venerdì 24 febbraio 2017

Origini del Cristianesimo - Gurdjieff

"In genere conosciamo pochissimo del Cristianesimo e delle forme del culto cristiano, non conosciamo affatto la sua storia, come pure l'origine di un'infinità di cose. Per esempio la chiesa, il tempio dove si riuniscono i fedeli e dove sono celebrati gli uffizi secondo riti particolari, quali origini ha? Quanta gente non vi ha mai pensato! Taluni ritengono che le forme esteriori del culto, i riti, i cantici, siano stati inventati dai Padri della Chiesa. Altri pensano che le forme esteriori sono state prese a prestito in parte dai pagani, ed in parte dagli ebrei. Ma tutto ciò non è vero. La questione delle origini della Chiesa cristiana, vale a dire del tempio cristiano, è molto più interessante di quel che pensiamo. Innanzi tutto, la Chiesa e il culto, nella forma sotto la quale apparivano nei primi secoli dell'era cristiana, non poteva derivare dal paganesimo; non vi era niente di simile, né nei culti greci e romani, né nel giudaismo. La sinagoga, il tempio ebreo, i templi greci e romani, con i loro numerosi dei, erano molto differenti dalla chiesa cristiana, quale essa apparve nel primo e nel secondo secolo. La chiesa cristiana è una scuola e nessuno sa più che lo sia. Immaginatevi una scuola, dove i maestri tengano le loro lezioni e le loro dimostrazioni senza sapere che si tratta di lezioni e di dimostrazioni e dove gli allievi o i semplici auditori considerino questi corsi e dimostrazioni come cerimonie, riti o 'sacramenti', ossia magia. Questo assomiglierebbe molto alla chiesa cristiana dei nostri giorni.

"La chiesa cristiana, la forma cristiana del culto, non sono state inventate dai Padri della Chiesa. Tutto è stato preso in Egitto — ma non dall'Egitto a noi noto: bensì da un Egitto che non conosciamo. Quell'Egitto era nello stesso luogo dell'altro, ma era esistito molto tempo prima. Solo infime vestigia sono sopravvissute nei tempi storici, ma furono conservate in segreto, e così bene che non sappiamo nemmeno dove.

"Vi sembrerà strano se dico che questo Egitto preistorico era cristiano molte migliaia d'anni prima della nascita di Cristo, o per meglio dire che la sua religione si fondava sugli stessi principi, sulle stesse idee del vero Cristianesimo. In questo Egitto preistorico, vi erano speciali scuole chiamate 'scuole di ripetizione'. In quelle scuole si davano a date fisse, e in alcune di esse anche tutti i giorni, delle ripetizioni pubbliche, in forma condensata, del corso completo delle scienze insegnate. La 'ripetizione' durava talvolta una settimana intera o anche un mese. Grazie a queste 'ripetizioni' coloro che avevano seguito i corsi conservavano il contatto con le scuole e potevano così ritenere tutto ciò che avevano imparato. Alcuni venivano da molto lontano per assistere a queste 'ripetizioni' e ripartivano con un sentimento nuovo della loro appartenenza alla scuola. Nel corso dell'anno, c'erano giornate speciali consacrate a delle ripetizioni molto più complete, che si svolgevano con una solennità particolare e questi stessi giorni prendevano un senso simbolico.

"Queste scuole di ripetizione servirono di modello alle chiese cristiane. Nelle chiese cristiane le forme di culto rappresentano, quasi interamente, 'il ciclo di ripetizione' delle scienze che trattano dell'Universo e dell'uomo. Le preghiere individuali, gli inni, il responsorio, tutto aveva, in queste ripetizioni, il suo proprio senso così come le feste e tutti i simboli religiosi; ma il loro significato è stato perso da molto tempo".


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 335-336

lunedì 20 febbraio 2017

Sulla Preghiera - Gurdjieff

"La preghiera non potrebbe aiutare un uomo a vivere come un Cristiano?", chiese qualcuno.

"La preghiera di chi?, replicò G. La preghiera degli uomini soggettivi, ossia degli uomini 1, 2, 3 non può dare che risultati soggettivi. Con le loro preghiere tali uomini si consolano, si suggestionano e si addormentano da sé. Conseguenza di auto-ipnosi, questa preghiera non può dare risultati oggettivi".

"Ma la preghiera in generale non può dare risultati oggettivi?", domandò un altro.

"L'ho già detto: dipende da chi prega, rispose G. Si deve imparare a pregare esattamente come si deve imparare il resto. Per chi sappia pregare e sia capace di concentrarsi nel giusto modo, la preghiera può dare dei risultati. Dobbiamo tuttavia comprendere che vi è preghiera e preghiera e che i risultati sono differenti. Questo è conosciuto anche dalla liturgia corrente. Ma quando parliamo della preghiera o dei suoi possibili risultati, non consideriamo che un tipo di preghiera — la domanda; o meglio noi pensiamo che la domanda possa collegarsi a tutte le altre specie di preghiera. Evidentemente non è vero. La maggior parte delle preghiere non hanno niente in comune con la domanda. Mi riferisco alle antiche preghiere, di cui molte risalgono a molto prima del cristianesimo. Queste preghiere sono, in un certo modo ricapitolazioni; ripetendole ad alta voce o mentalmente l'uomo si sforza di provare tutto il loro contenuto col pensiero e col sentimento. D'altronde un uomo può sempre comporre nuove preghiere a sua intenzione. Dirà, per esempio: 'Voglio essere serio'. Tutto dipenderà da come lo dice. Se lo ripeterà diecimila volte al giorno, chiedendosi quando finirà e che cosa ci sarà da cena, questo non è pregare, ma mentire a sé stesso. Tuttavia, queste stesse parole possono diventare una preghiera se l'uomo le recita così: 'Io' — e nello stesso tempo pensa a tutto quello che sa su 'Io'. Questo 'Io' non esiste, non c'è un solo 'Io' ma una moltitudine di piccoli 'io' rivendicatori e attaccabrighe. Eppure egli vuole essere un vero 'Io', vuole essere il signore; si ricorda della vettura, del cavallo e del padrone. 'Io' è il padrone, VOGLIO — egli pensa al significato di 'Io voglio'. È forse capace di volere? In lui continuamente 'si vuole' e 'non si vuole'; ma egli farà lo sforzo di opporre al 'si vuole' e al 'non si vuole' il proprio 'io voglio', connesso alla scopo del lavoro su di sé. In altri termini cercherà di introdurre la terza forza nella combinazione abituale delle due forze: 'si vuole' e 'non si vuole', ' ESSERE ' — egli penserà a ciò che significa l'essere'. L'essere di un uomo automatico a cui tutto accade. E l'essere di un uomo che può fare. È possibile 'essere' in modi differenti. Egli vuole 'essere' non soltanto nel senso di esistere, ma nel senso di grandezza, di potere. Allora la parola 'essere' prende un peso, un senso nuovo per lui. ' SERIO ' — egli pensa a ciò che significa 'essere serio'. Il modo in cui egli risponde a sé stesso è molto importante. Se comprende ciò che dice, se è capace di definire a sé stesso correttamente ciò che significa 'essere serio', se sente di desiderarlo veramente, allora la sua preghiera può dare un risultato: può riceverne una forza, poi potrà notare più spesso in quali momenti non è serio, infine egli avrà meno difficoltà a vincere sé stesso. Dunque, questa sua preghiera l'avrà aiutato a divenire serio.

"Allo stesso modo un uomo può pregare così: 'io voglio ricordarmi di me stesso', ' RICORDARMI ' — che cosa significa 'ricordarsi'? L'uomo deve pensare alla memoria — quanto poco egli ricorda! Come si dimentica sovente quello che ha deciso, quello che ha visto, quello che sa! Tutta la sua vita cambierebbe se potesse ricordarsi. Tutto il male viene dal suo dimenticare, ' ME STESSO ' — di nuovo ritorna a sé stesso. Di quale 'me' desidera ricordarsi? Vale la pena ricordarsi di sé stesso interamente? Come può riconoscere ciò che vuole ricordare? L'idea del lavoro: come potrebbe legarsi più strettamente al lavoro? e così di seguito.

"Nel culto cristiano, vi sono parecchie preghiere del tutto simili a queste, in cui è necessario riflettere su ogni parola. Ma esse tuttavia perdono ogni portata, ogni significato, quando sono recitate o cantate meccanicamente.

"Consideriamo la conosciutissima preghiera: 'Signore abbi pietà di mé' Cosa vuoi dire? Un uomo rivolge una invocazione. Non dovrebbe pensarci un po', non dovrebbe fare un confronto, domandarsi cosa è Dio e cosa è lui stesso? Poi, sta domandando a Dio di avere pietà di lui. Ma bisognerebbe che Dio pensasse a lui, che lo prendesse in considerazione. Ora, merita proprio che le si prenda in considerazione?
Cosa c'è in lui che sia degno di essere oggetto di pensiero? Chi deve pensare a lui? Dio stesso. È chiaro che tutti questi pensieri, e molti altri ancora, dovrebbero passare per la mente come egli pronuncia questa semplice preghiera. E sono precisamente questi pensieri che potrebbero fare per lui ciò che egli chiede a Dio di fare. Ma a cosa pensa e quali risultati può dare la sua preghiera, se ripete come un pappagallo: Signore abbi pietà! Signore abbi pietà! Signore abbi pietà! Lo sapete bene che questo non può dare alcun risultato.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 333-335

Per essere Cristiani bisogna esserne capaci - Gurdjieff

"La religione, diceva sempre, è un concetto relativo, essa corrisponde al livello di un essere umano; la religione di un uomo può benissimo non convenire ad un altro, ossia la religione di un uomo di un certo livello di essere non si adatta ad un uomo di un altro livello di essere.

"Bisogna comprendere che la religione dell'uomo n. 1, non è la religione dell'uomo n. 2 e che quella dell'uomo n. 3, è pure un'altra religione. Le religioni degli uomini n. 4, n. 5, n. 6, n. 7 sono completamente differenti dalle religioni degli uomini n. 1, 2 e 3.

"In secondo luogo, la religione è: fare. Un uomo non pensa, non sente, soltanto la propria religione, egli la 'vive' più che può; altrimenti non si tratta di religione, ma di fantasia o filosofia. Che gli piaccia o no, egli mostra la sua attitudine verso la religione con i propri atti e non può mostrarla che con i propri atti. Di conseguenza se i suoi atti sono in contraddizione con ciò che è richiesto da una data religione, egli non può affermare di appartenere a quella religione. La grande maggioranza delle persone che si dicono cristiane non hanno diritto alcuno a questo titolo, perché non soltanto non seguono i comandamenti della propria religione, ma pare che non suppongano nemmeno che questi comandamenti debbano essere seguiti.

"La religione cristiana proibisce l'omicidio; e tutti i progressi che abbiamo fatto sono progressi della tecnica dell'omicidio, dell'arte della guerra. Come possiamo dunque dirci Cristiani?

"Nessuno ha il diritto di chiamarsi Cristiano, se non adempie nella sua vita i precetti del Cristo. Un uomo può dire che desidera essere Cristiano, se si sforza di osservare questi precetti. Se non ci pensa neppure, o se ne ride, se li rimpiazza con qualcosa di sua invenzione, o semplicemente li dimentica, non ha alcun diritto di dirsi Cristiano.

"Ho preso l'esempio della guerra perché è il più evidente. Ma senza parlare della guerra, tutto nella nostra vita è così. Le persone si dicono Cristiane, ma senza comprendere che non solo non vogliono, ma che non possono esserlo, perché, per essere Cristiani, non basta desiderarlo, bisogna anche esserne capaci.

"L'uomo, in sé stesso, non è uno, non è Io, è 'noi', o per parlare più rigorosamente, è 'essi'. Tutto deriva da questo. Supponiamo che un uomo voglia, secondo il Vangelo, porgere la guancia sinistra dopo essere stato battuto sulla guancia destra. Ma è uno solo dei suoi 'io' che prende questa decisione, sia nel centro intellettuale come nel centro emozionale. Un 'io' lo vuole, un 'io' se ne ricorda — gli altri non ne sanno niente. Immaginiamo che la cosa avvenga realmente: un uomo è stato schiaffeggiato. Pensate che egli porgerà la guancia sinistra? Mai. Egli non avrà nemmeno il tempo di pensarci. Schiaffeggerà a sua volta l'uomo che l'ha colpito, oppure chiamerà una guardia, oppure fuggirà; il suo centro motore reagirà ben prima che l'uomo si renda conto di cosa sta facendo, come ne ha l'abitudine, come gli è stato insegnato a fare.

"Per poter porgere la guancia sinistra bisogna essere stati istruiti per molto tempo, bisogna essersi allenati con perseveranza perché, se la guancia è offerta meccanicamente, questo non ha ancora nessun valore; l'uomo porge la sua guancia perché non può fare altrimenti".


