posso dirle niente ora, ma quando l’avrà fatto capirà. Sa già di avere tre categorie di muscoli, ma quando farà il suo esercizio lo capirà.

Philippe: Qualche volta è il movimento che comincia dentro di noi. Per esempio, un gesto nasce dalla rabbia: stringo il pugno, la mano rimane inerte, ma i muscoli si tendono.

Gurdjieff: Ancora di più: quando pensa a una certa persona, i suoi muscoli si muovono nella direzione della persona a cui ha pensato. Ciò di cui ha bisogno è rilassarsi e occupare il suo pensiero con questo esercizio.

Aboulker: Lei ha già parlato dei muscoli grandi, medi e piccoli, e posso dire di aver già provato varie volte a decontrarmi. Ma non vedo la classificazione in quel modo. Comprendo, tuttavia, che ci sono muscoli che non hanno alcun ruolo nel movimento esteriore, ma che sono interni, quasi viscerali.

Gurdjieff: Quando lei tende i suoi muscoli grandi si tendono anche quelli piccoli, anche se lei non li vede. Ma ora stia attento: quando i suoi muscoli grandi sono tesi, quelli medi cominciano a tendersi, e poi anche quelli piccoli. Poi lei decide di fare qualcos’altro, e non c’è più bisogno che i muscoli piccoli rimangano tesi. Quelli piccoli dipendono da quelli medi, i muscoli medi da quelli grandi, e quelli grandi sia dai muscoli piccoli che da quelli medi. Anche un asino può rilassare i muscoli grandi. Ma decontrarre i muscoli piccoli, bene, questa è una cosa al di là delle capacità di un asino, questo è un lavoro per una mucca umana.
È impossibile spiegarlo: se non l’ha capito fino ad ora vuol dire che lei non si rilassa. Lei rilassa solo i muscoli grandi. Ora entri in confidenza con i muscoli piccoli. Questi muscoli piccoli non sono interiori. Posso isolarli da me stesso. Per esempio, posso rilassare una certa parte di me stesso così che se anche lei mi pungesse con un ago, non sentirei niente. È una preparazione speciale dei fachiri. Posso rilassare i muscoli piccoli al punto tale da isolarli dal resto. Se sono isolati, non hanno contatto con me. E se non sono in contatto allora non possono farmi male. Certe cose sono puramente locali. Se anche dovessi tagliarmi, non sanguinerei.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, pp 133-134

Consapevolezza è sforzo - Gurdjieff

Luc: Ho notato che posso separarmi da me stesso con molta forza quando faccio uno sforzo molto breve. Ma lo sforzo è perso e scompare quando tento di trattenerlo.

Gurdjieff: Non è necessario farlo con forza. Potrebbe sviluppare un’idea fissa rispetto all’esercizio. Non è mai necessario forzarsi: è necessario farlo per gradi.

Luc: Mi sono espresso davvero male. Non sono gli sforzi che faccio per avere successo a essere forzi, è nell’impressione che ricevo la forza, fintantoché lo sforzo è breve.

Gurdjieff: È nello sforzo. Tutto ciò che lei fa senza usare l’automatismo è uno sforzo. Quando si fa tutto meccanicamente, agire con un po’ più di consapevolezza sarà uno sforzo. Ma lei non deve fare niente con foga.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, p 126

Le accadrà la stessa cosa che accade ai monaci - Gurdjieff

Gurdjieff: Queste sono tre domande, e lei capisce che io dovrei darle tre spiegazioni. Primo, durante questo periodo speciale le sue abitudini sono state molto diverse dalle solite: condizioni diverse, ritmi funzionali diversi, qualità assolutamente diverse, come ha detto. Ora torna qui. Qui è un’altra situazione, ci ha riferito che ha fatto esperienza di altre condizioni. Ora, se lei continua ad avere paura le accadrà la stessa cosa che accade ai monaci in monastero. Un monaco in un monastero lavora molto bene da solo, ma la sua vita va in una direzione completamente diversa quando entra in relazione con gli altri. Tutto ciò che ha guadagnato mentre era via lo deve usare, lo deve fissare. Deve iniziare un compito molto difficile: non identificarsi. Fissi in sé stesso tutto ciò che ha guadagnato. Se ora non fa uno sforzo per fissarlo in lei accadrà esattamente quello che succede al monaco: sarà tutto perduto.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, p 111

