giovedì 27 luglio 2017

Luce e Ombra

Una persona spesso finisce con l'assomigliare alla sua ombra.
Rudyard Kipling

Dove c'è ombra deve esserci luce.
Haruki Murakami

Gli errori sono per la vita ciò che le ombre sono per la luce.
Ernst Jünger

E' facile per chi sta al sole predicare a chi rimane nell'ombra. 
Arthur Conan Doyle

I pensieri sono le ombre delle nostre sensazioni: sempre più oscuri, più vani, più semplici di queste. 
Nietzsche

Dove l'amore impera, non c'è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l'amore. L'uno è l'ombra dell'altro. 
Carl Gustav Jung

Per andare a nord, dovrai viaggiare a sud. Per raggiungere l'ovest, dovrai dirigerti a est. Per andare avanti dovrai tornare indietro. E per toccare la luce, dovrai passare tra le ombre. 
George R. R. Martin

Voglio, o mio Diletto, ad ogni battito del cuore rinnovarvi questa offerta un numero infinito di volte, fino a che, svanite le ombre, possa ridirvi il mio amore in un a faccia a faccia eterno!
Teresa di Lisieux

Dove c'è molta luce, l'ombra è più nera. 
Johann Wolfgang von Goethe

L'ombra prepara lo sguardo alla luce. 
Giordano Bruno

allora Egli si vede scoperto - Sri Aurobindo


Quando soffro di dolore, di dispiacere o di sventura, dico: “Così, vecchio Compagno di giochi, ricominci a maltrattarmi?”
E mi siedo per godere il piacere del dolore, la gioia della tristezza e la fortuna della sventura; allora Egli si vede scoperto e porta via i suoi fantasmi e i suoi spauracchi.

Sri Aurobindo


martedì 18 luglio 2017

Presso i Samana - Hermann Hesse


Molto apprese Siddharta dai Samana, molte vie imparò a percorrere per uscire dal proprio lo. Percorse la via della spersonalizzazione attraverso il dolore, attraverso la volontaria sofferenza e il superamento del dolore, della fame, della sete, della stanchezza. Percorse la via della spersonalizzazione attraverso la meditazione, attraverso lo svuotamento dei sensi da ogni immagine per mezzo del pensiero. Queste e al- tre vie apprese a percorrere, mille volte abbandonò il proprio Io, per ore e per giorni indugiò nel non-Io.
Ma anche se queste vie uscivano inizialmente dall'Io, all'Io la loro fine riconduceva pur sempre. Mille volte Siddharta poteva sfuggire dal suo Io, indugiare nel nulla, trattenersi in una bestia, nella pietra; inevitabile era il ritorno, inesorabile l'ora in cui egli — splendesse il sole oppure la luna, sotto la pioggia o nell'ombra — ritrovava se stesso, ed era di nuovo l'Io-Siddharta, e di nuovo provava il tormento di non poter sfuggire al circolo delle trasformazioni.

[..]
 Rispose Govinda: «Abbiamo imparato, e impariamo ancora. Tu diventerai un grande Samana, Siddharta. Hai appreso così in fretta ogni esercizio, spesso i vecchi Samana si sono meravigliati di te. Un giorno tu sarai un santo, o Siddharta».
Disse Siddharta: «Io non sono di questo parere, amico mio. Ciò che ho imparato finora presso i Samana, o Govinda, avrei potuto impararlo più presto e più semplicemente. In qualunque bettola di malaffare, tra carrettieri e giocatori di dadi, l'avrei potuto imparare».
Disse Govinda: «Siddharta si prende gioco di me. Come avresti potuto imparare, là, tra quegli sciagurati, la concentrazione, la sospensione del re-spiro, l'insensibilità alla fame e al dolore?».
E Siddharta disse piano, come se parlasse a se stesso: «Che è la concentrazione? Che l'abbandono del corpo? Che cos'è il digiuno? la sospensione del respiro? Tutto questo è fuga di fronte all'Io, breve pausa nel tormento di essere Io, è un effimero stordimento contro il dolore insensato della vita. La stessa evasione, lo stesso effimero stordimento prova il bovaro all'osteria, quando si tracanna alcuni bicchieri di acquavite o di latte di cocco fermentato. Allora egli non sente più il proprio Io, allora non sente più le pene della vita, allora prova un effimero stordimento. E prova lo stesso, sonnecchiando sul suo bicchiere di acquavite, che provano Siddharta e Govinda, quando riescono a sfuggire, grazie a lunghi esercizi, dai loro corpi, e a indugiare nel non-Io. Così è, o Govinda».