 P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 332-333

La musica oggettiva - Gurdjieff

"Non vi darò che un esempio: la musica. Tutta la musica oggettiva si basa sulle ottave interiori. Essa può dare risultati precisi, non solo d'ordine psicologico, ma d'ordine fisico. Esiste una musica tale da far gelare le acque. Vi è una musica capace di uccidere un uomo all'istante.
La leggenda della distruzione delle mura di Gerico con la musica è proprio una leggenda di musica oggettiva. La musica ordinaria, di qualunque tipo, non farà mai crollare muri, ma la musica oggettiva invece lo può. E non soltanto può distruggere, ma può anche edificare. La leggenda di Orfeo è tessuta su tali ricordi di musica oggettiva, perché Orfeo si serviva della musica per insegnare. La musica degli incantatori di serpenti in Oriente si avvicina alla musica oggettiva, ma in modo assai primitivo. Spesso non si tratta che di una sola nota, appena modulata, e prolungata indefinitamente; in questa semplice nota si sviluppano incessantemente delle 'ottave interiori', e in queste ottave, delle melodie non percepibili dalle orecchie, ma che possono essere sentite dal centro emozionale. E il serpente ode questa musica o, per meglio dire, la sente e le obbedisce. Una musica di questo tipo, soltanto un po' più complessa, farebbe obbedire degli uomini.





P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 330-331

Le linee di insegnamento - Gurdjieff

"Per comprendere la correlazione di questi insegnamenti, bisogna sempre ricordare che le vie che conducono alla conoscenza dell'unità si dirigono verso di essa come i raggi di un cerchio convergono verso il centro: più essi si avvicinano al centro, più si avvicinano vicendevolmente.

"Ne risulta che le nozioni teoriche che formano le basi di una linea di insegnamento, possono essere qualche volta spiegate dal punto di vista degli enunciati di un'altra linea d'insegnamento, e viceversa. Per questa ragione è qualche volta possibile tracciare una certa via intermediaria fra due vie adiacenti. Ma in mancanza di una conoscenza e di una comprensione complete delle linee fondamentali, tali vie intermediarie, possono facilmente condurre ad una mescolanza di linee, alla confusione, all'errore.

"Tra le linee di insegnamento più o meno conosciute se ne possono distinguere quattro:
1 - Ebraica
2 - Egiziana
3 - Iraniana
4 - Indù

"Dell'ultima non conosciamo che la filosofia, e delle tre prime solo frammenti di teoria.

"Oltre queste linee, ne esistono due conosciute in Europa, la 'teosofia' e il cosiddetto 'occultismo occidentale', che sono risultate dalla mescolanza delle vie fondamentali. Queste due linee portano in sé stesse dei grani di verità, ma né l'una né l'altra possiedono la scienza integrale e, di conseguenza, tutti gli sforzi tentati su queste vie per arrivare a un'effettiva realizzazione, non possono dare che risultati negativi.

"L'insegnamento di cui viene esposta qui la teoria è completamente autonomo, indipendente da tutte le altre vie e fino ad oggi è rimasto completamente sconosciuto. Come altri insegnamenti, fa uso del metodo simbolico, e uno dei suoi simboli principali è la figura di cui abbiamo parlato, cioè il cerchio diviso in nove parti.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 317-318

sabato 18 febbraio 2017

Desiderio di conoscere - Aïvanhov

Il desiderio di conoscere non è privo di rischi. La nostra vita non è che un susseguirsi di incontri, di prese di contatto con oggetti, luoghi, situazioni, esseri umani o altre creature. Ciascuno desidera conoscere, sapere: perché? Perché con ogni nuova conoscenza acquisita pensa di poter ottenere qualcosa. È vero, ma attenzione: occorre essere prudenti, altrimenti rischia di verificarsi il contrario. La mosca guarda la ragnatela con grande curiosità: vuole sapere che cos'è. Non sospetta che al centro di quella magnifica rete di filamenti sta una creatura molto astuta che ha messo tutto il suo talento nel fabbricarla; allora la mosca si avventura e fa la conoscenza approfondita del ragno. L'artista che ha concepito quella trappola è incantato, ma per la mosca è la fine! Ebbene, l'esistenza è così: piena di ragnatele e di trappole per tutti i curiosi e gli imprudenti che credono di poter andare alla ventura senza essere istruiti sui pericoli.

Omraam Mikhaël Aïvanhov

sabato 4 febbraio 2017

Versione virile del Vangelo - Gurdjieff

Avevo annotato un giorno in un taccuino una riflessione che mi si imponeva:
«Questo insegnamento è una versione virile del Vangelo».
A quando data questa annotazione? Non lo so ma sicuramente ad un'epoca in cui non avevamo ancora avuto tra le mani né i "Frammenti di un insegnamento sconosciuto''' né alcuno dei libri propriamente detti di Gurdjieff(8). Avremmo altrimenti potuto verificare che lui stesso ha esattamente definito il suo insegnamento come un esoterismo cristiano.
[..]
Nell'istante in cui mi attraversò, come un lampo di fuoco, l'idea che l'insegnamento non era altro che una versione del Vangelo in un linguaggio diverso, fui preso da una gran-de gioia e allo stesso tempo da una certa inquietudine. Perché? Diciamo, per semplificare, che avevo la sensazione di entrare in un territorio riservato. Perché il Cristianesimo non ò nato ieri ed appartiene di diritto ai santi e ai dottori della Chiesa. In più, nonostante ai nostri giorni sia universalmente messo in dubbio, è chiaro che esso è il fondamento delle nostre istituzioni, dei nostri codici, della nostra etica ed impregna molto profondamente i nostri pensieri.
Era possibile che non l'avessimo fino ad allora riconosciuto nell'insegnamento sconosciuto?
Per riconoscerlo sotto una forma che non avevamo mai visto avremmo dovuto poterne gustare l’essenza (che conserva il suo sapore attraverso tutti i cambiamenti dell'apparenza). L'essenza del Cristianesimo? Non ci si aspetti che provi a definire qualcosa che appare al di là di ogni definizione. Tuttavia sarebbe ingiusto volerlo ignorare del tutto.
Quando apro il Vangelo ne traggo un'ispirazione molto forte. È una lettura ardente, costellata di parole di un'intelligenza così acuta che non le si dimentica più: Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?.(9)
Essi chiedevano questo, per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei». (l0)
«E’ lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». (ll)
Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? (l2) Voi siete il sale della terra. Ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salalo? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini (l3) Queste parole che sono state citate e raccontate tanto spesso da poterle credere spogliate, come dell'alcool troppo a lungo invecchiato, sono ancor oggi altrettanto palpitanti di vita.
[..]
Gurdjieff non affrontava spesso questo problema con noi, poiché egli riteneva nulla la nostra competenza in questo campo.
«Immaginate - egli scrive - che un Europeo colto, cioè un uomo che non sa niente della religione, incontri la possibilità di una via religiosa. Egli non vedrà niente ecc. ecc. ...».
Quando Ouspensky chiede a Gurdjieff «qual è il rapporto dell'insegnamento che voi esponete con il cristianesimo come noi lo conosciamo», si attira questa risposta: «Non so quello che voi sapete sul cristianesimo. Bisognerebbe parlare a lungo per chiarire ciò che voi intendete con questo termine. Ma ad uso di coloro che sanno, direi, se volete, che questo insegnamento è cristianesimo esoterico.» (l4)
 Gurdjieff ha parlato in questi termini a degli allievi che possiamo definire "cristiani" (con tutte le restrizioni che si impongono) poiché essi appartenevano alla Russia di prima della rivoluzione d'Ottobre e la loro ricerca personale li aveva spinti sia a provare di liberarsi da un'influenza che li aveva delusi sia, al contrario, a esplorarne gli arcani per ritrovarne il significato essenziale.
È cristiano, egli spiegò un giorno agli allievi venuti dall'America e dall'Inghilterra per raggiungerlo al Prieuré di Avon, soltanto colui che è capace di mettere in pratica i comandamenti di Cristo. Facendo allusione al comanda mento ben noto che prescrive di amare il prossimo come se stessi, chiese chi ne fosse capace.
«A seconda che abbiate preso o meno una tazza di caffè, può darsi che amerete o non amerete.(l5)
«Dott. X, se vi si percuote sulla guancia destra, forse voi porgerete la sinistra?
«I comandamenti esistono come un ideale ma la scienza che ci renderebbe capaci di osservarli, è perduta. Essa costituisce tuttavia l'altra metà del cristianesimo, il suo esoterismo ed è stata conservata in alcune scuole. Ognuno potrà esservi iniziato durante un soggiorno all'Istituto che si è appena aperto al Prieuré, a condizione di risentirne la necessità».
Così egli ha parlato del cristianesimo ma soltanto a delle persone che ne avevano una certa conoscenza.
Si sa, comunque, quanto poco a lui importasse l'etichetta. Ebreo, cristiano, buddista, lamaista, islamico ... appena si va fino al midollo si tocca, sotto appellativi diversi, la stessa verità.
Aveva già spiegato queste cose ai suoi allievi di Mosca nel 1916 e di questo noi possediamo la relazione molto precisa che ne ha fatto Ouspensky:
«Ricordate - egli diceva - che ogni vera religione, e parlo di quelle che furono create con uno scopo preciso da uomini realmente sapienti, comporta due parti. La prima in-segna ciò che deve essere fatto. Questa parte cade nel dominio delle conoscenze generali e si corrompe con il tempo nella misura in cui si allontana dalla sua origine. L'altra parte insegna come fare ciò che insegna la prima. Questa parte è conservata segretamente in alcune scuole e con il suo aiuto è sempre possibile rettificare ciò che è stato falsato nella prima parte o di ripristinare ciò che è stato dimenticato.
«Senza questa seconda parte non può esservi conoscenza della religione o, in ogni caso, questa conoscenza rimane incompleta e molto soggettiva.
«Questa parte segreta esiste nel cristianesimo quanto in tutte le altre religioni autentiche ed insegna come seguire i precetti di Cristo e ciò che essi significano realmente»'l6}.


René Zuber, Monsieur Gurdjieff, ma lei chi è?

Il primo nutrimento - Gurdjieff

Azzardai un giorno in sua presenza un'osservazione a questo proposito: 'insomma, Monsieur, la cucina potrebbe essere una branca della medicina?" Domanda che mi attirò la risposta “No, medicina branca della cucina ".
C'era la guerra (o il dopoguerra). L'approvvigionamento alimentare era diventato la preoccupazione di tutti i francesi. Avere qualcosa da mangiare, era il loro affanno immediato
Uno di noi andava spesso, con due notti di viaggio (e in quali condizioni!) a cercare del pollame per la tavola della rue des Colonels-Renard; un altro che avrebbe dato dei punti ad un macellaio di professione, si trovava prima dell'alba al mercato generale delle Halles per dedicarsi a fruttuose transazioni.
Mangiare è l'atto sacro attraverso il quale assorbiamo ed assimiliamo ciò che Gurdjieff chiamava "il primo nutrimento" (7).
Questo atto richiede di essere apprezzato. Ha il valore di un richiamo all'ordine poiché ci mette in comunione con le forze naturali, da cui dimentichiamo continuamente di di-pendere. Questo atto non può essere compiuto come se si gettasse del cibo ad un maiale, mentre la mente, per proprio conto, o il sentimento vagano nelle loro occupazioni o nelle loro fantasticherie.
Questo è il motivo per cui la cena in presenza di M. Gurdjieff si svolgeva prima in silenzio mentre i dialoghi - domande e risposte che rassomigliavano ad un torneo in campo chiuso - erano riservati alla fine.


René Zuber, Monsieur Gurdjieff, ma lei chi è?, pag 42

Mai affrettare - Gurdjieff

La sua andatura, i suoi gesti non erano mai precipitosi, ma, come quelli di un montanaro o di un contadino, erano legati al ritmo dalla respirazione.
Ricordo il giorno in cui, per il ritardo ad un appuntamento che mi aveva fissato, avevo percorso precipitosamente l'avenue Carnot e salito le scale quattro a quattro. Cominciavo a farfugliare una scusa quando egli lasciò semplicemente cadere su di me queste parole: "Mai affrettare".

[..]
Rivolgendosi un momento dopo al mio vicino: "Direttore! faccia sempre una sola cosa alla volta, quella del momento presente. Ma la faccia bene, ci stia tutto intero. Pazienza se in questo frattempo affari di molti milioni attendono alla porta. L'uomo ha sempre in ballo sette cose; se egli fa come ho detto, anche per una piccola cosa, le altre sei cose si faranno tutte da sole ".

René Zuber, Monsieur Gurdjieff, ma lei chi è?, pag 6-28

Monsieur Gurdjieff, ma lei chi è? - René Zuber

In questo libro vengono descritte le esperienze dell'autore durante gli incontri in casa Gurdjieff a Parigi durante la seconda guerra mondiale.