Lei deve ripagare la vita di sua madre - Gurdjieff

J.: Mi manca un impulso verso il mio lavoro. Non riesco ad avvicinarmi al lavoro in modo soddisfacente a meno che non senta una certa urgenza che può venirmi solo dalla chiara realizzazione della mia presente situazione e della mia presente nullità. Questo l’ho compreso molto chiaramente. E ciò mi ha fatto capire che dovrei avere un rimorso di coscienza per questa nullità. Ma non posso andare oltre a quest’affermazione. Cosa posso fare per avere questo rimorso di coscienza?

Gurdjieff: La domanda porta con sé sette aspetti diversi. Non uno, ma sette. Gliene dirò uno: ogni uomo viene al mondo per delle ragioni. Ci sono cause, forze esterne che lo hanno creato. Può darsi che queste forze non fossero obbligate a darle la vita. È grato di essere vivo, la vita vale qualcosa per lei? Bene, allora se lei è vivo e contento di esserlo dovrebbe restituire qualcosa come pagamento. Per esempio, c’è sua madre qui. Se non fosse per lei non sarebbe mai venuto al mondo, è a lei che deve la sua vita. Se e grato di essere vivo allora deve ripagarla. È maggiorenne ora, è giunto il tempo di saldare il debito. Una delle cause principali per le quali lei è vivo è sua madre. È grazie a lei che può godere dei suoi piaceri e della possibilità di sviluppare sé stesso. Sua madre è una delle ragioni, uno degli aspetti del suo essere al mondo, e io ora le chiedo, ha cominciato a ripagare i suoi debiti?

J.: No.

Gurdjieff: Ci sono ancora altri sei aspetti, ma qui stiamo parlando di uno solo. Cominci da questo, da sua madre: la ripaghi. Anche se lei è oggettivamente cattiva è pur sempre sua madre. Come può ripagarla? Lei deve : unificare la vita di sua madre. Ma invece di fare questo lei le rende la vita più difficile, la innervosisce, la irrita. È da lì che inconsciamente potrebbe venire il rimorso di coscienza. Prenda l’anno appena passato, ricordi: lei è stato spesso cattivo. Lei è una merda. Non ha ancora assolto a nessuno dei suoi obblighi. Se riesce a comprendere questo, il rimorso potrà sorgere in lei. È solo un aspetto, potrei spiegargliene altri sei, ma se ne dimentichi, cominci da questo. Negli ultimi due anni, quante volte è stato cattivo, molto cattivo, con sua madre? Se ne ricordi e cominci a rimediare col futuro nel presente. È molto difficile. Se se ne dimentica, se non lo fa, è doppiamente colpa sua. Per prima cosa è da rimproverare per il passato e poi per non aver rimediato oggi. È una buona risposta alla sua domanda? Tutti qui sono contenti, eccetto una persona. Sa chi? Sua madre. Madame, è a beneficio di suo figlio che dico questo.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, pp 103-105