[..]
Rispose Siddharta: «Che età credi che abbia il più vecchio dei nostri Samana, il nostro venerabile maestro?».
Disse Govinda: «Il più vecchio potrà avere un sessant'anni».
E Siddharta: «Sessant'anni è vissuto, e il nirvana non l'ha mai raggiunto. Ne vivrà settanta, ottanta, e tu e io, anche noi, diverremo vecchi e faremo i nostri esercizi, digiuneremo, mediteremo. Ma il nirvana non lo raggiungeremo: non lo raggiungerà il maestro, non lo raggiungeremo noi. O Govinda,di tutti i Samana che esistono non uno, io credo, neanche uno, raggiunge il nirvana. Troviamo con-forti,troviamo da stordirci, acquistiamo abilità con Ie quali cerchiamo d'illuderci. Ma l'essenziale, la strada delle strade non la troviamo».

[..]
Govinda si spaventò e rimase altamente imbarazzato, ma Siddharta accostò la bocca all'orecchio di Govinda e gli sussurrò: «Ora voglio mostrare al vecchio che qualcosa con lui ho pure imparato». Collocandosi ben vicino di fronte al Samana, con l'anima tutta concentrata, colse col proprio sguardo lo sguardo del vecchio e lo avvinse, lo fece ammutolire, disarmò la sua volontà e l'assoggettò alla propria, ordinandogli di fare, senza tante storie, ciò ch'egli desiderava da lui. Il vecchio ammutolì sbarrando gli occhi,la sua volontà si allentò, le braccia gli caddero penzoloni, e impotente egli dovette subire la fascinazione di Siddharta. Anzi, i pensieri di Siddharta s'impadronirono del Samana, ed egli dovette eseguire ciò che essi gli comandavano. Perciò il vecchio s'inchinò parecchie volte, eseguì gesti di benedizione, pronunciò balbettando un pio augurio di buon viaggio. E i giovani ricambiarono lo augurio e salutando si dipartirono.
Per strada disse Govinda: «O Siddharta, non sapevo che tanto avessi appreso dai Samana. È difficile, molto difficile ipnotizzare un vecchio Samana. In verità, se tu fossi rimasto con loro, avresti presto imparato a camminare sulle acque».
«Non desidero camminare sulle acque», rispose Siddharta. «Queste arti le lascio volentieri ai vecchi Samana».


Hermann Hesse, Siddharta, pp 48-57

Amore, sesso e religioni - Gurdjieff

Philippe: Perché la maggior parte delle associazioni che interferiscono con il lavoro sono associazioni sessuali?