«Cucinava come un gastronomo dotato della scienza di un saggio - "questo speciale piatto georgiano, piccolo pollo, riso e cipolla, bisogna mangiare con le mani; questo dessert curdo, quando il fidanzato ha fatto la sua domanda e questa è stata accettata, l'indomani il fidanzato manda questo piatto alla fidanzata" - cucinava come un dietologo che prevede l'effetto di ogni pietanza, di ogni spezia sull'organismo.
Azzardai un giorno in sua presenza un'osservazione a questo proposito: "Insomma, Monsieur, la cucina potrebbe essere una branca della medicina?" Domanda che mi attirò la risposta "No, medicina branca della cucina."»


venerdì 3 febbraio 2017

Vidi gli addormentati - Ouspensky

Nel periodo straordinario che seguì, e che durò all'incirca tre settimane, a più riprese vidi 'gli addormentati'.

Ma questo richiede alcune spiegazioni.

Due o tre giorni dopo la partenza di G., stavo camminando per via Troitsky; e improvvisamente vidi che l'uomo che veniva nella mia direzione era addormentato. Non poteva esserci il minimo dubbio.
Benché i suoi occhi fossero aperti, camminava palesemente immerso in sogni che correvano come nubi sul suo viso. Mi venne in mente che se avessi potuto guardarlo abbastanza a lungo, avrei visto i suoi sogni, ossia avrei compreso ciò che stava vedendo nei suoi sogni. Ma egli passò oltre. Dopo di lui ne venne un altro, anch'egli addormentato.
Un cocchiere addormentato passò con due clienti addormentati. All'improvviso mi vidi nella situazione del principe della 'Bella addormentata nel bosco'. Attorno a me, tutti erano addormentati. Era una sensazione precisa che non dava luogo a dubbi. Allora compresi che possiamo vedere, vedere con i nostri occhi, tutto un mondo che abitualmente non vediamo. Queste sensazioni durarono parecchi minuti. Si ripeterono, molto debolmente, il giorno dopo. Ma in seguito feci la scoperta che cercando di ricordarmi di me, potevo intensificarle e prolungarle fino a quando avevo abbastanza energia, per non essere distratto, ossia per non permettere a tutto ciò che mi attorniava di attrarre la mia attenzione.
Dal momento in cui questa si lasciava distrarre, cessavo di vedere gli 'addormentati'. Perché ero evidentemente caduto nel sonno a mia volta.
Parlai di queste esperienze soltanto a pochi del nostro gruppo; due di loro, allorché cercavano di ricordarsi di sé, avevano sensazioni analoghe.

In seguito tutto ritornò normale.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 294-295

Il sesso e il centro sessuale - Gurdjieff

"Nello stesso tempo, il sesso gioca un ruolo enorme nel mantenimento della meccanicità della vita. Tutto ciò che fanno le persone è in relazione con il sesso: la politica, la religione, l'arte, il teatro, la musica, tutto è 'sesso'. Credete voi che la gente vada in chiesa per pregare, o al teatro per vedere qualche nuova rappresentazione? No, questi non sono che dei pretesti. La cosa principale, a teatro come in chiesa, è che si possono trovare delle donne e degli uomini. Ecco il centro di gravita di tutte le riunioni. Che cosa è che conduce la gente nei caffè, nei ristoranti, alle feste di ogni sorta? Una cosa sola: il Sesso. Ecco la principale sorgente di energia di tutta la meccanicità. Tutto il sonno, tutta l'ipnosi, derivano dal sesso.

[..]
"È sempre questo che si domanda. Qualunque sia il soggetto di cui si parla, la gente chiede: 'È ammissibile che sia così e non si possa cambiare questo stato di cose?'. Come se fosse possibile cambiare o fare qualsiasi cosa! Voi, almeno, avreste già dovuto vedere l'ingenuità di queste domande. Forze cosmiche hanno creato questa situazione, e la comandano. E voi domandate: 'Dobbiamo lasciare le cose così o cambiarle?'. Suvvia, Dio stesso non potrebbe cambiare nulla. Ricordate quello che è stato detto circa le 48 leggi? Esse non possono essere cambiate, ma ci si può liberare da un gran numero di esse, voglio dire che vi è una possibilità di cambiare lo stato delle cose relativamente a se stessi. Si può sfuggire alla legge generale. In nessun caso però la legge generale può essere cambiata. Ma si può cambiare la propria posizione in rapporto a questa legge; si può sfuggire ad essa, poiché questa legge di cui parlo, cioè il potere del sesso sulle persone, offre molte differenti possibilità. Il sesso è la principale ragione della nostra schiavitù, ma è anche la nostra principale possibilità di liberazione.

"La 'nuova nascita' di cui abbiamo parlato dipende dall'energia sessuale quanto la nascita fisica e la propagazione della specie.

[..]
"Questo è il modo normale e naturale di utilizzare l'energia si 12.
Tuttavia, nell'organismo stesso, vi è un'altra possibilità. Ed è la possibilità di creare una vita nuova all'interno dell'organismo dove il si 12 è stato elaborato, ma questa volta senza l'unione dei due principi maschio e femmina. Una nuova ottava si sviluppa allora all'interno dell'organismo, e non al di fuori. Questa è la nascita del 'corpo astrale'. Dovete comprendere che il 'corpo astrale' nasce dalla stessa materia dalla quale nasce il corpo fisico. Solo il processo differisce. Il corpo fisico è, per così dire, compenetrato in ogni sua cellula dalle emanazioni della materia si 12. E quando la saturazione è giunta ad un grado sufficiente, la materia si 12 comincia a cristallizzare. Alla cristallizzazione di questa materia corrisponde la formazione del 'corpo astrale'.

"Il passaggio della materia si 12 allo stato di emanazione, e la saturazione graduale di tutto l'organismo per mezzo di questa emanazione è ciò che l'alchimia definisce trasformazione o 'trasmutazione'. È proprio questa trasformazione del corpo fisico in corpo astrale che l'alchimia definisce come la trasformazione dello spesso in sottile o la trasmutazione dei metalli vili in oro.

"La trasmutazione totale, cioè la formazione del 'corpo astrale' non è possibile che in un organismo sano, funzionante normalmente. In un organismo malato o anormale, non vi è possibilità di trasmutazione".

"La continenza assoluta è necessaria per la trasmutazione e, in generale, l'astinenza sessuale è utile per il lavoro su di sé?", domandò qualcuno.

"La vostra domanda ne comporta molte altre, disse G. L'astinenza sessuale è in effetti necessaria alla trasmutazione, ma soltanto in certi casi, cioè per un certo tipo di uomo. Per altri tipi non è per niente necessaria. E per altri ancora viene da sé non appena incomincia la trasmutazione. Ve lo spiegherò più chiaramente. Per certi tipi, un'astinenza sessuale lunga e totale è indispensabile affinchè cominci la trasmutazione; senza questa lunga e totale astinenza, non può cominciare. Ma non appena il processo è bene avviato, l'astinenza cessa di essere necessaria. In altri casi, cioè con altri tipi; al contrario, la trasmutazione può benissimo incominciare con una vita sessuale normale; può persino compiersi più presto e svolgersi molto meglio con un grande dispendio esteriore dell'energia sessuale. Nel terzo caso, la trasmutazione inizialmente non richiede l'astinenza ma in seguito essa assorbe tutta l'energia del sesso e mette fine alla vita sessuale normale o al dispendio esteriore dell'energia sessuale.

"Passiamo all'altra domanda: 'L'astinenza sessuale è utile per l'uomo oppure no?'.
"È utile se vi è astinenza in tutti i centri. Se vi è astinenza solo in un centro e piena libertà di immaginazione negli altri", non vi potrebbe essere niente di peggio. Inoltre, l'astinenza può essere utile, se l'uomo sa come utilizzare l'energia che risparmia in qualche maniera. Se non lo sa, non può ricavare alcun vantaggio dall'astinenza".

"Sotto questo rapporto, quale è in generale la forma di vita più giusta dal punto di vista del lavoro?".

"È impossibile a dirsi. Lo ripeto, se un uomo non sa, è meglio che non intraprenda nulla. Fino a quando egli non abbia una conoscenza nuova ed esatta, sarà del tutto sufficiente che diriga la sua vita secondo le regole e principi comuni. In questo campo, colui che comincerà a costruire teorie o a lasciare briglia sciolta alla propria immaginazione, sarà necessariamente condotto alla psicopatia. Ma occorre ancora ricordarsi che, nel lavoro, soltanto le persone completamente normali in rapporto al sesso hanno una possibilità. Ogni genere di 'originalità', tutti i gusti strani, i desideri bizzarri, la paura, l'azione continua degli 'ammortizzatori' devono essere distrutti fin dal principio. L'educazione e il modo di vivere moderno creano un numero incalcolabile di psicopatici sessuali. Essi non hanno, nel lavoro, la minima possibilità.

"Parlando in generale, si può dire che vi sono soltanto due modi legittimi di dispendio dell'energia sessuale: la normale vita sessuale e la trasmutazione. In questo campo ogni invenzione è molto pericolosa.

"L'astinenza è stata sperimentata da tempo immemorabile. Talvolta, molto raramente, ha dato dei frutti, ma ciò che nella maggior parte dei casi viene chiamata astinenza non è altro che la sostituzione delle sensazioni normali con altre anormali, perché queste ultime si nascondono più facilmente. Tuttavia non è di questo che voglio parlare. Vorrei farvi comprendere che il male peggiore e il principale fattore della nostra schiavitù non risiedono nel sesso di per se stesso, ma nell'abuso del sesso. Ma non si comprende quasi mai che cosa significhi l'abuso del sesso. La gente abitualmente pensa agli eccessi o alle perversioni sessuali. Queste non sono che forme relativamente inoffensive dell'abuso del sesso. È invece indispensabile conoscere molto bene la macchina umana per comprendere che cosa è l'abuso del sesso, nel vero senso dell'espressione. Con essa si intende il cattivo lavoro dei centri nei loro rapporti con il centro sessuale, ovvero l'azione del sesso allorché si eserciti attraverso gli altri centri, e l'azione degli altri centri allorché si esercita attraverso il centro sessuale; oppure, per essere ancora più precisi, il funzionamento del centro sessuale per mezzo dell'energia presa a prestito dagli altri centri e il funzionamento degli altri centri per mezzo dell'energia presa a prestito dal centro sessuale".

"Il sesso può essere considerato come un centro indipendente?", domandò uno dei presenti.

"Sì, rispose G., ma al tempo stesso, se consideriamo il piano inferiore come un sol tutto, allora il sesso può essere visto come la parte neutralizzante del centro motore".

"Con quale idrogeno lavora il centro sessuale?", domandò un altro.

La questione aveva interessato tutti per molto tempo, ma non avevamo potuto trovare la soluzione. E G., quando lo avevamo interrogato, aveva sempre eluso una risposta diretta.

"II centro sessuale lavora con l'idrogeno 12, disse questa volta. Ossia, dovrebbe lavorare con esso. L'idrogeno 12, è si 12. Ma il fatto è che molto raramente lavora con l'idrogeno che gli è proprio. Le anomalie nel lavoro del centro sessuale esigono uno studio speciale.

"In primo luogo, occorre notare che, normalmente, nel centro sessuale, proprio come nel centro emozionale superiore e nel centro intellettuale superiore, non vi è la parte negativa. In tutti gli altri centri, ad eccezione dei centri superiori, vale a dire nel centro intellettuale, emozionale, motore e istintivo, vi sono, per così dire, due metà: l'una positiva e l'altra negativa. Affermazione e negazione, sì e no, nel centro intellettuale; sensazioni piacevoli e sensazioni sgradevoli nei centri istintivo e motore. Ma una tale divisione non esiste nel centro sessuale. Non esiste una parte positiva ed una negativa. Non vi sono sensazioni sgradevoli, né sentimenti sgradevoli: o vi è una sensazione piacevole, un sentimento piacevole, oppure non vi è niente, un'assenza di ogni sensazione, la più completa indifferenza. Ma come conseguenza del cattivo lavoro dei centri, succede sovente che il centro sessuale entri in contatto con la parte negativa del centro emozionale o del centro istintivo. Da quel momento, certi stimoli particolari, o persino uno stimolo qualsiasi del centro sessuale, possono evocare dei sentimenti sgradevoli, delle sensazioni sgradevoli. Coloro che provano queste sensazioni o questi sentimenti, suscitati da idee o immaginazioni legate al sesso, sono portate a considerarli come delle prove di virtù o come qualcosa di originale; in realtà non sono altro che dei malati. Tutto ciò che è in rapporto con il sesso dovrebbe essere o piacevole, o indifferente. I sentimenti e sensazioni sgradevoli provengono tutti dal centro emozionale o dal centro istintivo.

