Molto apprese Siddharta dai Samana, molte vie imparò a percorrere per uscire dal proprio lo. Percorse la via della spersonalizzazione attraverso il dolore, attraverso la volontaria sofferenza e il superamento del dolore, della fame, della sete, della stanchezza. Percorse la via della spersonalizzazione attraverso la meditazione, attraverso lo svuotamento dei sensi da ogni immagine per mezzo del pensiero. Queste e al- tre vie apprese a percorrere, mille volte abbandonò il proprio Io, per ore e per giorni indugiò nel non-Io.
Ma anche se queste vie uscivano inizialmente dall'Io, all'Io la loro fine riconduceva pur sempre. Mille volte Siddharta poteva sfuggire dal suo Io, indugiare nel nulla, trattenersi in una bestia, nella pietra; inevitabile era il ritorno, inesorabile l'ora in cui egli — splendesse il sole oppure la luna, sotto la pioggia o nell'ombra — ritrovava se stesso, ed era di nuovo l'Io-Siddharta, e di nuovo provava il tormento di non poter sfuggire al circolo delle trasformazioni.
Ma anche se queste vie uscivano inizialmente dall'Io, all'Io la loro fine riconduceva pur sempre. Mille volte Siddharta poteva sfuggire dal suo Io, indugiare nel nulla, trattenersi in una bestia, nella pietra; inevitabile era il ritorno, inesorabile l'ora in cui egli — splendesse il sole oppure la luna, sotto la pioggia o nell'ombra — ritrovava se stesso, ed era di nuovo l'Io-Siddharta, e di nuovo provava il tormento di non poter sfuggire al circolo delle trasformazioni.
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Rispose Govinda: «Abbiamo imparato, e impariamo ancora. Tu diventerai un grande Samana, Siddharta. Hai appreso così in fretta ogni esercizio, spesso i vecchi Samana si sono meravigliati di te. Un giorno tu sarai un santo, o Siddharta».
Disse Siddharta: «Io non sono di questo parere, amico mio. Ciò che ho imparato finora presso i Samana, o Govinda, avrei potuto impararlo più presto e più semplicemente. In qualunque bettola di malaffare, tra carrettieri e giocatori di dadi, l'avrei potuto imparare».
Disse Govinda: «Siddharta si prende gioco di me. Come avresti potuto imparare, là, tra quegli sciagurati, la concentrazione, la sospensione del re-spiro, l'insensibilità alla fame e al dolore?».
E Siddharta disse piano, come se parlasse a se stesso: «Che è la concentrazione? Che l'abbandono del corpo? Che cos'è il digiuno? la sospensione del respiro? Tutto questo è fuga di fronte all'Io, breve pausa nel tormento di essere Io, è un effimero stordimento contro il dolore insensato della vita. La stessa evasione, lo stesso effimero stordimento prova il bovaro all'osteria, quando si tracanna alcuni bicchieri di acquavite o di latte di cocco fermentato. Allora egli non sente più il proprio Io, allora non sente più le pene della vita, allora prova un effimero stordimento. E prova lo stesso, sonnecchiando sul suo bicchiere di acquavite, che provano Siddharta e Govinda, quando riescono a sfuggire, grazie a lunghi esercizi, dai loro corpi, e a indugiare nel non-Io. Così è, o Govinda».
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Rispose Siddharta: «Che età credi che abbia il più vecchio dei nostri Samana, il nostro venerabile maestro?».
Disse Govinda: «Il più vecchio potrà avere un sessant'anni».
E Siddharta: «Sessant'anni è vissuto, e il nirvana non l'ha mai raggiunto. Ne vivrà settanta, ottanta, e tu e io, anche noi, diverremo vecchi e faremo i nostri esercizi, digiuneremo, mediteremo. Ma il nirvana non lo raggiungeremo: non lo raggiungerà il maestro, non lo raggiungeremo noi. O Govinda,di tutti i Samana che esistono non uno, io credo, neanche uno, raggiunge il nirvana. Troviamo con-forti,troviamo da stordirci, acquistiamo abilità con Ie quali cerchiamo d'illuderci. Ma l'essenziale, la strada delle strade non la troviamo».
