giovedì 2 febbraio 2017

Gurdjieff, sufismo e filocalia - Piero Schepis

Interventi di Piero Schepis su Gurdjieff
 
GEORGE IVANOVITCH GURDJIEFF e IL LAMA DORDJIEFF
G. I. Gurdjieff nacque negli anni 1860 o 1870 (i biografi, pur senza
sicurezza, indicano generalmente la data del 1866) ad Alexandropol
nell’Armenia Russa, cioè  in una zona di frontiera, dove un padre prudente
preferi' non registrare la nascita del proprio figlio. La madre era
armena; il padre Ioannas Giorgiades, discendente dai Greci Ionici di
Cesarea, prima allevatore di bestiame, poi  commerciante di legname e
falegname,  era anche un “ashok”, poeta-bardo, che amava raccontare uno
straordinario repertorio di leggende e miti tramandati da generazioni. La
famiglia si  trasferi' poi a Kars  città armena , sovrastata dal monte
Ararat (a quell'epoca Kars era oggetto di contesa tra Russi e Turchi,
attualmente appartiene alla Turchia). Ivi Gurdjieff venne educato da
sacerdoti della chiesa armeno-ortodossa e prese in considerazione a sua
volta il sacerdozio, che probabilmente esercitò per uno o due anni. Non
era però quella la sua via e decise di esplorare altre tradizioni
spirituali. Fra il 1887 e il 1907 si situano i cosiddetti «vent'anni
mancanti» della biografia di Gurdjieff. Si sa che, con altri amici, formò
un gruppo chiamato dei «Cercatori della verità» e compi' numerosi viaggi
che lo portarono nel Medio Oriente, nell'India, nell'Asia Centrale, nel
Tibet, visitando monasteri e centri religiosi, cercando una misteriosa
«Confraternita di Sarmoung», della quale aveva trovato un riferimento nel
1886. Nella sua autobiografia "Incontri con uomini straordinari" Gurdjieff
ci parla delle persone che incontrò in quegli anni e che influenzarono il
suo pensiero, ma occulta abilmente luoghi e identità. All'inizio della
prima guerra mondiale, Gurdjieff visse a Mosca e, attraverso conferenze e
rapporti personali, raccolse intorno a sé numerosi allievi (il più famoso
è probabilmente P.D. Ouspensky) con cui formò piccoli gruppi, non solo a
Mosca e in Russia, ma anche a Costantinopoli, Tiflis, Londra,
Fontainebleau-Avon, Parigi, New York etc. Ebbe allievi illustri fra
scrittori, poeti, artisti, filosofi, ricercatori, uniti dal progetto
comune di lavorare su di sé, migliorando la propria presenza mentale.
Gurdjieff mori' a Parigi nel 1949. Ancora oggi ha molti seguaci e
costituisce un punto di riferimento per la ricerca spirituale occidentale,
come dimostrano talune canzoni di quell'altro poeta-bardo contemporaneo,
che è Franco Battiato. Il periodo della vita di Gurdjieff, che ha
suscitato maggiormente la curiosità dei ricercatori è naturalmente quello
dei  «vent'anni mancanti». Una testimonianza interessante, che potrebbe
chiarire l'attività di circa un decennio, riferita da Louis Pauwels nel
libro  "Monsieur Gurdjieff" (Roma 1972), è quella di Achmed Abdullah,
scrittore e ufficiale dell'Intelligence Service. Questi incontrò Gurdjieff
 a New York , durante un pranzo in casa di un comune amico, e  riconobbe
in lui il Lama Dorzhieff (o Dordjieff secondo un'altra grafia) conosciuto
circa trenta anni prima in Tibet. Glielo disse e lui gli strizzò l'occhio.
Si parlarono in lingua tagik. Dorzhieff  era stato precettore del giovane
tredicesimo Dalai Lama ed era il principale agente segreto della Russia
nel Tibet. Quando le truppe Inglesi invasero il Tibet (antecedentemente
alla prima guerra mondiale) fuggi' insieme al Dalai Lama in direzione
della Mongolia. Tutto ciò spiegherebbe le difficoltà che più tardi
Gurdjieff incontrò a Londra, nonostante gli interventi dei suoi amici
presso Lloyd George. La testimonianza di A. Abdullah è stata spesso
sottovalutata da parte dei seguaci di Gurdjieff, forse perchè Alexandra
David Neel, che ha scritto molti libri di viaggio sul Tibet, in un
articolo apparso su Nouvelles Litteraires di Parigi il 22 Aprile 1954,
dichiarò che era stato confuso Gurdjieff con un lama buriate di nome
Dordjieff. A favore della tesi di Abdullah è invece l’ambasciatore indiano
in Cina K.M. Panikkar in "Storia della dominazione europea in Asia dal
Cinquecento ai nostri giorni" Einaudi, Torino 1977, che si appoggia anche
sulla testimonianza di Sir Charles Bell, diplomatico inglese in Tibet e
amico personale del tredicesimo Dalai Lama,  nella biografia autorizzata "
Portrait of a Dalai Lama: The Life and Times of the Great Thirteenth", 