domenica 12 novembre 2017

L'Asia e la modernizzazione - Tiziano Terzani

Che brutta invenzione il turismo! Una delle industrie più malefiche! Ha ridotto il mondo a un enorme giardino d‘infanzia, a una Disneyland senza confini. Presto anche nella vecchia, remota capitale reale del Laos sbarcheranno a migliaia questi nuovi invasori, soldati dell’impero dei consumi e, con le loro macchine fotografiche, le loro implacabili videocamere, gratteranno via quell’ultima naturale magia che lì è ancora dovunque.
Perché in Asia, quando un vecchio si vede puntare addosso una macchina fotografica, si volta, resiste, cerca di nascondersi, si copre la faccia? Lo fa perché pensa che quella macchina gli porti via qualcosa di suo, qualcosa di prezioso che non può ritrovare. E non ha forse ragione? Non è anche nell’usura di decine di migliaia di foto, scattate da turisti distratti, che le nostre chiese hanno perso la loro sacralità, che nostri monumenti hanno perso la loro patina di grandezza?
Il Tibet, per proteggere la propria spiritualità, ha impedito per secoli a chiunque di varcare i suoi confini ed è così che ha mantenuto la sua specialissima aura. Lì, a rompere l‘incanto è stata l’invasione cinese: anche quella avvenuta, ovviamente, in nome dello sviluppo. Una delle notizie più sconcertanti che ho letto di recente è che i cinesi, per facilitare - e che altro? - l’accesso dei turisti, hanno deciso di «modernizzare» l’illuminazione del Potala, il palazzo-tempio del Dalai Lama, e ci hanno introdotto il neon. Non l’hanno certo fatto a caso: il neon uccide tutto, anche gli dei. E con loro muore sempre di più anche l’identità dei tibetani.


[..] Il Mekong era piatto e senza drammi, l‘acqua densa, con la superficie a volte mossa da grandi bolle di fango. Si scivolava via lenti fra le due sponde che erano l’essenza di quella contraddizione che dentro di me avrei tanto voluto risolvere: a sinistra la sponda laotiana con i villaggi di capanne all’ombra delle palme di cocco, le barche a remi ormeggiate al fondo di semplici scale di bambù e, la sera, i bagliori teneri delle lucine a olio nel silenzio; a destra, la sponda thailandese: luci al neon, la musica degli altoparlanti e il rombare lontano dei motori. Da una parte il passato da cui tutti vogliono strappare i laotiani, dall’altra il futuro verso cui tutti credono di dover correre. Su quale sponda la felicità?


[..] Per ogni disastro che avviene c‘è una immediata, ovvia spiegazione razionale: il gas scoppia perché non viene trasportato rispettando le regole di sicurezza; le fabbriche sono trappole di fuoco perché, invece di spendere soldi nei dovuti sistemi antincendio, i padroni preferiscono pagare una bustarella ai funzionari che dovrebbero controllare l’applicazione delle leggi. Eppure la spiegazione dei pii è in fondo in fondo la più vera, la più giusta, perché coglie l’essenza di quel che sta succedendo non soltanto a Bangkok, ma in tantissime altre parti del mondo: la natura si vendica sugli uomini che non la rispettano e che per pura ingordigia distruggono ogni tipo di armonia.


[..] Siccome nessuno dei conoscenti thailandesi era capace di indicarmi un indovino, mi tornò in mente il mio amico Sulak Sivaraksa, il solo filosofo vivente della Thailandia, già due volte candidato al premio Nobel per la pace. Sulak, un convinto buddhista, è l‘unico a criticare a fondo il modo con cui il paese sta sviluppandosi e non perde occasione per attaccare chi, secondo lui, ha abbandonato la giusta via: quella della tradizione.


[..] Anche la Birmania si è arresa dunque al comune destino! Per trent‘anni ha cercato di resistere isolandosi, andando per una sua via, ma non ce l’ha fatta. Nessuno sembra farcela. Dalla Cina di Mao all’India di Gandhi e alla Cambogia di Pol Pot, tutti gli esperimenti di autarchia, di sviluppo non capitalista, con caratteristiche nazionali, sono falliti. I più, per giunta, facendo milioni di vittime.