"Questo è l'abuso del sesso. Bisogna però ricordarsi che il centro sessuale lavora con l'idrogeno 12. Ciò significa che è più forte e più rapido di tutti gli altri centri. Il sesso, infatti, comanda tutti gli altri centri. La sola cosa che, nelle circostanze ordinarie, vale a dire quando l'uomo non ha né coscienza né volontà, abbia presa sul centro sessuale è ciò che abbiamo chiamato gli ammortizzatori. Essi possono ridurlo letteralmente a nulla, possono cioè impedire le sue manifestazioni normali. Ma non possono distruggere la sua energia. L'energia rimane e passa agli altri centri, attraverso i quali si manifesta; in altre parole, gli altri centri rubano al centro sessuale l'energia che egli stesso non usa. L'energia del centro sessuale nel lavoro dei centri intellettuale, emozionale e motore, si riconosce per un 'gusto' particolare, per un certo ardore, una veemenza non richiesta. Il centro intellettuale scrive dei libri, ma quando impiega l'energia del centro sessuale, non si occupa soltanto di filosofia, di scienza o di politica, è sempre impegnato va combattere qualche cosa, a disputare, a criticare, a creare delle nuove teorie soggettive. Il centro emozionale predica il cristianesimo, l'astinenza, l'ascetismo, la paura e l'orrore del peccato, l'inferno, il tormento dei dannati, il fuoco eterno, e tutto questo con l'energia del sesso... Oppure fomenta rivoluzioni, depreda, brucia, uccide, con la stessa energia sottratta al sesso. E, sempre con questa energia, il centro motore si appassiona allo sport, batte dei records, salta degli ostacoli, scala delle montagne, lotta, combatte ecc... In tutti i casi in cui i centri intellettuale, emozionale e motore utilizzano l'energia del sesso, si ritrova questa veemenza caratteristica, nel mentre appare l'inutilità del lavoro intrapreso. Né il centro intellettuale, né il centro emozionale, né il centro motore potranno mai creare qualcosa di utile con l'energia del centro sessuale. Ecco un esempio dell'abuso del sesso.

"Questo è però solo un aspetto. Un secondo aspetto è rappresentato dal fatto che quando l'energia del sesso è rubata dagli altri centri e sprecata per un lavoro inutile, non ne rimane niente per il centro sessuale, al quale allora non resta che rubare l'energia degli altri centri, di qualità molto inferiore alla sua e molto più grossolana. Cionondimeno il centro sessuale ha una grande importanza per l'attività generale, e particolarmente per la crescita interiore dell'organismo, poiché lavorando con l'idrogeno 12, può beneficiare di un finissimo nutrimento d'impressioni, che nessuno degli altri centri ordinari può ricevere. Questo fine nutrimento di impressioni è importantissimo per la produzione degli idrogeni superiori. Ma quando il centro sessuale lavora con un energia che non è la sua, cioè con gli idrogeni relativamente inferiori 48 e 24, le sue impressioni divengono ben più grossolane, ed esso non ha più nell'organismo la parte che potrebbe avere. Allo stesso tempo la sua unione con il centro intellettuale e l'impiego della sua energia da parte del centro intellettuale provocano un eccesso di immaginazione di ordine sessuale e in aggiunta una tendenza a soddisfarsi di questa immaginazione. La sua unione con il centro emozionale, crea il sentimentalismo o al contrario la gelosia, la crudeltà. Ecco altri aspetti dell'abuso del sesso".

"Che cosa si deve fare per lottare contro l'abuso del sesso?", domandò qualcuno.

G. si mise a ridere.

"Aspettavo questa domanda, disse. Ma dovreste aver compreso che è altrettanto impossibile spiegare ad un uomo, che non ha ancora incominciato a lavorare su se stesso e non conosce ancora la struttura della macchina umana, il significato dell'abuso del sesso, quanto spiegargli il modo di evitarlo. Il lavoro su di sé, correttamente condotto, comincia dalla creazione di un centro di gravita permanente. Quando un centro di gravita permanente è stato creato, tutto il resto, subordinandosi ad esso, si organizza a poco a poco. La domanda si riassume dunque così: a partire da che cosa e come un centro di gravita può essere creato? Ed ecco la risposta che possiamo dare: solo la giusta attitudine di un uomo nei riguardi del lavoro, nei riguardi della scuola, il suo giusto apprezzamento del valore del lavoro e la sua comprensione della meccanicità e della assurdità di tutto il resto, possono creare in lui un centro di gravita permanente.

Il ruolo del centro sessuale, nella creazione di un equilibrio generale e di un centro di gravita permanente, può essere molto grande. Per l'energia che gli è propria, se impiega tale energia, il centro sessuale si situa al livello del centro emozionale superiore. E tutti gli altri centri gli sono subordinati. Sarebbe una gran cosa se esso lavorasse con la sua propria energia. Questo da solo potrebbe indicare un grado d'essere relativamente elevato. E, in questo caso, ossia se il centro sessuale lavorasse con la sua propria energia e al proprio posto, tutti gli altri centri potrebbero lavorare correttamente, al loro posto e con la loro propria energia".

P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 282-288

Essenza e verità - Gurdjieff

Quando G. fu di ritorno a Pietroburgo (era rimasto questa volta a Mosca due o tre settimane) lo mettemmo al corrente dei nostri tentativi: ascoltò tutto e disse semplicemente che non sapevamo separare la 'personalità' dall' 'essenza'.

"La personalità, disse, si nasconde dietro l'essenza, e l'essenza si nasconde dietro la personalità; così si coprono a vicenda".

"Come è possibile separare l'essenza dalla personalità?", domandò uno dei presenti.

"Come separereste ciò che vi appartiene da ciò che non vi appartiene? replicò G. Occorre pensarvi, occorre domandarsi da dove vi è venuta questa o quell'altra caratteristica. E soprattutto non dimenticate mai che la maggior parte delle persone, specialmente nel vostro ambiente, non possiede pressoché niente di proprio. Niente di ciò che hanno appartiene loro; il più delle volte l'hanno rubato; tutto ciò che essi chiamano le loro idee, le loro convinzioni, le loro teorie, i loro concetti, tutto è stato arraffato da varie sorgenti. È questo insieme che costituisce la loro personalità; ed è questo che deve essere messo da parte".

"Ma proprio voi dicevate che il lavoro comincia dalla personalità", disse allora qualcuno.

"Niente di più vero, rispose G. Perciò dobbiamo per prima cosa stabilire di quale momento nello sviluppo dell'uomo e di quale livello d'essere intendiamo parlare. Io stavo semplicemente parlando di un uomo nella vita, senza legame alcuno con il lavoro. Un tale uomo, soprattutto se appartiene alla classe 'intellettuale', è quasi esclusivamente costituito dalla personalità. Nella maggior parte dei casi la sua essenza ha cessato di crescere fin dalla più tenera età. Conosco rispettati padri di famiglia, professori pieni di idee, noti scrittori, uomini di stato, la cui essenza ha cessato di svilupparsi verso l'età di dodici anni. Non è poi tanto male. Capita talvolta che lo sviluppo dell'essenza si arresti definitivamente a cinque o sei anni. Da quel momento, tutto ciò che un uomo potrà acquisire in seguito non gli apparterrà: sarà solo un repertorio di cose morte, apprese sui libri; non si tratterà che di una contraffazione ".

[…]
"Cos'è che non comprendiamo?".

"Non comprendete che cosa significhi essere sincero.

"Siete talmente abituati a mentire, tanto a voi stessi che agli altri, da non trovare né parole, né pensieri, quando volete dire la verità. Dire tutta la verità su sé stessi è molto difficile. Prima di dirla, occorre conoscerla. Ora voi non sapete nemmeno in cosa essa consista. Io parlerò un giorno a ciascuno di voi del suo tratto caratteristico o del suo principale difetto. Vedremo allora se potremo comprenderci o no".


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 275-276

Le 48 leggi - Gurdjieff

"Possiamo conoscere questi dodici tipi, ossia possiamo definirli e conoscerne le caratteristiche?", chiese uno dei presenti.

"Aspettavo questa domanda, disse G. E non mi è mai capitato di parlare dei tipi senza che qualche persona intelligente facesse questa domanda. Come mai non comprendete che se questo potesse essere spiegato, da molto tempo qualcuno l'avrebbe già fatto! Ma la difficoltà è che i tipi e le loro differenze non possono essere definiti nel linguaggio ordinario, e voi siete ancora lontani dal conoscere il linguaggio nel quale ciò sarebbe possibile. È esattamente la stessa cosa per le 'quarantotto leggi'. C'è sempre qualcuno che mi domanda perché non si possono conoscere le quarantotto leggi. Come se fosse possibile! Dovete comprendere che vi si da tutto ciò che può esservi dato, e a partire da questo aiuto tocca a voi ricavare il resto! Ma io perdo il mio tempo dicendovi questo, lo so. Voi non mi comprendete ancora, e non mi comprenderete per molto tempo. Pensate alla differenza fra sapere ed essere. Per comprendere certe cose un cambiamento d'essere è necessario".


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 273-274

Avete cominciato a morire - Gurdjieff

G. rideva molto quando gli raccontavamo queste cose.

"Aspettate, diceva, il peggio deve ancora venire. Capite che cosa significa tutto ciò? Significa che avete smesso di mentire o comunque che non mentite più così bene come un tempo: non potete più mentire in un modo così interessante come nel passato. Colui che mente bene è un uomo interessante. Ma voi avete già vergogna di mentire. Siete ora nella condizione di confessare a voi stessi che ignorate certe cose, che ormai non potete più parlare come se comprendeste tutto. Ciò equivale a dire che siete diventati meno interessanti, meno sensibili, come essi dicono. Così ora potete veramente vedere che tipo di gente sono i vostri amici. Oggi essi si rattristano per voi, e dal loro punto di vista hanno ragione: voi avete già cominciato a morire (e mise l'accento su questa parola). Il cammino che conduce alla morte totale è ancora lungo; tuttavia voi vi siete già spogliati di un certo strato di stupidità. Non potete più, in ogni caso, mentire a voi stessi con tanta sincerità come una volta. Adesso avete il gusto della verità".


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pag 272

Non identificazione e spiritualisti - Gurdjieff

"Non importa quel che un uomo faceva prima o che prima l'interessava. Quando arriva al punto di essere deluso dalle vie accessibili, vale allora la pena di parlargli delle nostre idee, poiché può venire al lavoro. Ma se egli continua a pensare di poter trovare qualche cosa con l'abituale modo di vivere, o di non aver ancora esplorato tutte le vie, o di potere, da solo, trovare o fare qualsiasi cosa, ciò significa che non è ancora pronto. Non dico che debba buttare all'aria tutto ciò che era abituato a fare prima. Ciò sarebbe del tutto inutile. No, sovente è persino meglio che continui a vivere come era solito vivere. Ma ora deve rendersi conto che si tratta soltanto di una professione, o di una abitudine o d'una necessità. Da questo momento la situazione cambia: sarà capace di non 'identificarsi'.

"Non vi è che una sola cosa incompatibile con il lavoro, ed è 'l'occultismo professionale'. Tutti questi 'spiritualisti', tutti questi guaritori, chiaroveggenti od altri, e persino la maggior parte di coloro che li seguono, non hanno alcun valore per noi. Dovete sempre ricordarvene e fare attenzione di non dire loro troppo, poiché si servirebbero di tutto ciò che avranno imparato da voi, per imbrogliare la gente.


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pag 270

Disagio e Sé - Gurdjieff

"Tutta la difficoltà deriva dalla vostra certezza di essere sempre identici a voi stessi, egli diceva. Ma io ho di voi una visione ben differente. Per esempio, vedo che oggi è venuto qui un Ouspensky, mentre ieri si trattava di un altro Ouspensky. Per quanto concerne il dottore, con il quale parlavo qui seduto prima del vostro arrivo, egli era una certa persona. Poi siete venuti voi e mi è capitato di dargli uno sguardo: era già un altro. Quello che avevo visto quando mi trovavo solo con lui, voi lo vedete molto di rado.