pubblicata per la prima volta nel 1946 da W.M. Collins  e successivamente
ristampata nel 1987, a Londra, da Wisdom Publications. Del resto, il libro
di Rom Landau "God is My Adventure" (ultima ristampa : Unwin, 1964) che
per primo riportò la testimonianza di Abdullah, usci' quando era ancora
vivo Gurdjieff, il quale non fece la minima obiezione.
 



Gurdjieff e il Sufismo
Nel libro "I Maestri di Gurdjieff" (ediz. italiana: 1991, Roma, E.
Mediterranee) , Rafael Lefort, studioso di esoterismo, narra che, dopo
essere entrato a far parte di una delle scuole ispirate alla dottrina di
Gurdjieff, avendo trovato un metodo di insegnamento non conforme alla sue
aspettative, decise di mettersi in viaggio verso l’Oriente, alla ricerca
delle fonti originali dell'insegnamento. I capitoli di questo libro sono
dedicati alle figure  degli uomini, quasi tutti mercanti o artigiani, con
i quali Lefort era riuscito ad avere un incontro: si tratta di persone che
avevano insegnato a Gurdjieff, o che avevano imparato assieme a lui, la
loro arte, oppure che erano stati suoi maestri o condiscepoli nello studio
di una particolare disciplina. Per mezzo di suggerimenti e indicazioni,
Lefort venne guidato da essi nel suo viaggio di città in città, di maestro
in maestro, fino a trovarsi nuovamente in Europa, in seno ad una scuola
esoterica, situata (ironia della sorte!) a soli quindici chilometri dalla
sua abitazione. Nel corso del suo lungo peregrinare, l’autore prende
coscienza della sterilità delle motivazioni, quasi esclusivamente
intellettuali, che lo avevano portato ad intraprenderlo, e si pone in una
nuova prospettiva riguardo a Gurdjieff ed al suo pensiero. Mentre rinuncia
ad una sicurezza che ora gli appare falsa ed acquisisce umiltà e
disponibilità, viene altresì messo in guardia nei confronti delle scuole
in grado di tramandare l’aspetto esclusivamente esteriore
dell’insegnamento di Gurdjieff. Il messaggio di Gurdjieff viene dichiarato
morto con la scomparsa del maestro, ma si afferma che l’insegnamento
autentico è sempre accessibile. Alla fine del suo viaggio, Lefort è posto
di fronte ad una scelta: continuare le sue ricerche o rinunciare ad esse
per intraprendere effettivamente il cammino evolutivo. Il libro pretende
di essere una ricerca dei Maestri di Gurdjieff, fisicamente intesi, svolta
negli anni sessanta. A meno di non ammettere, nei loro riguardi, una
longevità ben superiore a quella di Gurdjieff, una interpretazione
letterale del testo ha poche possibilità di corrispondere al vero. Si dice