[..] In apparenza tutto va bene, oggigiorno in Asia. Le guerre sono finite, la pace, anche quella ideologica, regna, con pochissime eccezioni, sull’intero continente e ovunque non si fa che parlare di crescita economica. Eppure proprio ora questo antico, grande mondo di diversità sta per soccombere. Il cavallo di Troia è la «modernizzazione».
Invece di continuare sulla propria strada e cercare soluzioni asiatiche ai suoi problemi, l‘Asia importa adesso, senza alcuna discriminazione, le formule del successo altrui e quindi rinuncia progressivamente alla propria diversità. Il rapido sviluppo strangola la sua cultura, mentre la pressione del nuovo materialismo spezza i legami tradizionali, distrugge i vecchi schemi di valori e toglie la fiducia in tutto ciò che non è riconducibile al denaro. Modernizzazione vuol dire occidentalizzazione e con questo l’Asia perde definitivamente la coscienza di sé.
C’è per me qualcosa di tragico in questo continente che, così gioiosamente, uccide se stesso. Ma nessuno ne parla, nessuno protesta, tanto meno gli asiatici. In passato, quando l‘Europa batteva alle porte dell’Asia con le bordate delle sue cannoniere e chiedeva di aprire porti, di commerciare, di ottenere concessioni e colonie, quando le sue soldataglie saccheggiavano e davano alle fiamme un monumento come il Palazzo d’Estate a Pechino con uno spregio che ai cinesi brucia ancora sulla pelle, gli asiatici avevano, ognuno a suo modo, resistito.


[..] Uno dopo l‘altro, i vari paesi dell’Asia hanno finito per liberarsi del giogo coloniale e per mettere l’Occidente alla porta. Ma ora? L’Occidente rientra dalla finestra e conquista finalmente l’Asia non più impossessandosi dei suoi territori, bensì della sua anima. Lo fa ormai senza un piano, senza una precisa volontà politica, ma grazie a un processo di avvelenamento contro cui nessuno ha trovato per ora un antidoto: l’idea di modernità. Abbiamo convinto gli asiatici che solo a essere moderni si sopravvive e che l’unico modo di esser moderni è il nostro: il modo occidentale. Ci sono alternative? Nessuna. Tutti i tentativi di percorrere altre vie sono finiti male!
 Proiettandosi come unico vero rappresentante del progresso umano, l‘Occidente è riuscito a dare, a chi non è «moderno» a sua immagine, un grande complesso di inferiorità - neppure il cristianesimo era riuscito a tanto! - e l’Asia sta ora buttando a mare tutto quel che era suo per acquisire tutto quel che è occidentale, sia nel modello originale, sia nelle imitazioni locali, da quella giapponese a quella thai, a quella di Singapore.
Copiare quel che è «nuovo», quel che è «moderno», è diventato un‘ossessione, una febbre per la quale non esiste cura. A Pechino si buttano giù le ultime case su cortile; nei villaggi dell’Asia del Sud-Est, in Indonesia come nel Laos, al primo segno di benessere, i bei materiali locali vengono sostituiti con quelli sintetici e i tetti di paglia rimpiazzati con quelli di bandone: poco importa se poi le case diventano calde come forni e nella stagione delle piogge le stanze sembrano tamburi dentro i quali ci si assorda!
 Tutti ormai fanno così. Persino i cinesi! Anche loro, prima così fieri di essere eredi di una «cultura di 4000 anni» e perciò convinti di essere spiritualmente superiori a tutti, hanno ceduto e, significativamente, cominciano a sentirsi imbarazzati a mangiare ancora con le bacchette.
Adesso anche a loro pare di essere più presentabili con in mano coltello e forchetta; anche a loro pare di essere più eleganti se vestiti in giacca e cravatta. La cravatta! In origine un’invenzione dei mongoli per trascinare i prigionieri legati al pomo delle loro selle… appunto con una corda al collo.


[..] E allora! Sono felici, oggi, gli abitanti di Kengtung, riuniti in famiglia a parlare attorno ai piatti della cena, o lo saranno di più quando anche loro trascorreranno la serata, ebeti e ammutoliti, dinanzi a uno schermo televisivo? So bene che, a chiederglielo, loro stessi risponderebbero: meglio la televisione! Ed è proprio per questo che vorrei vedere almeno un posto come Kengtung retto da un re-filosofo, da un bonzo illuminato, da un qualche visionario che cercasse una via di mezzo fra l‘isolamento-stagnazione e l’apertura-distruzione e non certo dai generali che ora hanno in mano i destini della Birmania.