Disse Siddharta: «Io non sono di questo parere, amico mio. Ciò che ho imparato finora presso i Samana, o Govinda, avrei potuto impararlo più presto e più semplicemente. In qualunque bettola di malaffare, tra carrettieri e giocatori di dadi, l'avrei potuto imparare».
Disse Govinda: «Siddharta si prende gioco di me. Come avresti potuto imparare, là, tra quegli sciagurati, la concentrazione, la sospensione del re-spiro, l'insensibilità alla fame e al dolore?».
E Siddharta disse piano, come se parlasse a se stesso: «Che è la concentrazione? Che l'abbandono del corpo? Che cos'è il digiuno? la sospensione del respiro? Tutto questo è fuga di fronte all'Io, breve pausa nel tormento di essere Io, è un effimero stordimento contro il dolore insensato della vita. La stessa evasione, lo stesso effimero stordimento prova il bovaro all'osteria, quando si tracanna alcuni bicchieri di acquavite o di latte di cocco fermentato. Allora egli non sente più il proprio Io, allora non sente più le pene della vita, allora prova un effimero stordimento. E prova lo stesso, sonnecchiando sul suo bicchiere di acquavite, che provano Siddharta e Govinda, quando riescono a sfuggire, grazie a lunghi esercizi, dai loro corpi, e a indugiare nel non-Io. Così è, o Govinda».
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Rispose Siddharta: «Che età credi che abbia il più vecchio dei nostri Samana, il nostro venerabile maestro?».
Disse Govinda: «Il più vecchio potrà avere un sessant'anni».
E Siddharta: «Sessant'anni è vissuto, e il nirvana non l'ha mai raggiunto. Ne vivrà settanta, ottanta, e tu e io, anche noi, diverremo vecchi e faremo i nostri esercizi, digiuneremo, mediteremo. Ma il nirvana non lo raggiungeremo: non lo raggiungerà il maestro, non lo raggiungeremo noi. O Govinda,di tutti i Samana che esistono non uno, io credo, neanche uno, raggiunge il nirvana. Troviamo con-forti,troviamo da stordirci, acquistiamo abilità con Ie quali cerchiamo d'illuderci. Ma l'essenziale, la strada delle strade non la troviamo».
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Govinda si spaventò e rimase altamente imbarazzato, ma Siddharta accostò la bocca all'orecchio di Govinda e gli sussurrò: «Ora voglio mostrare al vecchio che qualcosa con lui ho pure imparato». Collocandosi ben vicino di fronte al Samana, con l'anima tutta concentrata, colse col proprio sguardo lo sguardo del vecchio e lo avvinse, lo fece ammutolire, disarmò la sua volontà e l'assoggettò alla propria, ordinandogli di fare, senza tante storie, ciò ch'egli desiderava da lui. Il vecchio ammutolì sbarrando gli occhi,la sua volontà si allentò, le braccia gli caddero penzoloni, e impotente egli dovette subire la fascinazione di Siddharta. Anzi, i pensieri di Siddharta s'impadronirono del Samana, ed egli dovette eseguire ciò che essi gli comandavano. Perciò il vecchio s'inchinò parecchie volte, eseguì gesti di benedizione, pronunciò balbettando un pio augurio di buon viaggio. E i giovani ricambiarono lo augurio e salutando si dipartirono.
Per strada disse Govinda: «O Siddharta, non sapevo che tanto avessi appreso dai Samana. È difficile, molto difficile ipnotizzare un vecchio Samana. In verità, se tu fossi rimasto con loro, avresti presto imparato a camminare sulle acque».
«Non desidero camminare sulle acque», rispose Siddharta. «Queste arti le lascio volentieri ai vecchi Samana».
Per strada disse Govinda: «O Siddharta, non sapevo che tanto avessi appreso dai Samana. È difficile, molto difficile ipnotizzare un vecchio Samana. In verità, se tu fossi rimasto con loro, avresti presto imparato a camminare sulle acque».
«Non desidero camminare sulle acque», rispose Siddharta. «Queste arti le lascio volentieri ai vecchi Samana».
Hermann Hesse, Siddharta, pp 48-57
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