"Rendetevi conto, disse G. a questo proposito, che ogni uomo ha un repertorio definito di ruoli che recita nelle circostanze ordinarie. Egli ha una parte per ogni genere di circostanze in cui si trova abitualmente; ma se lo mettete in circostanze leggermente differenti, sarà incapace di trovare una parte che si addice alla situazione, e per un breve istante egli diverrà sé stesso. Lo studio delle parti che ciascuno recita è un aspetto indispensabile della conoscenza di sé. Il repertorio di ogni uomo è estremamente limitato. Se un uomo dice semplicemente 'io' e 'Ivan Ivanovitch' non vedrà sé stesso nel suo insieme, perché nemmeno 'Ivan Ivanovitch' è uno solo; ognuno ne ha almeno cinque o sei: uno o due per la famiglia, uno o due per l'ufficio (uno per i superiori e uno per i dipendenti), uno per gli amici al ristorante, e forse un altro, per le conversazioni intellettuali su dei soggetti sublimi. Secondo i momenti, un uomo è completamente identificato con l'uno o con l'altro di questi personaggi; ed è incapace di separarsene. Vedere i propri ruoli, conoscere il proprio repertorio e soprattutto rendersi conto della sua limitatezza è già sapere molto. Ma il punto essenziale è che l'uomo al di fuori del suo repertorio, cioè non appena qualche cosa lo fa uscire dalla sua routine, non fosse che per un solo momento, si sente terribilmente a disagio, e fa di tutto per ritornare al più presto all'una o all'altra delle parti abituali. Ricade così nelle sue abitudini e immediatamente tutto riprende per lui a scorrere senza urti; ogni sentimento di difficoltà e di tensione scompare. Accade sempre così nella vita. Ma nel lavoro, per osservare sé stessi, è necessario assolutamente accettare questa difficoltà e questa tensione, e non più temere questi stati di disagio e di impotenza. Soltanto attraverso essi un uomo può realmente imparare a vedersi. Ed è facile comprenderne la ragione. Ogni qualvolta un uomo non recita una delle sue parti abituali e non può trovare nel suo repertorio il ruolo che conviene ad una data situazione, si sente come spogliato. Ha freddo, ha vergogna, vorrebbe fuggire affinchè nessuno lo veda. Tuttavia sorge la questione: che cosa vuole? Una vita tranquilla o lavorare su se stesso? Se vuole una vita tranquilla, innanzi tutto non deve mai uscire dal suo repertorio. Nei suoi ruoli abituali si sente a suo agio e in pace. Ma se vuole lavorare su se stesso, deve distruggere la sua pace: il lavoro e la pace sono incompatibili. L'uomo deve fare una scelta, ma senza ingannare se stesso come spesso accade. A parole sceglie il lavoro, ma in realtà non vuole perdere la sua pace. Il risultato è che sta seduto tra due sedie. Di tutte le posizioni, questa è la più scomoda. L'uomo non fa alcun lavoro e neppure ha una certa comodità. Purtroppo gli è difficilissimo mandare tutto al diavolo e cominciare un lavoro reale. Ma perché è così difficile? Prima di tutto perché la sua vita è troppo facile. Anche se egli la considera difficile, vi è abituato; e in fondo che essa sia dura non ha più importanza poiché egli la conosce. Ma qui vi è qualche cosa di nuovo e sconosciuto, da cui non sa nemmeno se potrà ricavare o no un risultato. E inoltre, cosa più difficile ancora, deve necessariamente obbedire a qualcuno, sottomettersi alla volontà di un altro. Se un uomo potesse inventare, per se stesso, delle difficoltà e dei sacrifici potrebbe, talvolta, andare molto lontano. Ma in realtà ciò non è possibile. È indispensabile obbedire a un altro uomo e seguire una direzione generale di lavoro, il cui controllo non può appartenere che ad uno solo. Niente potrebbe essere più difficile di questa subordinazione, per un uomo che si ritiene capace di decidere ogni cosa, di fare ogni cosa. Naturalmente quando arriva a liberarsi delle sue fantasie, a vedere ciò che egli è in realtà, le difficoltà scompaiono. Ma questa liberazione può solo prodursi nel corso del lavoro. E cominciare a lavorare, e soprattutto continuare, è molto difficile, ed è difficile perché la vita scorre troppo facilmente".


P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 265-267

Gurdjieff e Sebottendorff

L’occasione per una riflessione su tutto quello che in breve andremo ad esporre è venuta da una nostra recente visita ad Istanbul (l’antica Costantinopoli), oggi straordinaria ed affascinante città di circa 15 milioni di abitanti: un quarto della popolazione di tutta la Turchia di oggi vive là. Rudolf von Sebottendorff (1875-1945) e George Ivanovitch Gurdjieff (1875?-1949) sono stati due fondamentali ed eccezionali personaggi, non solo del mondo esoterico del secolo scorso, ma soprattutto per le implicazioni a livello globale che le loro attività e viaggi hanno prodotto nel corso della storia europea della prima metà del ‘900. La loro vita stessa è avvolta da un alone di leggenda e di mistero, tanto che non saremmo certo in grado di darne in questo articolo un quadro soddisfacente, non è il nostro compito: per una loro biografia poco più che approssimativa (che di certo nessuno storico sarà mai in grado di completare) – purtroppo carente nel riassunto cronologico quella del Moore - suggeriamo di leggere il libro di James Moore Gurdjieff anatomia di un mito – Il punto d’incontro , Vicenza 1999 – e il capitolo su Sebottendorff che Nicholas Goodrick Clarke gli ha dedicato nel suo Le radici occulte del nazismo – Sugarco, Milano 1993. Punto focale di questo nostro scritto sarà piuttosto dare risposta alle domande che un nostro personale Genio da tempo ci aveva messo in testa: è possibile che questi due avventurosi personaggi si siano incontrati? E dove? È pure possibile che per un certo periodo di tempo abbiano collaborato? Vari episodi e atti della loro vita ci offrono questa possibilità, inoltre entrambi, proprio nello stesso periodo, avevano volutamente reso quasi impossibile ad altri la capacità di ricostruire determinate tappe della loro misteriosa vita. Questo è dovuto al fatto che entrambi scrissero le loro “autobiografie” in forma assolutamente romanzata e criptica, e difficilmente verificabile: Sebottendorff con il suo Der Talisman des Rosenkreuzers (Pfullingen 1925) e Gurdjieff con il suo Incontri con uomini straordinari (vedi edizione Adelphi, Milano 1977). Basti per tutti un fatto ormai assodato: ancora oggi non si sa con esattezza in che anno sia nato Gurdjieff (spazia in un periodo che gli storici pongono tra il 1866 ed il 1877)! O, per contro, qual’era il vero nome di Rudolf von Sebottendorff (probabilmente, secondo Clarke, si chiamava Adam Alfred Rudolf Glauer). Solo in seguito agli avvenimenti che qui citeremo, a Rudolf Glauer venne concesso il diritto di fregiarsi del cognome e del titolo di Barone von Sebottendorff von der Rose (1914). Tutto ruota attorno ad un altro dato di fatto, questa volta una grande difficoltà e apparentemente senza soluzione per i biografi, e cioè in tutti e due i casi l’impossibilità di poter fornire date certe sulla loro presenza in determinati luoghi di nostro interesse per questa ricerca. Però, se si utilizzano determinate deduzioni, si potrà scoprire che Gurdjieff e Sebottendorff, guarda caso, si trovarono almeno in due posti esattamente nello stesso periodo: al Cairo e a Istanbul sul finire dell’800. E due uomini così particolari non potevano certamente non “riconoscersi” a livello esoterico, e di conseguenza a frequentarsi per un certo periodo. Vediamo di essere più precisi. Glauer/Sebottendorff era nato il 9 novembre 1875, e questo è un dato certo. Nell’anno della morte di suo padre (1893) si diplomò in un istituto tecnico. Raggiunta la maggior età (21 anni nel 1896) venne arruolato in Marina ma presto venne riformato a causa di un’ernia. Non potendo frequentare l’Università decise di conoscere il mondo imbarcandosi nella primavera del 1898 dalla Germania su di un piroscafo diretto a New York e poi su altre navi sino a raggiungere il Cairo in Egitto nel luglio del 1900. Ma questi ultimi dati ci vengono forniti in realtà da Sebottendorff stesso nel suo Der Talisman. Per contro un altro autore, di nome Ernst Tiede, nel suo libro Astrologisches Lexicon , del 1922, ci dice in una nota che senza dubbio Glauer era già presente al Cairo nel 1897 per lavorarvi per ben 3 anni (sino al 1900) al servizio di un proprietario terriero turco (dobbiamo ricordare che a quei tempi esisteva ancora l’Impero Ottomano). Questi 3 anni di differenza sono di estrema importanza per le nostre tesi perché avvicinano di molto la possibilità che Glauer/Sebottendorff possa aver conosciuto il filosofo caucasico Gurdjieff al Cairo intorno al 1897-1898, per poi andare con lui a Istanbul nel 1899-1900 ( dove tra l’altro risedettero nella stessa zona centrale di Istanbul, tra il quartiere Pera e la Torre Galata). Intorno ai vent’anni di età (o forse anche prima, dipende da quando Gurdjieff nacque effettivamente) Gurdjieff si era recato precipitosamente dall’Asia – voleva dirigersi in Turkestan – sino ad Alessandria d’Egitto e in seguito al Cairo, dopo che aveva trovato, insieme al suo amico Pogossian, una misteriosa Mappa dell’Egitto di prima delle Sabbie, sensazionale scoperta che aveva completamente cambiato i suoi piani di viaggio e che in seguito radicò definitivamente determinate sue credenze sul passato dell’Uomo e sulla storia ciclica delle civiltà (infatti Gurdjieff credeva fermamente nell’esistenza di un’antica civiltà che ci aveva preceduto e che ancora oggi, grazie al filosofo Platone, noi chiamiamo “Atlantide”). Nel giro di breve tempo Gurdjieff al Cairo, così ci dice nel suo Incontri, aveva assunto conoscenze dei luoghi archeologici tali da diventare una guida turistica tra le Piramidi di Giza e lì aveva conosciuto il Principe russo Jurij Ljubovedskij. Ma, proprio in quel periodo (diciamo 1897 o 1898, sposiamo pertanto le tesi cronologiche di Tiede) lo stesso Sebottendorff, probabilmente coetaneo di Gurdjieff, si era voluto recare alle Piramidi di Giza (dove, ricordiamo, Gurdjieff svolgeva l’attività di guida) per visitarle, dato che si stava appassionando di esoterismo e, come Gurdjieff, aveva incominciato ad interessarsi alle danze cerimoniali e alla tradizione dei Dervisci Mevlevi e Baktashi. Possiamo ben dire che le coincidenze siano troppe per escludere l’eventualità che i due colti avventurieri si siano incontrati o conosciuti. Al contrario, è ben più difficile che ciò non sia accaduto, data la convergenza di interessi in comune! Tanto più che sia Gurdjieff che Sebottendorff, subito dopo l’esperienza egiziana, si recheranno, guarda caso, nello stesso luogo e nello stesso periodo: esattamente ad Istanbul. Questa città clamorosamente cosmopolita ed estremamente vitale gioca un ruolo fondamentale nell’ambito della nostra indagine: qui, vicino alla Torre Galata, nei pressi di un Centro dei Mevlevi (dove durante il nostro viaggio abbiamo assistito a un’impressionante cerimonia di Dervisci ruotanti) , Gurdjieff, insieme ad una quindicina di suoi compagni (vi era presente anche una donna) sarà il promotore della formazione dei Cercatori della Verità , un’associazione formata da giovani intellettuali volti alla ricerca della conoscenza tradizionale ed esoterica più antica del mondo: la Confraternita dei Sarmoung. Siamo nel 1900: da qui a breve il coraggioso esploratore caucasico partirà per un percorso legato a tappe che, attraverso visite predisposte a monasteri esoterici, lo porteranno sino al Turkestan cinese e poi in Tibet (la traduzione in italiano del libro di C. Stanley Nott Insegnamenti di Gurdjieff - Lantana editore srl 2011 -, ha definitivamente confermato la permanenza in Tibet di Gurdjieff per almeno 3 anni come assistente del XIII Dalai Lama, sino all’arrivo della rovinosa spedizione militare anglo –indiana del 1903-1904). A parte pochi personaggi , Gurdjieff non rivelerà mai le vere generalità di tutti gli altri appartenenti ai Cercatori della Verità, probabilmente perché le successive “attività” politiche di alcuni di questi lo avrebbero, alla fine, messo in imbarazzo di fronte all’opinione pubblica. Si è parlato con insistenza di Karl Haushofer (1869-1946), il fondatore della “Geopolitica” e mentore di Rudolf Hess, come membro occulto dei Cercatori, ma per noi uno di questi fu piuttosto Sebottendorff, il quale, come è universalmente noto, da una branca di un’associazione segreta, il Germanenorden (1912) fonderà a Monaco di Baviera, il 18 agosto 1918, la Thule Gesellschaft (la Società Thule), il trampolino di lancio del futuro Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler (1889-1945). Sebottendorff infatti, a partire dal 1902 e sino al 1934, continuerà a viaggiare tra la Turchia e la Germania, per poi rimanere in Turchia sino alla morte per suicidio avvenuta nel maggio del 1945: egli acquisirà infatti anche la cittadinanza turca, oltre a quella tedesca. Dai sue due saggi tradotti in Italia, La Pratica operativa dell’antica Massoneria Turca (ed. Arktos 1995) e Prima che Hitler venisse (ed. Arktos 2003) traspare un cambiamento progressivo nelle sue convinzioni personali senza però mai dimenticarsi alcuni insegnamenti fondamentali appresi, secondo noi, nel periodo Gurdjieffiano tra il Cairo e Istanbul e cioè che : “Dio non è esterno all’uomo ma è il destino stesso di ogni individuo – Lo scopo di ogni uomo è quello di nobilitarsi e di acquisire una conoscenza più vasta – e – Soltanto un’azione che viene da noi stessi può darci la salvezza” (da Jean Mabire: Thule, il Sole ritrovato degli Iperborei, Età dell’acquario 2007, pp. 148-149). Gurdjieff in seguito si recherà da Istanbul in Germania (Berlino, dall’agosto del 1921 al giugno del 1922) in un periodo in cui vi era presente anche Sebottendorff , e non è detto che, anche in questa occasione, non si siano incontrati, anche se la cosa appare meno probabile (ma non impossibile). A questo punto del nostro studio, prima di introdurre alcuni concetti decisivi per comprendere appieno il nostro pensiero, è necessario porre in chiaro che il mettere in relazione di conoscenza questi due personaggi, non ha affatto lo scopo di accusare il Maestro Gurdjieff di alcunché, nonostante le attività framassoniche di Sebottendorff si dimostreranno successivamente un primo banco di prova per la deriva nazista. Non ci uniamo per nulla alle accuse che, in modo per nulla velato, vennero poste da Louis Pauwels nel suo Monsieur Gurdjieff (Mediterranee, 1996) nei confronti del “Maestro di Danza” caucasico di sotterranea collaborazione con la Società di Thule e con il Nazionalsocialismo. Vogliamo solo rimarcare il fatto che nel nostro modo di pensare, la ricerca delle basi storico-archeologiche delle più antiche fonti tradizionali del mondo, o molto più semplicemente, uno studio su una base di indagine comune, può portare ad atti e a sviluppi successivi completamente diversi a seconda dell’indole dei diversi individui e soprattutto delle loro aspirazioni. Un’approfondita analisi comparata dei comuni interessi di queste due importanti personalità è al di fuori degli obiettivi di questo scritto: una per tutte valga la passione comune dei due personaggi per i misteri dell’esoterismo islamico nelle sue più svariate forme. Ci potrà però essere di aiuto un approccio e un’ indagine comparativa su alcuni elementi simbolici alla base, noi pensiamo, delle più lontane conoscenze tradizionali dell’Uomo. Molto semplicemente, varie informazioni in nostro possesso prendono in considerazione il fatto che una civiltà precedente (che noi chiamiamo Atlantide, Mu o come vogliamo chiamarla) di diffusione mondiale aveva raccolto gran parte delle sue conoscenze in un “simbolo numerico astrologico” chiamato “Mappa Universale” o Kanagi Guruma, evoluzione di quello che viene chiamato in Oriente “Quadrato Magico” Lo Shu : la forma infatti poteva essere circolare o quadrata. Gran parte dei simboli che più hanno influito nella storia della nostra società, anche moderna, derivano da questo modello “madre”, così come i più famosi calendari della storia (quello messicano per esempio), le mappe astrologiche, quelle celesti, le forme di scrittura, i 64 esagrammi, i simboli più conosciuti o addirittura i Mandala tibetani. Uno dei modelli simbolici segreti dei Sufi Mevlevi, per esempio, la Stella Verde a dodici punte, o addirittura il simbolo del “Sole Nero” nazista nel castello SS di Wewelsburg, derivano dal ricordo di questa forma-simbolo-modello astrologico primordiale. Così pure l’Enneagramma di Gurdjieff, la Svastica tanto cara a Sebottendorff e la Stella a sei punte della Confraternita dei Polari. Se si studia a fondo il “Kanagi Guruma”, nella sua forma circolare o quadrata, si giungerà dopo diverso tempo a queste conclusioni: diamo comunque a fine articolo una serie di libri utili a una comprensione oggettiva di tutti questi argomenti. Ecco che, per tutti questi motivi, personalità così attente come Sebottendorff e Gurdjieff avranno compreso questi concetti generali di cui sopra già al loro tempo, più di cento anni fa, e secondo le loro specifiche inclinazioni personali, ognuno andò per la sua strada, dopo aver fatto parte dei Cercatori della Verità: Sebottendorff tornò in Germania mentre Gurdjieff raggiunse il Tibet. La Tradizione esoterica è sempre una sola: un suo assennato utilizzo è responsabilità del singolo Maestro. Per ulteriori approfondimenti (oltre ai saggi già citati nell’articolo): Walter Catalano, Applausi per mano sola, Clinamen 2001; Rene Alleau, Le origini occulte del Nazismo, Mediterranee 2000; Edred Thorsson, Futhark: a handbook of Rune Magic, Weiser Books 1984; Michio Kushi, Mondi dimenticati, Mediterranee 1993; Rafael Lefort, I maestri di Gurdjieff, Mediterranee 1998. Aggiornamento agosto 2014: Zam Bhotiva, Asia Mysteriosa, a cura di G. de Turris e M. Zagni, Arkeios 2013.