[..]  Che differenza - pensavo - fra il crescere così, educati nello spartano ordine di un tempio, sotto quei Buddha, maestri di tolleranza, sentendo il tintinnare di quelle campanelle, e il crescere invece in una città come Bangkok, dove i giovani vanno ormai a scuola con un fazzoletto sulla bocca per proteggersi dagli scarichi delle macchine e con i tappi dei walkman nelle orecchie per soffocare con la musica rock il frastuono del traffico! Che differenti uomini debbono creare queste due diverse condizioni! Quali i migliori?


[..]  Sarei andato volentieri a vivere in India quando i cinesi, nel 1984, prendendo per me una decisione che io non sarei mai riuscito a prendere - e con ciò facendomi un enorme favore -, mi arrestarono e mi espulsero dal loro paese. Ma a quel tempo non ci riuscii e passarono così altri anni. Non inutilmente. Nel frattempo ho vissuto cinque anni in Giappone, altri tre in Thailandia e alla vecchia ragione per voler andare in India se n‘è aggiunta ora una nuova e molto più importante: voglio vedere se l’India, con la sua spiritualità e la sua follia, è capace di resistere alla scoraggiante ondata di materialismo che sta spazzando il mondo; voglio vedere se l’India è capace di fare quadrato, di restare diversa; voglio vedere se in India rimane vivo il seme di un’umanità che ha altre aspirazioni oltre quella di correre, ingorda, verso la modernità dell’Occidente.
Vivendo a Bangkok ho avuto sotto gli occhi l‘esempio più lampante di uno sviluppo impazzito, delle orribili conseguenze di quella logica modernista che nessuno sa fermare e che è alla base dell’abbrutimento e della perdita di identità dell’Asia. Guardandomi attorno mi son detto più volte che non c‘è più una cultura in grado di resistere, di esprimersi con rinnovata creatività. La cultura cinese, umiliata dal confronto con l’Occidente, è moribonda almeno da un secolo e Mao, non a caso cercando di fondare una «Nuova Cina», ha finito per ammazzare quel poco della vecchia che restava. Senza più niente cui rifarsi, i cinesi ora non sognano che di diventare americani, con gli studenti che marciano sul Tien An Men dietro una statua, copia di quella della Libertà di New York, e i vecchi dirigenti marxisti-leninisti che fanno dimenticare i loro delitti e il loro voler restare attaccati al potere permettendo a tutti di correre dietro a sogni e illusioni di benessere occidentale.




Tiziano Terzani - Un indovino mi disse



I tanti riti attorno la morte - Tiziano Terzani

 La necessità di essere pratici impedisce di venir travolti da quel che si prova. Per questo i tanti riti attorno alla morte. Il dolore di aver perso una persona cara sarebbe insopportabile se uno non avesse da pensare al funerale, a come vestirsi, a quale musica far suonare. Ogni popolo ha elaborato le sue forme di distrazione. I cinesi, praticissimi e materialistici, sono arrivati a togliere al dolore il massimo di sentimentalità: i loro funerali finiscono sempre in grandi banchetti!


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, p 137

Il commercio era cosa di poco rispetto - Tiziano Terzani

Mangiai una zuppa a un banchetto davanti alla stazione e feci due passi. Yala è una cittadina come tante, senza alcun carattere particolare, con una strada principale fatta di due file di case-botteghe tutte uguali. Ogni casa è una famiglia: al pianterreno si vende, al primo piano si vive. I proprietari sono tutti cinesi. I miei soliti, duri, pratici, disgraziati cinesi, venuti qui senza nulla e ora piccoli padroni. Vite spese a riscattarsi, a perseguire una meta che tutto sommato la loro cultura disprezzava! La Cina da cui questi emigranti venivano era confuciana e praticare il commercio era cosa di poco rispetto. Nella gerarchia sociale i mercanti stavano all’ultimo posto, subito dopo i soldati e ben dopo i contadini e gli artigiani.