che Rafael Lefort sia lo pseudonimo del famoso scrittore   Idries Shah
(1924 Simla/India-1996 Londra). Quest'ultimo, scheik Naqshabandy d'origine
afgana (partecipò coi mujaiddin alla guerra di resistenza contro
l'invasione sovietica dell'Afghanistan),  è stato uno dei maggiori
divulgatori moderni del sufismo, soprattutto di quell'ala che lo svincola
dall'aderenza all'Islam. All'opposto vi è l'ala tradizionalista, che vanta
rappresentanti altrettanto famosi come Syed Hossein Nasr, la quale ritiene
indispensabile la pratica della forma religiosa islamica.Gli scheik
tradizionalisti sostengono che l'altra ala estremizzi,  il cosmopolitismo
ed universalismo sufi, disancorandolo dalla sua base terrena e storica che
è appunto l'Islam. E' abbastanza noto che la "Fondazione Gurdjieff",
avente le sue sedi principali a Parigi, Londra e New York, guidata prima
da  Madame Jeanne Matignon de Salzmann (1889-1990) e poi dal figlio Dr.
Michel de Salzmann , cercò di integrarsi nella tradizione orientale, al
fine di completare l'insegnamento lasciato in eredità da Gurdjieff. Poichè
tale insegnamento era esteriormente svincolato tanto dall'Islam, quanto
dal Buddhismo, sembrò naturale rivolgersi all'ala cosmopolita di Idries
Shah. Egli accettò di accogliere i membri della fondazione, ma a patto che
rinunciassero alla gerarchia che si era formata all'interno del loro
gruppo, cioè a condizione che ricominciassero tutti dallo stesso grado di
neofiti. Essi rifiutarono e Shah rispose con il libro firmato Lefort. 

L'interpretazione delle origini dell'insegnamento di Gurdjieff , presente

in questo libro, è senz'altro di parte, sia perchè trascura l'influsso

buddhista ed altri minori, sia perchè dimentica che Gurdjieff non usci'

mai dalla tradizione cristiano-ortodossa, considerando, con ogni

probabilità,  i suoi contatti orientali nient'altro che un approfondimento

di quello che S. Simeone definisce "il secondo modo di attenzione e di

preghiera". Prova ne è che, alla sua morte, dopo quattro giorni e quattro

notti di veglia, venne cantata una messa solenne nella cattedrale della


Chiesa Ortodossa Alexandre Nevsky in Rue Daru a Parigi.
 



Gurdjieff e la Filocalia
Per comprendere come l'insegnamento di G. I. Gurdjieff, relativo alla
presenza mentale,  ha raggiunto il suo aspetto definitivo, non vi è altro
modo che seguire, per quanto è possibile, la sua evoluzione temporale.
Come si è già accennato, Gurdjieff, già affascinato da miti e leggende
della tradizione orale paterna, ebbe come primo maestro vero e proprio
padre Borsh, allora arciprete della chiesa militare di Kars, massima
autorità spirituale di quel paese, che era stato da poco conquistato dai
Russi. Borsh insegnò a Gurdjieff medicina e teologia. Uno dei più
importanti testi della chiesa ortodossa è senz'altro la Filocalia, che
letteralmente significa «amore della bellezza», ma di quella bellezza che
si identifica col bene. La parola era già stata usata da S.Basilio e da
Gregorio di Nazianzo per la loro raccolta di passi scelti di Origene. Nel
1782 vide luce a Venezia un'altra Filocalia, destinata a diventare ben più
nota, i cui esemplari, appena stampati, furono rimpatriati in blocco in
Oriente. Tale Filocalia è una raccolta di testi tradizionali sulla
preghiera ortodossa, sopratutto "solitaria", che prende le mosse dagli
anacoreti cristiani egiziani del IV secolo per giungere fino ai monaci del
Monte Athos del XV. La Filocalia doveva conoscere un successo
straordinario in Russia, grazie a un grande staretz,  Paissy Velitchkovski
(1722-1794), animatore di una vera rinascita spirituale sia nei paesi
moldavi che in Russia. Egli preparò in breve tempo una traduzione slava,
la Dobrotolubiye (Pietroburgo, 1793), della quale si ebbero otto
riedizioni. La Filocalia è vasta, ma , per nostra fortuna, uno dei testi
in essa contenuti, costituisce una sintesi dell'intera opera. Si tratta
del capitolo "Sui tre modi di preghiera" tratto dagli scritti di San
Simeone il Nuovo Teologo (949-1O22) che, per la sua importanza, riportiamo
integralmente.
 