http://edmundkiss-zama.blogspot.it/2013/04/gurdjieff-e-sebottendorff.html

giovedì 2 febbraio 2017

Gurdjieff e la luna - Maurizio Blondet

Gurdjieff e la luna

In questa generale tendenza a sincretismi facili e New Age, non raccomanderei a chiunque la lettura di George Gurdjieff. (1) Tuttavia, personalmente devo a Gurdjieff il recupero di qualcosa che avevo perso in anni di smarrimento: l’urgenza per la propria salvazione personale. Lo devo ad un passo particolarmente balzano: quello dove l’allievo Uspensky (2) riporta la strana cosmologia insegnata da questo strano personaggio, non privo d’ombre.

Per Gurdjieff, l’universo è fatto di vari piani discendenti, via via più soggetti a leggi meccaniciste. Il piano più alto, che chiama l’Assoluto, è soggetto a una sola legge: la volontà dell’Assoluto stesso. Più sotto ci sono «i mondi», soggetti a tre condizioni; i «soli», che sono soggetti a sei, e così via. La Terra, e noi che viviamo sulla Terra, siamo soggetti a 48 ordini di condizioni. Gurdjieff non specifica quali siano queste condizioni: tempo e spazio (il «qui» ed «ora») vengono da sé, ma vi si aggiungano il peso e la massa, le leggi della fisica che ci incatenano, e probabilmente le leggi «meccaniche» della psiche e della mente non-liberata, che crede di vivere mentre «è vissuta». Occorre «studiarle in noi stessi e riuscire a liberarsene», dice Gurdjeff: e le difficili pratiche psicofisiche che insegnava ai suoi allievi a Fontainbleau miravano appunto a svincolarli da ogni «meccanicità», da ogni automatismo inconscio. Così, «se riuscissimo a liberarci di una metà delle nostre leggi, saremmo assoggettati alle leggi del ‘Sole’ (12 leggi) e dunque di un livello più vicino all’Assoluto». Questa salita di livello consegue non già l’immortalità (tutto è mortale per Gurdjieff, anche Dio), ma una più prolungata «esistenza dopo la morte»: apparentemente c’è qui l’eco di innumerevoli dottrine tradizionali, che identificano le creature angeliche con i piani dei «pianeti», del «Sole» e delle «stelle», la cui durata si misura in eoni, incommensurabili rispetto alla breve vita umana biologica. Ma il passo che interessa è quello in cui si dice dove, dopo la morte, può cadere l’uomo che non si sforza di diventare autonomo, che vive contento di quello che già è, schiavo dei suoi impulsi. Finisce nel mondo della Luna. Il più basso. «Ogni essere vivente libera all’istante della morte una certa quantità dell’energia che l’ha animato; questa energia, ossia l’insieme delle ‘anime’ di tutti i viventi, è attratta verso la Luna, e le apporta il calore e la vita da cui dipende la sua crescita. Nell’economia dell’universo niente si perde mai e quando un’energia ha finito il suo lavoro su un piano, passa su un altro piano». Per Gurdjieff la Luna, oggi fredda e sterile, finirà – caricata da queste energie che risucchia – con il diventare un pianeta capace di ospitare la vita, come la Terra; e in quel lontanissimo giorno, la Terra sarà il Sole della Luna. Ma ecco il punto: «Le anime che vanno alla Luna, e che forse possiedono una certa somma di coscienza e di memoria, si trovano là sottomesse a 96 leggi: le condizioni della vita minerale. In tali condizioni non c’è più salvezza possibile per esse al di fuori di un’evoluzione generale, in cicli di tempo incommensurabilmente lunghi. La Luna è la ‘tenebra esteriore’ di cui parla la dottrina cristiana, dove non è che pianto e stridor di denti». Fu questo che mi scosse. La dannazione di una vita ridotta alla schiavitù di un minerale e tuttavia con un residuo di coscienza e di memoria. O forse, qualcosa di diverso: il processo radicalmente «oggettivo», come dire scientifico, che Gurdjieff descriveva come il destino di ognuno di noi che non si sforza di passare «per la porta stretta»; e la coincidenza dell’ultimo stadio del mondo oggettivo come «le tenebre esteriori»: quella frase agghiacciante ed estrema con cui Cristo descriveva una sofferenza indicibile e, a tutti gli effetti, eterna. Non si pensi a un sincretismo di alcun genere. Né quella idea lunare è poi tanto balzana quanto sembra. La nozione della Luna come il «luogo» o il mondo (sanscrito «loka») dove si raccoglie l’energia perduta e sprecata degli uomini, come un residuo psichico inutilizzabile, è anch’essa tradizionale. I pazzi sono da sempre detti «lunatici». Ariosto manda Astolfo a cercare sulla Luna il senno perduto di Orlando pazzo furioso. E lì trova «Le lacrime e i sospiri degli amanti, / l’inutil tempo che si perde a giuoco, e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, / vani disegni che non han mai loco, i vani desideri sono tanti, /che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai, / là su salendo ritrovar potrai». (3) L’ironia di Ariosto non inganni: qui descrive, con mortale precisione, le vane frivolezze che portano l’anima alla perdizione. Le intenzioni di cui è lastricato, come si dice, l’inferno. Sotto il sorriso, mastro Ludovico è serio, e lo indica il fatto che fa, come guida di Astolfo, san Giovanni, l’evangelista, «l’autore dell’oscura Apocalisse». Via via, l’ironia cede a lezioni cristiane: là sulla Luna sono le elemosine che i peccatori lasciano dopo la morte per salvarsi fuori tempo massimo, le inutili preghiere dei peccatori non pentiti: «Di versate minestre una gran massa / vede, e domanda al suo dottor ch’importe. L’elemosina è (dice) che si lassa / alcun, che fatta sia dopo la morte». «Là là su infiniti prieghi e voti stanno, / che da noi peccatori a Dio si fanno». Sulla Luna di Ariosto, Giovanni addita le Parche: che «con tali stami/ qui filano le vite a voi mortali». Insomma la visione di Ariosto sembra coincidere in modo impressionante con la cosmologia spirituale di Gurdjieff. Il georgiano, nato greco-ortodosso, non faceva gran conto della Chiesa. Ma qual era la «religione» di questo personaggio discutibile e poco comune? Pare una inedita forma di buddhismo, ed espressa con un linguaggio estremo, allo scopo pedagogico di suscitare l’urgenza della salvazione in questa vita umana. E’ di questo genere la sua dichiarazione che «l’uomo non ha l’anima, deve fabbricarsela». E’ buddhista il suo dichiarare tutto l’universo «materiale», anche Dio, e tutto «mortale», anche l’Assoluto, in quanto soggetto ancora ad una legge, sia pure la legge della sua volontà. Per Buddha, sappiamo, oltre a questo esiste un Abisso assolutamente incondizionato e solo quello è libero, il Nirvana. Per Buddha, «gli dei sono stupidi» perché, troppo longevi, finiscono per dimenticare il loro stato condizionato, la loro mortalità. E’ buddhista in Gurdjeff anche la oggettività spassionata della sua dottrina: siamo sottomessi a leggi impersonali, esistono metodi per svincolarsene, ma la via è difficile ed equivale ad acquistare una perfetta «presenza a se stesso». Quest’uomo sarcastico, affascinante raccontatore di panzane forse veridiche, era esoso, chiese cifre notevoli ai suoi allievi per i suoi insegnamenti; ma quando furono in difficoltà per la guerra mondiale, li mantenne e si prodigò per loro, più che generoso. Ad un certo momento, nei suoi colloqui, accenna al motivo per cui diffonde le sue tecniche: ha raggiunto un livello in cui non può lui stesso progredire spiritualmente, se non insegnando ad altri la possibilità di salvezza. E’ una forma asciutta, buddhista, di «carità»? Non sapremo mai. Quando morì disse ai suoi discepoli: «Vi lascio tra buoni guanciali». Sarcastico fino all’ultimo respiro. E tuttavia devo a lui la paura di perdermi, e l’urgenza di salvarmi in questa vita. Io non sono suo discepolo, né mai ho provato e preteso di ripetere i suoi esercizi fisici, armonici e musicali. Direte: potevo apprenderlo già dal Vangelo, dalla Chiesa. Ma da quanto tempo la Chiesa non parla più della perdizione, e dell’urgente necessità di scamparla? O come mai ciò che predicano cardinali e vescovi non lascia nell’anima il senso di quell’urgenza? Gesù adottò anch’Egli un linguaggio estremo, preso dalle zone estreme della lingua, per spingerci all’urgente necessità. «Se il vostro occhio ti è di scandalo, strappalo da te; meglio per te entrare nella Vita con un occhio solo, che con due occhi finire nella Geenna». «Non ciò che entra nell’uomo lo rende impuro, ma ciò che ne esce. Perché ciò che entra va a finire nel cesso…». «Sepolcri imbiancati, pieni dentro di sporcizia». Ed anche «le tenebre esteriori», lo «stridor di denti», vengono da una zona inaudita perché – al contrario di Lui – non ne sappiamo niente. Non ne sappiamo per ora. Spiace dirlo, ma non pare di sentire simili estreme parole dalla bocca dei cardinal Martini, Tettamanzi o Ruini. Cristo forgiò una lingua rovente, apposta per scuoterci. Com’è che gli ecclesiastici non sentono lo stesso bisogno? Ripetono tiepide formule usuali, apprese, levigate dall’unzione e inefficaci; che non imprimono alcuna urgenza, e nemmeno alcuna convinzione. Forse se ne vergognano? O credono che delle espressioni forti e originalmente terribili si sia abusato in passato? Forse. Ma temo che il motivo sia un altro. E’ che la loro fede è diventata moralistica, ed ha finito per essere di morale «sociale». Anche in questi giorni, tra i motivi per cui ci si deve opporre ai PACS e alle nozze gay, hanno ripetuto che è in gioco «la famiglia» (ed è vero); contro l’aborto e l’eutanasia, invocano il «rispetto della vita» (verissimo). Ma per quale motivo dovrebbero starli a sentire gli increduli, convinti che non ci sia alcun aldilà, che certi atti non portino ad alcuna «tenebra esteriore», ad alcuna riduzione della vita alla schiavitù gelida e paralizzata del minerale? L’appello alla morale non ha alcun senso, se non si paventano «le tenebre esteriori» in cui «non c’è più salvezza possibile». In questione, coi PACS e l’aborto o l’eutanasia, non è solo o tanto la salute della società naturale; è in gioco il nostro destino, la nostra perdizione. Forse c’è il timore di essere derisi se si evoca il peccato. Ma «peccato» è già parola moralistica. Ciò che descrive invece Gurdjeff è un processo oggettivo, impersonale, basato sulle leggi ferree dell’universo, quasi una fisica spirituale. Chi non esercita il dominio sui sensi, chi si contenta di essere quello che già è, a suo gusto e senza sforzarsi di risalire la corrente delle «48 leggi» che ci condizionano, diventa ineluttabilmente quella poltiglia umana, personalità evanescente e informe, che finisce sulla Luna. Là si accumulano residui d’anime senza forza né «io» vero, cadute sotto il giogo delle 96 condizioni. Infatti lassù «non c’è che pianto e stridor di denti», ossia: nemmeno più gli «io» sussistono, ma solo sub-personalità cristallizzate nel gelo estremo, inimmaginabile.