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, pp 120-121

I soldi sono l'unica grande ossessione - Tiziano Terzani

Mi resi conto che anche questo bonzo in verità non aveva parlato d‘altro. Tutti uguali, questi veggenti, monaci o no! Tutti presi solo a cercare risposte sulla materialità della vita, come fossero intonati sui loro clienti per i quali i soldi sono l’unica grande ossessione, l’unico scopo dell’esistenza.
Rientrammo in macchina a Bangkok, attraverso la solita città cinese con le sue migliaia di botteghe, una accanto all’altra; ciascuna con dietro il banco o dietro la cassa un cinese che alla sorte chiede solo di essere ricco. Mi rendevo conto che fino a quel momento nessuno degli indovini che avevo visto aveva mai usato la parola felicità, come se questa fosse inesistente, o irrilevante. O forse irraggiungibile? Strano che importi così poco a tanta gente!


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, p 113

Ma è sempre così terra terra, così semplice semplice, il Dalai Lama? - Tiziano Terzani

Nelle poche ore in cui era rimasto in città, il Dalai Lama era venuto al Club dei Corrispondenti stranieri e lì, davanti alla più fitta folla di giornalisti mai riunitisi in quella sala al ventunesimo piano dell‘Hotel Dusit Thani, aveva lanciato il suo appello per la liberazione di Aung San Suu Kyi, l’eroina del movimento per la democrazia, sempre prigioniera dei militari birmani (questo era lo scopo della visita) e aveva parlato di bontà, d’amore, di cuore puro e di pace.
Io, di quel discorso, ero rimasto molto deluso e non mi consolò il fatto che alla fine, con quel suo fare bonario e sorridente, il Dalai Lama, sceso dal podio, mi si fermò davanti, come mi riconoscesse, giunse le mani davanti al petto e, quando allo stesso modo contraccambiai il saluto, mi prese forte i polsi, me li scosse, mi fece dei calorosissimi auguri e mi dette una qualche benedizione.
«Ma è sempre così terra terra, così semplice semplice, il Dalai Lama? Ha parlato come un parroco di campagna!» dissi per provocazione a uno dei monaci che gli si affrettavano dietro. Era vestito, come gli altri, con una bella tonaca viola, dai risvolti gialli e rossi, ma la faccia era quella di un occidentale, pallida, con piccoli occhiali da miope. L’avevo notato tutto il tempo perché, con un sorriso felice, come se ogni parola del Dalai Lama fosse la più giusta, la più bella che avesse mai sentito, stava impalato a bere dalle sue labbra.
«La grandezza può anche manifestarsi nella semplicità. Questa è la grandezza del Dalai Lama», disse il monaco con il suo immutato, felice sorriso. Il suo inglese era perfetto, ma dall’accento capii che non era anglosassone.
«No. No. Sono italiano», disse.
«Italiano? Anch’io!»
 Ovviamente quello non fu un caso: Stefano Brunori, cinquant‘anni, fiorentino, ex giornalista, da vent’anni monaco tibetano con il nome di Gelong Karma Chang Choub, me l’ero andato a cercare! Troppe coincidenze per essere frutto del caso! Chang Choub vive di solito in un monastero di Katmandu, ma i suoi «maestri» (già questa definizione mi appassionava: deve essere bello avere dei «maestri»; io da tempo non ne ho più avuti… O forse bisogna accontentarsi, per averne?) gli avevano permesso di venire in Thailandia per curarsi di una gastrite presa a causa di quella durissima dieta da monaco, fatta di sola verdura, il tutto mangiato, in fretta e senza piacere, prima di mezzogiorno. Accanto a casa nostra c’era un ottimo ospedale in cui avrebbe potuto farsi tutte le analisi necessarie e così Chang Choub si stabilì a Turtle House.

[..] A Katmandu gli era «successo qualcosa, dentro», come diceva; si era separato dalla moglie, era entrato da novizio in un monastero della setta tibetana e, dopo qualche tempo, aveva preso i voti. Il Dalai Lama stesso lo aveva ordinato monaco.