Gurdjieff: Questa domanda è soggettiva. Non è così per tutti gli uomini. È un’anormalità, il risultato della masturbazione infantile. Ma qual è il collegamento con la sofferenza? Qui non c’è alcuna sofferenza. Ogni uomo ha in se' tre tipi di escrementi che vengono elaborati e devono essere espulsi. Il primo è il risultato del nutrimento ordinario e si elimina da sé in modo naturale, e questo deve succedere ogni giorno; in caso contrario, un medico lo sa bene, ne consegue tutta una serie di malattie. Per la stessa ragione deve essere espulso il secondo escremento, attraverso la funzione sessuale. È necessario per la salute e l'equilibrio del corpo Per alcuni è necessario farlo ogni giorno. per altri una volta alla settimana, per altri una volta al mese oppure ogni sei mesi. È soggettivo. Deve scegliere però un bagno adatto, uno che vada bene per lei. Il terzo escremento si forma nella testa, è la spazzatura del terzo tipo di nutrimento, le impressioni, e quelle scorie si accumulano nel cervello (il medico questo non lo sa, così come non conosce il ruolo dell’appendice nella digestione e la rifiuta come una scoria). Non deve mescolare per forza gli atti sessuali con il sentimento. A volte è normale che coincidano, ma l’atto sessuale è una funzione. Lo si può considerare esterno a sé, anche se l’amore è interno. L’amore è amore. Non ha alcun bisogno del sesso. Lo si può provare per una persona dello stesso sesso, persino per un animale, e la funzione sessuale in quel caso non si mischia. A volte invece è normale unirle, è uno degli aspetti dell’amore. È più facile amare così, anche se allo stesso tempo poi è complicato rimanere imparziali come l’amore richiede. Allo stesso modo: se si considera la funzione sessuale necessaria da un punto di vista medico, perché si dovrebbe amare un rimedio, una medicina? In origine l’atto sessuale dev’essere stato effettuato solo per la riproduzione della specie, ma a poco a poco gli uomini ne hanno fatto uno strumento di piacere. Doveva essere un atto sacro. Bisogna sapere che questo seme divino, lo sperma, ha anche un’altra funzione: quella di creare in noi un secondo corpo. Per questo motivo la frase: «Felice colui che comprende la funzione degli hexioekhari per la trasformazione del proprio essere. Infelice colui che li usa in modo unilaterale».

Dr. Aboulker: Perché le religioni proibiscono l’atto sessuale?

Gurdjieff: Perché in origine conoscevano l’uso di questa sostanza, e da qui la castità dei monaci. Ora questa conoscenza è stata dimenticata e rimane soltanto la proibizione, che attira sui monaci molte malattie e disordini. Guardi i preti, per esempio, quando diventano “grassi come maiali”, poiché l’urgenza di mangiare li domina, o quando sono “magri come il diavolo”, e hanno dentro poco amore per gli altri; i grassi sono meno pericolosi e più gentili.



G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, pp 34-36

Non è solo per lei che sta lavorando - Gurdjieff

Gabrielle: Ho bisogno di aiuto, perché sto attraversando una crisi molto profonda e ho anche perso ogni gusto per il lavoro. Quando desidero lavorare, cado in un sonno profondo.

Gurdjieff: C’è qualcosa dentro di lei che si sta preparando, ma lei non riesce a vederlo, e immagino che il lavoro debba essere ancora e ancora più doloroso per lei, dal  momento che ha sempre meno contatto con sé stessa.  Ma deve continuare a sforzarsi nonostante questo. Deve fare questo passo da sola. Pensi che non è solo per lei che sta lavorando e che forse (e questo è assolutamente vero in una proporzione del dieci per cento) il destino di qualcun altro è legato al suo.



G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, p 31

Neppure Dio, anche se lo desiderasse, potrebbe aiutarla - Gurdjieff

Simone: Mi accorgo di essere sempre sconfitta dalle mie funzioni. Le mie abitudini formano un automatismo, come un blocco interno su cui non riesco ad avere alcuna presa. Da un lato ho il lavoro su di me, dall’altro la mia vita, in cui non cambia niente.

Gurdjieff: Abbiamo detto spesso che se uno sviluppa un lato, si svilupperà anche l’altro. Bisogna lottare.

Simone: Ma nel modo giusto. Io non sono in grado di avere un conflitto dentro di me.

Gurdjieff: Perché lei non fa. Per prendere per sé ciò che si trova su questo tavolo, deve andare sul tavolo. Altrimenti non sarà mai in grado di andare oltre. Può continuare a vivere così per altri dieci anni, mille anni, non cambierà mai. Neppure Dio, anche se lo desiderasse, potrebbe aiutarla. Non ne avrebbe il diritto. Solo lei può lottare contro la sua pigrizia. Ci sono due tendenze dentro di lei, ma lei dorme. Deve alzarsi e lottare.

Simone: Questa pigrizia che ho è innata o acquisita?