Maurizio Blondet


Note
1) George Gurdjeff (forse 1872-1947) raccolse attorno a sé, nella tenuta del Prieurè presso Fontainbleau, allievi di notevole qualità intellettuale: scrittori come Renè Daumal e Katherine Mansfield, musicisti come Hartmann, architetti come F.L. Wright, editori come Margaret Anderson (l’editrice dell’«Ulysses» di Joyce), Louis Pauwels, Peter Brook, De Salzmann, Denis Saurat, artisti, matematici, pittori. Qualunque cosa si pensi di ciascuno di questi personaggi, non erano certo il tipico gruppetto new-age facile alle auto-illusioni.
2) Ouspensky, «Fragments d’un enseignement inconnu», Stock1991, pagine 129-131.
3) Ariosto, «Orlando Furioso», canto XXXIV.


http://www.azionetradizionale.com/2007/02/19/gurdjieff-e-la-luna/ 

Gurdjieff, sufismo e filocalia - Piero Schepis

Interventi di Piero Schepis su Gurdjieff
 
GEORGE IVANOVITCH GURDJIEFF e IL LAMA DORDJIEFF
G. I. Gurdjieff nacque negli anni 1860 o 1870 (i biografi, pur senza
sicurezza, indicano generalmente la data del 1866) ad Alexandropol
nell’Armenia Russa, cioè  in una zona di frontiera, dove un padre prudente
preferi' non registrare la nascita del proprio figlio. La madre era
armena; il padre Ioannas Giorgiades, discendente dai Greci Ionici di
Cesarea, prima allevatore di bestiame, poi  commerciante di legname e
falegname,  era anche un “ashok”, poeta-bardo, che amava raccontare uno
straordinario repertorio di leggende e miti tramandati da generazioni. La
famiglia si  trasferi' poi a Kars  città armena , sovrastata dal monte
Ararat (a quell'epoca Kars era oggetto di contesa tra Russi e Turchi,
attualmente appartiene alla Turchia). Ivi Gurdjieff venne educato da
sacerdoti della chiesa armeno-ortodossa e prese in considerazione a sua
volta il sacerdozio, che probabilmente esercitò per uno o due anni. Non
era però quella la sua via e decise di esplorare altre tradizioni
spirituali. Fra il 1887 e il 1907 si situano i cosiddetti «vent'anni
mancanti» della biografia di Gurdjieff. Si sa che, con altri amici, formò
un gruppo chiamato dei «Cercatori della verità» e compi' numerosi viaggi
che lo portarono nel Medio Oriente, nell'India, nell'Asia Centrale, nel
Tibet, visitando monasteri e centri religiosi, cercando una misteriosa
«Confraternita di Sarmoung», della quale aveva trovato un riferimento nel
1886. Nella sua autobiografia "Incontri con uomini straordinari" Gurdjieff
ci parla delle persone che incontrò in quegli anni e che influenzarono il
suo pensiero, ma occulta abilmente luoghi e identità. All'inizio della
prima guerra mondiale, Gurdjieff visse a Mosca e, attraverso conferenze e
rapporti personali, raccolse intorno a sé numerosi allievi (il più famoso
è probabilmente P.D. Ouspensky) con cui formò piccoli gruppi, non solo a
Mosca e in Russia, ma anche a Costantinopoli, Tiflis, Londra,
Fontainebleau-Avon, Parigi, New York etc. Ebbe allievi illustri fra
scrittori, poeti, artisti, filosofi, ricercatori, uniti dal progetto
comune di lavorare su di sé, migliorando la propria presenza mentale.
Gurdjieff mori' a Parigi nel 1949. Ancora oggi ha molti seguaci e
costituisce un punto di riferimento per la ricerca spirituale occidentale,
come dimostrano talune canzoni di quell'altro poeta-bardo contemporaneo,
che è Franco Battiato. Il periodo della vita di Gurdjieff, che ha
suscitato maggiormente la curiosità dei ricercatori è naturalmente quello
dei  «vent'anni mancanti». Una testimonianza interessante, che potrebbe
chiarire l'attività di circa un decennio, riferita da Louis Pauwels nel
libro  "Monsieur Gurdjieff" (Roma 1972), è quella di Achmed Abdullah,
scrittore e ufficiale dell'Intelligence Service. Questi incontrò Gurdjieff
 a New York , durante un pranzo in casa di un comune amico, e  riconobbe
in lui il Lama Dorzhieff (o Dordjieff secondo un'altra grafia) conosciuto
circa trenta anni prima in Tibet. Glielo disse e lui gli strizzò l'occhio.
Si parlarono in lingua tagik. Dorzhieff  era stato precettore del giovane
tredicesimo Dalai Lama ed era il principale agente segreto della Russia
nel Tibet. Quando le truppe Inglesi invasero il Tibet (antecedentemente
alla prima guerra mondiale) fuggi' insieme al Dalai Lama in direzione
della Mongolia. Tutto ciò spiegherebbe le difficoltà che più tardi
Gurdjieff incontrò a Londra, nonostante gli interventi dei suoi amici
presso Lloyd George. La testimonianza di A. Abdullah è stata spesso
sottovalutata da parte dei seguaci di Gurdjieff, forse perchè Alexandra
David Neel, che ha scritto molti libri di viaggio sul Tibet, in un
articolo apparso su Nouvelles Litteraires di Parigi il 22 Aprile 1954,
dichiarò che era stato confuso Gurdjieff con un lama buriate di nome
Dordjieff. A favore della tesi di Abdullah è invece l’ambasciatore indiano
in Cina K.M. Panikkar in "Storia della dominazione europea in Asia dal
Cinquecento ai nostri giorni" Einaudi, Torino 1977, che si appoggia anche
sulla testimonianza di Sir Charles Bell, diplomatico inglese in Tibet e
amico personale del tredicesimo Dalai Lama,  nella biografia autorizzata "
Portrait of a Dalai Lama: The Life and Times of the Great Thirteenth", 

pubblicata per la prima volta nel 1946 da W.M. Collins  e successivamente
ristampata nel 1987, a Londra, da Wisdom Publications. Del resto, il libro
di Rom Landau "God is My Adventure" (ultima ristampa : Unwin, 1964) che
per primo riportò la testimonianza di Abdullah, usci' quando era ancora
vivo Gurdjieff, il quale non fece la minima obiezione.
 



Gurdjieff e il Sufismo
Nel libro "I Maestri di Gurdjieff" (ediz. italiana: 1991, Roma, E.
Mediterranee) , Rafael Lefort, studioso di esoterismo, narra che, dopo
essere entrato a far parte di una delle scuole ispirate alla dottrina di
Gurdjieff, avendo trovato un metodo di insegnamento non conforme alla sue
aspettative, decise di mettersi in viaggio verso l’Oriente, alla ricerca
delle fonti originali dell'insegnamento. I capitoli di questo libro sono
dedicati alle figure  degli uomini, quasi tutti mercanti o artigiani, con
i quali Lefort era riuscito ad avere un incontro: si tratta di persone che
avevano insegnato a Gurdjieff, o che avevano imparato assieme a lui, la
loro arte, oppure che erano stati suoi maestri o condiscepoli nello studio
di una particolare disciplina. Per mezzo di suggerimenti e indicazioni,
Lefort venne guidato da essi nel suo viaggio di città in città, di maestro
in maestro, fino a trovarsi nuovamente in Europa, in seno ad una scuola
esoterica, situata (ironia della sorte!) a soli quindici chilometri dalla
sua abitazione. Nel corso del suo lungo peregrinare, l’autore prende
coscienza della sterilità delle motivazioni, quasi esclusivamente
intellettuali, che lo avevano portato ad intraprenderlo, e si pone in una
nuova prospettiva riguardo a Gurdjieff ed al suo pensiero. Mentre rinuncia
ad una sicurezza che ora gli appare falsa ed acquisisce umiltà e
disponibilità, viene altresì messo in guardia nei confronti delle scuole
in grado di tramandare l’aspetto esclusivamente esteriore
dell’insegnamento di Gurdjieff. Il messaggio di Gurdjieff viene dichiarato
morto con la scomparsa del maestro, ma si afferma che l’insegnamento
autentico è sempre accessibile. Alla fine del suo viaggio, Lefort è posto
di fronte ad una scelta: continuare le sue ricerche o rinunciare ad esse
per intraprendere effettivamente il cammino evolutivo. Il libro pretende
di essere una ricerca dei Maestri di Gurdjieff, fisicamente intesi, svolta
negli anni sessanta. A meno di non ammettere, nei loro riguardi, una
longevità ben superiore a quella di Gurdjieff, una interpretazione
letterale del testo ha poche possibilità di corrispondere al vero. Si dice


che Rafael Lefort sia lo pseudonimo del famoso scrittore   Idries Shah
(1924 Simla/India-1996 Londra). Quest'ultimo, scheik Naqshabandy d'origine
afgana (partecipò coi mujaiddin alla guerra di resistenza contro
l'invasione sovietica dell'Afghanistan),  è stato uno dei maggiori
divulgatori moderni del sufismo, soprattutto di quell'ala che lo svincola
dall'aderenza all'Islam. All'opposto vi è l'ala tradizionalista, che vanta
rappresentanti altrettanto famosi come Syed Hossein Nasr, la quale ritiene
indispensabile la pratica della forma religiosa islamica.Gli scheik
tradizionalisti sostengono che l'altra ala estremizzi,  il cosmopolitismo
ed universalismo sufi, disancorandolo dalla sua base terrena e storica che
è appunto l'Islam. E' abbastanza noto che la "Fondazione Gurdjieff",
avente le sue sedi principali a Parigi, Londra e New York, guidata prima
da  Madame Jeanne Matignon de Salzmann (1889-1990) e poi dal figlio Dr.
Michel de Salzmann , cercò di integrarsi nella tradizione orientale, al
fine di completare l'insegnamento lasciato in eredità da Gurdjieff. Poichè
tale insegnamento era esteriormente svincolato tanto dall'Islam, quanto
dal Buddhismo, sembrò naturale rivolgersi all'ala cosmopolita di Idries
Shah. Egli accettò di accogliere i membri della fondazione, ma a patto che
rinunciassero alla gerarchia che si era formata all'interno del loro
gruppo, cioè a condizione che ricominciassero tutti dallo stesso grado di
neofiti. Essi rifiutarono e Shah rispose con il libro firmato Lefort. 

L'interpretazione delle origini dell'insegnamento di Gurdjieff , presente

in questo libro, è senz'altro di parte, sia perchè trascura l'influsso

buddhista ed altri minori, sia perchè dimentica che Gurdjieff non usci'

mai dalla tradizione cristiano-ortodossa, considerando, con ogni

probabilità,  i suoi contatti orientali nient'altro che un approfondimento

di quello che S. Simeone definisce "il secondo modo di attenzione e di

preghiera". Prova ne è che, alla sua morte, dopo quattro giorni e quattro

notti di veglia, venne cantata una messa solenne nella cattedrale della


Chiesa Ortodossa Alexandre Nevsky in Rue Daru a Parigi.
 