[..] Anche dell‘aspetto religioso della sua scelta parlava con distacco. «Buddha stesso ha detto di mettere tutto in discussione, di mettere in discussione i maestri e il Buddha stesso», ripeteva, come se volesse giustificare un’incertezza di fondo che, pur dopo tanti anni, gli era rimasta. Quel che a me suonava strano era il suo modo di parlare dei «maestri». Di uno con cui aveva studiato diceva: «Capisci, quello è avanzatissimo; è uno che ha alle spalle più di duecento anni di meditazione». Di un altro, che voleva incontrare, precisava: «Ha solo nove anni, ma nell’ultima vita è stato grandissimo e questa potrebbe essere la sua ultima reincarnazione».
A proposito di questo continuo rinascere dei grandi «maestri», o di quelli «molto avanzati» come li definiva lui, Chang Choub diceva che la stragrande maggioranza dei reincarnati nasce nelle famiglie di gente semplice, perlopiù contadini, perché questo facilita il loro sviluppo, perché così, da bambini, crescendo nei campi e vicini alle montagne, fanno le loro prime esperienze nella purezza della natura.

[..] La crisi di Stefano Brunori vent‘anni prima era ovvia. È quella che, in una forma o un’altra, prima o poi prende tutti. Basta cominciare a porsi delle domande per scoprire che alcune, specie le più semplici, non hanno risposte chiare. Bisogna andarsele a cercare. Ma dove? Lui aveva preso la direzione meno ovvia, una direzione difficile. Era stato attratto forse dall’esotico, dal diverso. Quelle parole straniere, nuove alle sue orecchie, gli dicevano molto più di quelle conosciute e vecchie della sua lingua. Il satori sembra davvero promettere di più che la «grazia».
Eppure, se quel fiorentino in crisi si fosse messo «in cammino» all’interno della sua cultura, si fosse fatto francescano o gesuita, si fosse ritirato a Camaldoli o La Verna, invece che in un monastero del Nepal, forse avrebbe trovato una strada più familiare, più adatta, meno solitaria. E almeno si sarebbe risparmiato quei terribili corni al mattino!


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, pp 98-102

Magia nera a Bangkok - Tiziano Terzani

La crisi si risolse con l‘intervento del re: Suchinda si dimise, ma prima di farlo dichiarò un’amnistia generale che mise lui e gli altri responsabili del massacro al sicuro da ogni possibile azione legale. I dimostranti - disse Suchinda - erano morti non per colpa sua, ma perché era il loro karma di morire. i più si dettero pace. Solo un gruppo di irriducibili democratici trovò inaccettabile che nessuno venisse punito per la morte di tante persone e ricorse alla magia nera per farsi giustizia.
Una domenica mattina, sulla grande piazza di Sanam Luang, davanti al Palazzo Reale, si svolse una strana cerimonia. In una vecchia bara vennero messi i nomi e le foto di Suchinda e degli altri due generali della giunta, poi alcune vedove bruciarono peperoni e sale in ciotole da elemosina rotte. Bara, vedove e cocci rotti sono simboli di grande sciagura e l’intera cerimonia, celebrata secondo le vecchie formule, era intesa a mettere il malocchio addosso ai tre e a distruggerli.
I generali, dal canto loro, presero la faccenda molto seriamente: Suchinda andò da un famoso bonzo a farsi cambiare nome, così che il malocchio cadesse su quello che lui non portava più; un altro generale, su consiglio di un famoso monaco, cambiò la montatura degli occhiali, si tagliò i baffi e mangiò una foglia d’oro, così che il suo parlare diventasse più popolare; il terzo andò da un chirurgo a farsi togliere delle rughe che gli portavano male, poi, per maggior sicurezza, prese la sua amante e andò a Parigi a gestire un ristorante.
Nessun libro di storia, specie quelli che saranno scritti da occidentali, racconterà gli avvenimenti del colpo di Stato e del massacro di Bangkok così, ma è così che la maggior parte dei thailandesi li ha vissuti.
Alcuni stranieri che vivono a lungo in Thailandia finiscono per cadere vittime di questa atmosfera di magia e mistero e hanno difficoltà a sottrarsene.
Una notte ricevetti una stranissima telefonata da un inglese che chiamava da Londra: diceva di essere appena riuscito a scappare dall’isola di Pukhet, dove aveva scoperto la verità sulle ragazze trovate decapitate.
«Sì? E qual è la verità?» chiesi.
«Mettono le teste mozze sotto i piloni del nuovo ponte per rafforzarne la struttura», rispose.
La mattina dopo telefonai a una persona di fiducia che abitava da anni a Pukhet. Sì, era vero: c’erano stati dei casi di ragazze trovate senza testa e anche lui aveva sentito la storia del ponte, ma era molto più verosimile che le ragazze fossero prostitute, vittime di qualche racket che le ammazzava e buttava via le teste perché non fossero riconosciute!