Gurdjieff: Credo che sia una tendenza naturale. Più la sua psiche desidera una certa cosa, più il suo corpo la rifiuta. Forse è stata messa lì direttamente dalla natura, per farla combattere. E una buona cosa. Sono queste le condizioni in cui deve lavorare. Se questa tendenza non esistesse bisognerebbe sostituirla, mettere qualcos’altro dentro di lei. È anche un modo per ricordare. Ogni volta che la sente pensi al suo lavoro. È un bene che lei veda la sua pigrizia, perché molte persone sono pigre, ma non lo vedono.



G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, pp 30-31

Lei è venuta qui troppo presto - Gurdjieff

Solange: Non riesco a sentire me stessa. Cosa posso fare per avere una sensazione di me?

Gurdjieff: Sola la sua testa desidera ricordare. Il suo sforzo è intellettuale. Deve stabilire un contatto tra la testa e il corpo. Immerga una gamba nell’acqua ghiacciata e la lasci lì, cercando di stabilire il contatto. Poi faccia lo stesso con l’altra gamba. Lei è venuta qui troppo presto.



G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, p 29

Meditazione profonda e autoconoscenza - Mariano Ballester



 Negli ultimi decenni del secolo scorso tecniche e pratiche di meditazione proprie delle religioni orientali hanno profondamente influenzato l'approccio alla dimensione spirituale propria del mondo occidentale. Da ciò è nata la via della meditazione profonda e autoconoscenza (MPA) il cui scopo è guidare chi la pratica verso la sorgente del suo essere attraverso un processo di ricerca spirituale. Il presente volume raccoglie in modo sistematico e pedagogico il frutto di 32 anni di corsi tenuti dall'autore. La teoria è arricchita da esercizi pratici e da risposte che l'autore ha fornito agli interrogativi dei partecipanti durante la loro esperienza. 









Il lupo della steppa - Hermann Hesse

Il conflitto tra istinto e ragione, fra sensualità ed esigenze dello spirito in uno dei romanzi più affascinanti e audaci di Hesse (1877-1962): un atto di accusa contro il suo tempo minacciato dai totalitarismi e contro la decadenza della civiltà occidentale.



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Tu Non Sei Dio - Andrea Colamedici, Maura Gancitano

E' possibile una illuminazione di massa?
TU NON SEI DIO è un’analisi lucida e spietata dell’epoca del consumo spirituale: mostra i danni della più grande epidemia di egocentrismo della storia e la distanza apparentemente incolmabile con i grandi insegnamenti esoterici e filosofici.
La spiritualità contemporanea è un godimento usa e getta, una vera e propria sostanza stupefacente che altera l'attività mentale inducendo diversi gradi di dipendenza, tolleranza e assuefazione.
Ecco come disintossicarsi.
Fioccano i manuali per illuminarsi in ventiquattrore, le tecniche di meditazione per ottenere successo nella vita e molti altri ossimori che caratterizzano bene la nostra dilaniante psicosi di massa.




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Demian - Hermann Hesse

Scritto neI 1917 e pubblicato nel 1919, "Demian" è la storia di un ragazzo combattuto fra due mondi, quello bello e pulito del bene e quello terribile, enigmatico eppur allettante del male. Protagonista è il giovane EmiI Sinclair, caduto sotto l'influsso di un cattivo compagno di scuola, Franz Kromer, che lo spinge a ingannare i genitori, rubare e discendere la china del peccato. Sarà un altro compagno, Max Demian, che sembra vivere fuori del tempo o uscire da un passato senza età, ad attrarre Sinclair e a liberarlo dal nefasto influsso di Kromer, guidandolo verso una concezione della vita straordinariamente complessa e misteriosa.


giovedì 6 luglio 2017

Il figlio del Brahmino - Hermann Hesse

Tutto sapevano i Brahmini e i loro libri sacri, tutto, e perfino qualche cosa di più; di tutto s'erano occupati, della creazione del mondo, della natura del linguaggio, dei cibi, dell'inspirare e dell'espirare, della gerarchia dei cinque sensi, dei fatti degli dèi ...cose infinite sapevano ... Ma valeva la pena saper tutto questo, se non si sapeva l'uno e il tutto, la cosa più importante di tutte, la sola cosa importante?
[..]
Ma dov'erano i saggi, dove i sacerdoti o i penitenti, ai quali fosse riuscito, non soltanto di conoscerla, questa profondissima scienza, ma di viverla? Dove era l'esperto che sapesse magicamente richiamare dal sonno allo stato di veglia l'esperienza dell'Atman, ricondurla nella vita quotidiana, nella parola e nell'azione?