"Sui tre modi di preghiera
Esistono tre modi di attenzione e di preghiera, per essi l'anima può
elevarsi e progredire, oppure cadere e perdersi. Chi usa di questi metodi
nel modo e nel tempo giusto progredisce, chi invece li pratica
inopportunamente e insipientemente si smarrisce.
L'attenzione e la preghiera sono unite inseparabilmente come il corpo è
legato all'anima. L'attenzione procede e controlla i movimenti del nemico
come un'avanguardia, è la prima ad ingaggiare la lotta col peccato, e ad
opporsi ai pensieri malvagi che vorrebbero entrare nell'anima. La
preghiera ne segue le orme, sterminando e distruggendo tutti i pensieri
malvagi contro i quali l'attenzione è entrata in lotta, la sola attenzione
non ha la forza di distruggerli. Da questo combattimento contro i pensieri
malvagi condotto con l'attenzione e la preghiera dipende la vita
dell'anima. Servendosi dell'attenzione possiamo render pura la preghiera e
compiere dei progressi; se non ci serviamo dell'attenzione per conservarla
pura e la lasciamo incustodita, diventa inquinata dai pensieri malvagi e
diveniamo degli inservibili falliti.
 

Sul primo modo dell'attenzione e della preghiera
Queste sono le caratteristiche del primo modo: uno si mette in orazione,
solleva le mani, gli occhi e la mente verso il cielo, tiene fermi nella
mente i pensieri di Dio, immagina i beni celesti, le schiere degli angeli
e le dimore dei santi, riunisce, in una parola, nella mente quanto ha
appreso dalle Sante Sctitture e durante la preghiera vi si sofferma,
esortando l'anima ad essere desiderosa di Dio e del suo amore. Gli può
capitare in questo stato di versare delle lacrime e di piangere. Può
succedere, se uno segue soltanto questo modo, che poco a poco il suo cuore
s'inorgoglisca senza che lui l'avverta, e pensi che ciò che esperimenta
gli venga dalla grazia di Dio come consolazione, e comincia a domandare a
Dio di poter rimanere sempre in quello stato. Ma questo è segno di

smarrimento, il bene quando non è compiuto come si deve non è più bene. Se

quest'uomo s'impegna in una vita solitaria totale difficilmente potrà

sfuggire alla follia. Se questo per un puro caso non avvenga, gli sarà


impossibile raggiungere il possesso della virtù e il calmo pensiero.
Questo modo contiene un altro rischio di deviazione: uno può vedere con
gli occhi del corpo delle luci e dei fulgori, gustare dei profumi soavi,
sentire dei suoni e altre simili cose. Alcuni ne sono rimasti del tutto
invasati, nella loro insania hanno cominciato a vagolare da un luogo
all'altro; altri, scambiando il diavolo per un angelo della luce, sono
rimasti ingannati, fino a diventare incorreggibili rifiutando di
accogliere l'ammonimento dei fratelli. Altri, istigati dal diavolo, si
sono suicidati gettandosi chi da un precipizio, chi impiccandosi. Da
quanto abbiamo detto non è difficile, per chi ha buon senso, comprendere
quale rischio sia incluso in questo primo modo di attenzione e di
preghiera (quando venga considerato come l'unico nella via della
preghiera). Anche se qualcuno evita questi pericoli nel praticarlo perché
vive in una comunità, ai suoi rischi sono esposti particolarmente gli
eremiti, sappia che non farà nessun passo avanti nella vita spirituale.
 