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, pp 96-97

Responsabili della propria faccia - Tiziano Terzani

Nelle orecchie i cinesi leggevano il carattere di una persona, nella fronte vedevano la sorte fino ai trentadue anni, negli occhi quella fino ai quaranta. Nelle sopracciglia vedevano i segni della vita emotiva, nel naso il destino dai quaranta ai cinquant’anni e nella bocca la buona o cattiva fortuna nel periodo conclusivo della vita. Nella piega delle labbra, che appunto cambia con il tempo, i cinesi leggevano quel che un uomo aveva voluto essere e quel che era diventato. Non così assurdo, mi pareva. Il corpo può davvero essere un ottimo indicatore. Non è forse vero che, dopo una certa età, si è responsabili della propria faccia? E le mani non dicono forse sul passato quel che la chirurgia plastica cerca di cancellare altrove?


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, pp 86-87

Istintivo bisogno di imporsi dei limiti - Tiziano Terzani

La mattina Angela e Charles presero l‘aereo e in due ore erano a Bangkok. Io avevo dinanzi a me quattro ore di autobus fino a Chiang Mai e poi un’intera notte in treno. Scomodo. Complicato. Ma l’idea di tener duro con il mio proposito continuava a divertirmi. Mi venne in mente come da ragazzo, andando a scuola, camminavo sul marciapiede imponendomi di non mettere il piede là dove le pietre combaciavano. Se ci fossi riuscito sino in fondo, mi sarebbe andata bene un’interrogazione o avrei fatto un buon tema. L’ho visto fare poi ad altri bambini in altre parti del mondo. Forse in ogni uomo c’è un primordiale, istintivo bisogno, ogni tanto, di imporsi dei limiti, di scommettere con delle difficoltà, per poi sentire di essersi «meritato» qualcosa di desiderato.


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, p 80

La missione cattolica - Tiziano Terzani

La missione cattolica divenne presto il rifugio di tutti i disgraziati della regione. Gli storpi, i mentecatti, gli epilettici, le donne abbandonate dai mariti, i neonati con il labbro leporino, lasciati morire da una società che considera ogni menomazione fisica come il segno di una grave colpa nella vita precedente, per cui va espiata senza la misericordia altrui, trovavano qui da mangiare e un tetto. È lo stesso tipo di gente che ancor oggi coltiva l’orto, custodisce le stalle e lavora nelle cucine per dar da mangiare a 250 orfani.


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, pp 77

Prima di questa vita - Tiziano Terzani

Perché a quindici anni scappai praticamente di casa per andare a lavare piatti in giro per l‘Europa? Perché arrivato in Asia mi ci sono sentito così tanto a casa che ci sono rimasto? Perché il caldo dei tropici non mi stanca e mi siedo a gambe incrociate senza difficoltà? Il fascino dell’esotico? La voglia di andar più lontano possibile da quel mondo di miseria dell’infanzia? Forse. O forse aveva ragione il cieco, se voleva dire che, non il mio corpo, nato certo dai miei genitori, ma qualcos’altro in me veniva da un’altra fonte, con un bagaglio di vecchi desideri e la nostalgia di altre latitudini conosciute prima: prima di questa vita.


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, pp 57-58