Gurdjieff e la Filocalia
Per comprendere come l'insegnamento di G. I. Gurdjieff, relativo alla
presenza mentale,  ha raggiunto il suo aspetto definitivo, non vi è altro
modo che seguire, per quanto è possibile, la sua evoluzione temporale.
Come si è già accennato, Gurdjieff, già affascinato da miti e leggende
della tradizione orale paterna, ebbe come primo maestro vero e proprio
padre Borsh, allora arciprete della chiesa militare di Kars, massima
autorità spirituale di quel paese, che era stato da poco conquistato dai
Russi. Borsh insegnò a Gurdjieff medicina e teologia. Uno dei più
importanti testi della chiesa ortodossa è senz'altro la Filocalia, che
letteralmente significa «amore della bellezza», ma di quella bellezza che
si identifica col bene. La parola era già stata usata da S.Basilio e da
Gregorio di Nazianzo per la loro raccolta di passi scelti di Origene. Nel
1782 vide luce a Venezia un'altra Filocalia, destinata a diventare ben più
nota, i cui esemplari, appena stampati, furono rimpatriati in blocco in
Oriente. Tale Filocalia è una raccolta di testi tradizionali sulla
preghiera ortodossa, sopratutto "solitaria", che prende le mosse dagli
anacoreti cristiani egiziani del IV secolo per giungere fino ai monaci del
Monte Athos del XV. La Filocalia doveva conoscere un successo
straordinario in Russia, grazie a un grande staretz,  Paissy Velitchkovski
(1722-1794), animatore di una vera rinascita spirituale sia nei paesi
moldavi che in Russia. Egli preparò in breve tempo una traduzione slava,
la Dobrotolubiye (Pietroburgo, 1793), della quale si ebbero otto
riedizioni. La Filocalia è vasta, ma , per nostra fortuna, uno dei testi
in essa contenuti, costituisce una sintesi dell'intera opera. Si tratta
del capitolo "Sui tre modi di preghiera" tratto dagli scritti di San
Simeone il Nuovo Teologo (949-1O22) che, per la sua importanza, riportiamo
integralmente.
 

"Sui tre modi di preghiera
Esistono tre modi di attenzione e di preghiera, per essi l'anima può
elevarsi e progredire, oppure cadere e perdersi. Chi usa di questi metodi
nel modo e nel tempo giusto progredisce, chi invece li pratica
inopportunamente e insipientemente si smarrisce.
L'attenzione e la preghiera sono unite inseparabilmente come il corpo è
legato all'anima. L'attenzione procede e controlla i movimenti del nemico
come un'avanguardia, è la prima ad ingaggiare la lotta col peccato, e ad
opporsi ai pensieri malvagi che vorrebbero entrare nell'anima. La
preghiera ne segue le orme, sterminando e distruggendo tutti i pensieri
malvagi contro i quali l'attenzione è entrata in lotta, la sola attenzione
non ha la forza di distruggerli. Da questo combattimento contro i pensieri
malvagi condotto con l'attenzione e la preghiera dipende la vita
dell'anima. Servendosi dell'attenzione possiamo render pura la preghiera e
compiere dei progressi; se non ci serviamo dell'attenzione per conservarla
pura e la lasciamo incustodita, diventa inquinata dai pensieri malvagi e
diveniamo degli inservibili falliti.
 

Sul primo modo dell'attenzione e della preghiera
Queste sono le caratteristiche del primo modo: uno si mette in orazione,
solleva le mani, gli occhi e la mente verso il cielo, tiene fermi nella
mente i pensieri di Dio, immagina i beni celesti, le schiere degli angeli
e le dimore dei santi, riunisce, in una parola, nella mente quanto ha
appreso dalle Sante Sctitture e durante la preghiera vi si sofferma,
esortando l'anima ad essere desiderosa di Dio e del suo amore. Gli può
capitare in questo stato di versare delle lacrime e di piangere. Può
succedere, se uno segue soltanto questo modo, che poco a poco il suo cuore
s'inorgoglisca senza che lui l'avverta, e pensi che ciò che esperimenta
gli venga dalla grazia di Dio come consolazione, e comincia a domandare a
Dio di poter rimanere sempre in quello stato. Ma questo è segno di

smarrimento, il bene quando non è compiuto come si deve non è più bene. Se

quest'uomo s'impegna in una vita solitaria totale difficilmente potrà

sfuggire alla follia. Se questo per un puro caso non avvenga, gli sarà


impossibile raggiungere il possesso della virtù e il calmo pensiero.
Questo modo contiene un altro rischio di deviazione: uno può vedere con
gli occhi del corpo delle luci e dei fulgori, gustare dei profumi soavi,
sentire dei suoni e altre simili cose. Alcuni ne sono rimasti del tutto
invasati, nella loro insania hanno cominciato a vagolare da un luogo
all'altro; altri, scambiando il diavolo per un angelo della luce, sono
rimasti ingannati, fino a diventare incorreggibili rifiutando di
accogliere l'ammonimento dei fratelli. Altri, istigati dal diavolo, si
sono suicidati gettandosi chi da un precipizio, chi impiccandosi. Da
quanto abbiamo detto non è difficile, per chi ha buon senso, comprendere
quale rischio sia incluso in questo primo modo di attenzione e di
preghiera (quando venga considerato come l'unico nella via della
preghiera). Anche se qualcuno evita questi pericoli nel praticarlo perché
vive in una comunità, ai suoi rischi sono esposti particolarmente gli
eremiti, sappia che non farà nessun passo avanti nella vita spirituale.
 

Sul secondo modo di attenzione e di preghiera
Questo è il secondo modo di attenzione e di preghiera: l’orante ritrae la
mente dagli oggetti sensibili e la raccoglie nel suo intimo; vigila sui
sensi e unifica i suoi pensieri in modo che interrompano il vagabondaggio
tra le vanità mondane. A volte esamina i suoi pensieri, a volte si ferma a
considerare le parole che le sue labbra pronunciano; a volte ferma il
pensiero quando affascinato dal diavolo vola verso qualcosa di peccaminoso
e di vano; a volte, vinto da qualche passione, con grande travaglio e
sforzo lotta per rientrare in sé stesso. La nota specifica di questo modo
è che si svolge nella testa, i pensieri combattono contro i pensieri.
In questo combattimento contro se stesso, non si può trovare la pace, né
il tempo di praticare quelle virtù che sono il coronamento della verità.
Questo stato è paragonabile ad uno che lotti con i nemici, nella notte, al
buio, sente le loro voci, subisce i loro colpi, ma non vede chiaramente
dove siano, da dove vengano e per qual motivo stiano aggredendolo; rimane
dentro la testa, mentre i pensieri malvagi escono dal cuore. La tenebra
che gli avvolge la mente, la tempesta che infuria nei suoi pensieri sono
la causa che impedisce di vedere la origine di questa deviazione, non
riesce a sfuggire dalla presa dei demoni, suoi nemici, e a riconoscere i
loro colpi. Se poi insieme a tutto questo uno vien preso dalla vanità di
ritenersi vigilante su se stesso come dovrebbe, lavora inutilmente e
perderà per sempre ogni ricompensa. Orgoglioso disprezza e critica gli
altri e loda se stesso, considerandosi atto ad essere un pastore di uomini
e di guidare gli altri diventa simile ad un cieco che vuol condurre altri
ciechi. Questi sono i cararteri del secondo modo di attenzione e di
preghiera. Chi vuol raggiungere la salvezza saprà riconoscere il danno che
sta arrecando all'anima sua e aprirà con cura gli occhi su se stesso.
Questo modo, ciò nonostante, è migliore del primo come una notte di
plenilunio è meglio di una notte senza luna.
 

Sul terzo modo di attenzione e di preghiera
 

Il terzo modo è meraviglioso ma difficile a spiegare; è insieme difficile
e incredibile per chi non lo abbia mai praticato, fino al punto da esser
respinto come possibile attuazione. Nel nostro tempo infatti è difficile
incontrare chi pratichi questo modo di attenzione e di preghiera; verrebbe
da pensare che questo dono benedetto ci abbia abbandonato insieme
all'obbedienza.
Se uno osserva l'obbedienza perfetta al suo padre spirituale, si libera da
ogni perplessità, avendole poste sulle spalle della sua guida. Libero da
ogni attaccamento sensibile, può dedicarsi con zelo e diligenza alla
pratica del terzo modo di preghiera, supponendo però che si sia posto
sotto la direzione di una guida non sottoposta a smarrimenti. Se vuoi
raggiungere la salvezza comincia in questo modo: stabilisci nel tuo cuore
la perfetta obbedienza alla tua guida spirituale, compi qualunque cosa con
coscienza pura, alla presenza di Dio; non è possibile avere la coscienza
pura senza l'obbedienza. Conserva pura la coscienza in queste tre
direzioni: di fronte a Dio, di fronte alla tua guida spirituale, di fronte
agli uomini e alle cose e alla realtà del mondo.
Di fronte a Dio il dovere della tua coscienza consiste nel non fare azione
che, secondo la tua coscienza, non sia gradita e accetta a Dio. Di fronte
al tuo padre spirituale fa soltanto quello che ti dirà, non voler fare
niente di più o di meno di quanto ti suggerisce, cammina sotto la guida
della sua volontà e della sua intenzione. Di fronte agli uomini non fare
alcuna cosa che non vorresti venisse fatta a te stesso. Di fronte alle
cose il tuo dovere è di mantenere pura la tua coscienza usandola in
maniera giusta, per le cose intendo il cibo, le bevande e le vesti.
Procedendo in questo modo ti appronterai un sentiero solido e diretto
verso il terzo modo di attenzione e di preghiera, esso consiste
essenzialmente in questo: la mente scenda nel cuore. Mentre preghi ferma
l'attenzione nel cuore, percorrilo in tutti i sensi, senza mai
distaccartene, e dalle profondità del cuore fa' salire a Dio la tua
preghiera. Quando la mente, dimorando nel cuore, comincia a gustare quanto
è buono il Signore e si sente colma di grande diletto non vorrà più
abbandonare quel luogo. Contemplerà le profondità del cuore e vi rimarrà
cercando e allontanando quei pensieri che il demonio vi avrà disseminato.
Chi non conosce e non ha provato questo modo, lo considererà difficile e
opprimente. Chi invece avrà gustato la sua dolcezza e avrà goduto nelle
profondità del cuore, grida con San Paolo: "Chi potrà distaccarsi
dall'amore di Cristo?..".Osserva prima di ogni altra cosa queste tre
direttive: sii libero da ogni preoccupazione, non solo riguardo a ciò che
è malefico e vano ma anche a ciò che è buono, in una parola sii morto a
tutto; conserva la tua coscienza in modo che nulla possa rimproverarsi;
abbi il perfetto distacco da ogni attaccamento passionale, in modo da non
avere alcuna inclinazione verso ciò che appartiene al mondo. Mantieni la
tua attenzione in te stesso, tieni ferma la mente nel cuore, con tutti i
mezzi possibili cerca di scoprire il luogo dove è il cuore; se avrai il
dono di trovarlo il tuo pensiero vi dimorerà per sempre. Impegnandoti in
tal modo la mente scoprirà il luogo del cuore, quando l'avrà trovato la
grazia renderà la preghiera soave e ardente. La mente acquisterà la
capacità di allontanare i pensieri malvagi da qualunque parte si
manifestino prima che abbiano preso consistenza, facendoli dissipare con
l'invocazione: "Signore Gesù abbi pietà di me! ". Il primo e il secondo
modo di attenzione e di preghiera non conducono l'uomo alla perfezione.
Volendo costruire una cosa non cominciamo dal tetto ma dalle fondamenta;
prima gettiamo le fondamenta poi innalziamo i muri infine edifichiamo il
tetto. Altrettanto ci è richiesto per l'edificio spirituale, innanzi tutto
gettiamo il fondamento: vigilando sul cuore e purificandolo dalle
passioni; quindi innalziamo le mura respingendo l'assalto dei nemici che
si scagliano contro servendosi dei sensi, e addestrandoci a controbattere
i loro assalti il più presto possibile; dopo aver fatto questo possiamo
porre mano al tetto, alla totale rinuncia a tutto per offrirci
completamente a Dio. In questo modo potremo ultimare la nostra casa in
Gesù Cristo, a Lui sia lode per sempre. Amen." (Filocalia , vol. V pp.
73-89. edizione italiana della Filocalia, ed. Gribaudi)
 

Non poteva sfuggire a Gurdjieff che l'aspetto "preghiera" è massimo nel

terzo modo, mentre l'aspetto "attenzione" è massimo nel secondo. Forse gli

 venne il sospetto che il secondo modo, già all'epoca di San Simeone, non

fosse più noto nella sua completezza, in ambiente cristiano e che, proprio

per la sua incompletezza, gli venisse preferito il terzo. Tutti i suoi

anni successivi li dedicò infatti ad un approfondimento esoterico del

secondo modo, entrando cosi' in contatto con svariati ambienti,


soprattutto sufi e buddhisti.