Sul secondo modo di attenzione e di preghiera
Questo è il secondo modo di attenzione e di preghiera: l’orante ritrae la
mente dagli oggetti sensibili e la raccoglie nel suo intimo; vigila sui
sensi e unifica i suoi pensieri in modo che interrompano il vagabondaggio
tra le vanità mondane. A volte esamina i suoi pensieri, a volte si ferma a
considerare le parole che le sue labbra pronunciano; a volte ferma il
pensiero quando affascinato dal diavolo vola verso qualcosa di peccaminoso
e di vano; a volte, vinto da qualche passione, con grande travaglio e
sforzo lotta per rientrare in sé stesso. La nota specifica di questo modo
è che si svolge nella testa, i pensieri combattono contro i pensieri.
In questo combattimento contro se stesso, non si può trovare la pace, né
il tempo di praticare quelle virtù che sono il coronamento della verità.
Questo stato è paragonabile ad uno che lotti con i nemici, nella notte, al
buio, sente le loro voci, subisce i loro colpi, ma non vede chiaramente
dove siano, da dove vengano e per qual motivo stiano aggredendolo; rimane
dentro la testa, mentre i pensieri malvagi escono dal cuore. La tenebra
che gli avvolge la mente, la tempesta che infuria nei suoi pensieri sono
la causa che impedisce di vedere la origine di questa deviazione, non
riesce a sfuggire dalla presa dei demoni, suoi nemici, e a riconoscere i
loro colpi. Se poi insieme a tutto questo uno vien preso dalla vanità di
ritenersi vigilante su se stesso come dovrebbe, lavora inutilmente e
perderà per sempre ogni ricompensa. Orgoglioso disprezza e critica gli
altri e loda se stesso, considerandosi atto ad essere un pastore di uomini
e di guidare gli altri diventa simile ad un cieco che vuol condurre altri
ciechi. Questi sono i cararteri del secondo modo di attenzione e di
preghiera. Chi vuol raggiungere la salvezza saprà riconoscere il danno che
sta arrecando all'anima sua e aprirà con cura gli occhi su se stesso.
Questo modo, ciò nonostante, è migliore del primo come una notte di
plenilunio è meglio di una notte senza luna.
 