Hermann Hesse, Siddharta, pp 37-38

Siddharta - Hermann Hesse

Chi è Siddhartha? È uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddhartha, che ripete il «costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l’aveva visto centinaia di volte con venerazione».

Siddhartha è senz’altro l’opera di Hesse più universalmente nota. Questo breve romanzo di ambiente indiano, pubblicato per la prima volta nel 1922, ha avuto infatti in questi ultimi anni una strepitosa fortuna. Prima in America, poi in ogni parte del mondo, i giovani lo hanno riscoperto come un loro testo, dove non trovavano solo un grande scrittore moderno ma un sottile e delicato saggio, capace di dare, attraverso questa parabola romanzesca, un insegnamento sulla vita che evidentemente i suoi lettori non incontravano altrove.



Quanto fu frainteso «Siddhartha» di Hesse

D'oppio anniversario quest'anno per i tanti appassionati di Hermann Hesse: nell'estate di cinquant'anni fa la dipartita, nove invece i decenni che ci separano dalla prima pubblicazione in tedesco del suo romanzo più letto: Siddhartha. Per celebrare le due ricorrenze l'Adelphi riedita proprio quel titolo, uno dei maggiori successi della sua storia editoriale, targato 1973 (mentre la prima edizione italiana, per i tipi di Frassinelli, era comparsa con la fine del fascismo). Il nuovo volume propone la storica traduzione di Massimo Mila, accompagnata però da pagine di diario, lettere e commenti degli amici e colleghi Stefan Zweig e Hugo Ball, fotografie. Molto materiale per fare un po' di luce sulla genesi e il senso del romanzo «indiano» per ambientazione ma, a ben considerare, universale perché racconto iniziatico: quasi una fiaba, un archetipo del perdersi per trovare il vero Sé.
La passione per Siddhartha sbocciò negli Usa del secondo dopoguerra, la Beat generation cominciò ad infilarlo nello zaino, a praticare religioni e filosofie d'Oriente. Quando fu il turno degli hippy, anche loro un'occhiata ad Hesse l'avevano data, l'orientalismo d'oltreoceano venne esportato dalle nostre parti. Inclusa la macchietta del giovane capellone che va in India «per trovare se stesso», ascoltare «la voce del fiume», praticare la compassione buddista. Il peggio doveva ancora venire, ed era il buddismo esotico più che esoterico, d'aerobica più che da yoga, impostosi con gli anni '80 e brulicante nei minestroni New Age. Di questo incolpiamo il capolavoro (perché tale resta) di Hesse, di aver contribuito alla nascita di questi buddisti da aperitivo. Gente che forse ha letto Siddhartha a sedici anni e mai più ha ridato un'occhiata a quelle pagine. Potrebbe scoprire che il protagonista del romanzo in realtà non si fa discepolo del Buddha; preferisce l'amore di una cortigiana e la vita da ricco mercante, preferisce sporcarsi col mondo. E nemmeno si fa buddista dopo la fuga da quel mondo, ma sceglie di esercitare il mestiere di traghettatore. Nel dialogo finale con il vecchio amico che invece monaco si è fatto, Siddhartha nega perfino il dualismo orientale fra Nirvana e natura illusoria: oseremmo dire che il saggio indiano fa scelte più cristiane che buddiste. Perché Cristo è venuto anche per i buddisti, quasi incarnando le loro nobili verità. Del resto Hermann Hesse, figlio di missionari protestanti in India, cinquant'anni fa non lasciò disposizioni per un rito funerario indiano. I suoi resti mortali riposano nel cimitero della chiesa di Sant'Abbondio, a Gentilino, ai piedi dei monti svizzeri, non su quelli tibetani. 



http://www.ilgiornale.it/news/cultura/quanto-fu-frainteso-siddhartha-hesse-837334.html