"Tutta la difficoltà deriva dalla vostra certezza di essere sempre identici a voi stessi, egli diceva. Ma io ho di voi una visione ben differente. Per esempio, vedo che oggi è venuto qui un Ouspensky, mentre ieri si trattava di un altro Ouspensky. Per quanto concerne il dottore, con il quale parlavo qui seduto prima del vostro arrivo, egli era una certa persona. Poi siete venuti voi e mi è capitato di dargli uno sguardo: era già un altro. Quello che avevo visto quando mi trovavo solo con lui, voi lo vedete molto di rado.
"Rendetevi conto, disse G. a questo proposito, che ogni uomo ha un repertorio definito di ruoli che recita nelle circostanze ordinarie. Egli ha una parte per ogni genere di circostanze in cui si trova abitualmente; ma se lo mettete in circostanze leggermente differenti, sarà incapace di trovare una parte che si addice alla situazione, e per un breve istante egli diverrà sé stesso. Lo studio delle parti che ciascuno recita è un aspetto indispensabile della conoscenza di sé. Il repertorio di ogni uomo è estremamente limitato. Se un uomo dice semplicemente 'io' e 'Ivan Ivanovitch' non vedrà sé stesso nel suo insieme, perché nemmeno 'Ivan Ivanovitch' è uno solo; ognuno ne ha almeno cinque o sei: uno o due per la famiglia, uno o due per l'ufficio (uno per i superiori e uno per i dipendenti), uno per gli amici al ristorante, e forse un altro, per le conversazioni intellettuali su dei soggetti sublimi. Secondo i momenti, un uomo è completamente identificato con l'uno o con l'altro di questi personaggi; ed è incapace di separarsene. Vedere i propri ruoli, conoscere il proprio repertorio e soprattutto rendersi conto della sua limitatezza è già sapere molto. Ma il punto essenziale è che l'uomo al di fuori del suo repertorio, cioè non appena qualche cosa lo fa uscire dalla sua routine, non fosse che per un solo momento, si sente terribilmente a disagio, e fa di tutto per ritornare al più presto all'una o all'altra delle parti abituali. Ricade così nelle sue abitudini e immediatamente tutto riprende per lui a scorrere senza urti; ogni sentimento di difficoltà e di tensione scompare. Accade sempre così nella vita. Ma nel lavoro, per osservare sé stessi, è necessario assolutamente accettare questa difficoltà e questa tensione, e non più temere questi stati di disagio e di impotenza. Soltanto attraverso essi un uomo può realmente imparare a vedersi. Ed è facile comprenderne la ragione. Ogni qualvolta un uomo non recita una delle sue parti abituali e non può trovare nel suo repertorio il ruolo che conviene ad una data situazione, si sente come spogliato. Ha freddo, ha vergogna, vorrebbe fuggire affinchè nessuno lo veda. Tuttavia sorge la questione: che cosa vuole? Una vita tranquilla o lavorare su se stesso? Se vuole una vita tranquilla, innanzi tutto non deve mai uscire dal suo repertorio. Nei suoi ruoli abituali si sente a suo agio e in pace. Ma se vuole lavorare su se stesso, deve distruggere la sua pace: il lavoro e la pace sono incompatibili. L'uomo deve fare una scelta, ma senza ingannare se stesso come spesso accade. A parole sceglie il lavoro, ma in realtà non vuole perdere la sua pace. Il risultato è che sta seduto tra due sedie. Di tutte le posizioni, questa è la più scomoda. L'uomo non fa alcun lavoro e neppure ha una certa comodità. Purtroppo gli è difficilissimo mandare tutto al diavolo e cominciare un lavoro reale. Ma perché è così difficile? Prima di tutto perché la sua vita è troppo facile. Anche se egli la considera difficile, vi è abituato; e in fondo che essa sia dura non ha più importanza poiché egli la conosce. Ma qui vi è qualche cosa di nuovo e sconosciuto, da cui non sa nemmeno se potrà ricavare o no un risultato. E inoltre, cosa più difficile ancora, deve necessariamente obbedire a qualcuno, sottomettersi alla volontà di un altro. Se un uomo potesse inventare, per se stesso, delle difficoltà e dei sacrifici potrebbe, talvolta, andare molto lontano. Ma in realtà ciò non è possibile. È indispensabile obbedire a un altro uomo e seguire una direzione generale di lavoro, il cui controllo non può appartenere che ad uno solo. Niente potrebbe essere più difficile di questa subordinazione, per un uomo che si ritiene capace di decidere ogni cosa, di fare ogni cosa. Naturalmente quando arriva a liberarsi delle sue fantasie, a vedere ciò che egli è in realtà, le difficoltà scompaiono. Ma questa liberazione può solo prodursi nel corso del lavoro. E cominciare a lavorare, e soprattutto continuare, è molto difficile, ed è difficile perché la vita scorre troppo facilmente".
P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 265-267
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