Sul terzo modo di attenzione e di preghiera
 

Il terzo modo è meraviglioso ma difficile a spiegare; è insieme difficile
e incredibile per chi non lo abbia mai praticato, fino al punto da esser
respinto come possibile attuazione. Nel nostro tempo infatti è difficile
incontrare chi pratichi questo modo di attenzione e di preghiera; verrebbe
da pensare che questo dono benedetto ci abbia abbandonato insieme
all'obbedienza.
Se uno osserva l'obbedienza perfetta al suo padre spirituale, si libera da
ogni perplessità, avendole poste sulle spalle della sua guida. Libero da
ogni attaccamento sensibile, può dedicarsi con zelo e diligenza alla
pratica del terzo modo di preghiera, supponendo però che si sia posto
sotto la direzione di una guida non sottoposta a smarrimenti. Se vuoi
raggiungere la salvezza comincia in questo modo: stabilisci nel tuo cuore
la perfetta obbedienza alla tua guida spirituale, compi qualunque cosa con
coscienza pura, alla presenza di Dio; non è possibile avere la coscienza
pura senza l'obbedienza. Conserva pura la coscienza in queste tre
direzioni: di fronte a Dio, di fronte alla tua guida spirituale, di fronte
agli uomini e alle cose e alla realtà del mondo.
Di fronte a Dio il dovere della tua coscienza consiste nel non fare azione
che, secondo la tua coscienza, non sia gradita e accetta a Dio. Di fronte
al tuo padre spirituale fa soltanto quello che ti dirà, non voler fare
niente di più o di meno di quanto ti suggerisce, cammina sotto la guida
della sua volontà e della sua intenzione. Di fronte agli uomini non fare
alcuna cosa che non vorresti venisse fatta a te stesso. Di fronte alle
cose il tuo dovere è di mantenere pura la tua coscienza usandola in
maniera giusta, per le cose intendo il cibo, le bevande e le vesti.
Procedendo in questo modo ti appronterai un sentiero solido e diretto
verso il terzo modo di attenzione e di preghiera, esso consiste
essenzialmente in questo: la mente scenda nel cuore. Mentre preghi ferma
l'attenzione nel cuore, percorrilo in tutti i sensi, senza mai
distaccartene, e dalle profondità del cuore fa' salire a Dio la tua
preghiera. Quando la mente, dimorando nel cuore, comincia a gustare quanto
è buono il Signore e si sente colma di grande diletto non vorrà più
abbandonare quel luogo. Contemplerà le profondità del cuore e vi rimarrà
cercando e allontanando quei pensieri che il demonio vi avrà disseminato.
Chi non conosce e non ha provato questo modo, lo considererà difficile e
opprimente. Chi invece avrà gustato la sua dolcezza e avrà goduto nelle
profondità del cuore, grida con San Paolo: "Chi potrà distaccarsi
dall'amore di Cristo?..".Osserva prima di ogni altra cosa queste tre
direttive: sii libero da ogni preoccupazione, non solo riguardo a ciò che
è malefico e vano ma anche a ciò che è buono, in una parola sii morto a
tutto; conserva la tua coscienza in modo che nulla possa rimproverarsi;
abbi il perfetto distacco da ogni attaccamento passionale, in modo da non
avere alcuna inclinazione verso ciò che appartiene al mondo. Mantieni la
tua attenzione in te stesso, tieni ferma la mente nel cuore, con tutti i
mezzi possibili cerca di scoprire il luogo dove è il cuore; se avrai il
dono di trovarlo il tuo pensiero vi dimorerà per sempre. Impegnandoti in
tal modo la mente scoprirà il luogo del cuore, quando l'avrà trovato la
grazia renderà la preghiera soave e ardente. La mente acquisterà la
capacità di allontanare i pensieri malvagi da qualunque parte si
manifestino prima che abbiano preso consistenza, facendoli dissipare con
l'invocazione: "Signore Gesù abbi pietà di me! ". Il primo e il secondo
modo di attenzione e di preghiera non conducono l'uomo alla perfezione.
Volendo costruire una cosa non cominciamo dal tetto ma dalle fondamenta;
prima gettiamo le fondamenta poi innalziamo i muri infine edifichiamo il
tetto. Altrettanto ci è richiesto per l'edificio spirituale, innanzi tutto
gettiamo il fondamento: vigilando sul cuore e purificandolo dalle
passioni; quindi innalziamo le mura respingendo l'assalto dei nemici che
si scagliano contro servendosi dei sensi, e addestrandoci a controbattere
i loro assalti il più presto possibile; dopo aver fatto questo possiamo
porre mano al tetto, alla totale rinuncia a tutto per offrirci
completamente a Dio. In questo modo potremo ultimare la nostra casa in
Gesù Cristo, a Lui sia lode per sempre. Amen." (Filocalia , vol. V pp.
73-89. edizione italiana della Filocalia, ed. Gribaudi)
 

Non poteva sfuggire a Gurdjieff che l'aspetto "preghiera" è massimo nel

terzo modo, mentre l'aspetto "attenzione" è massimo nel secondo. Forse gli

 venne il sospetto che il secondo modo, già all'epoca di San Simeone, non

fosse più noto nella sua completezza, in ambiente cristiano e che, proprio

per la sua incompletezza, gli venisse preferito il terzo. Tutti i suoi

anni successivi li dedicò infatti ad un approfondimento esoterico del

secondo modo, entrando cosi' in contatto con svariati ambienti,


soprattutto sufi e buddhisti.   
  
 
 

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