mercoledì 27 dicembre 2017

Mao e la Cina - Tiziano Terzani

Strano destino, quello di Mao! Aveva voluto dare vita a una nuova Cina, rifondando la sua civiltà, imponendole nuovi valori e aveva finito per distruggere quel poco che ancora restava della vecchia. È stato Mao a voler togliere ai cinesi quell’ultima coscienza di essere diversi grazie alla loro civiltà per mettere loro in testa che erano diversi perché erano rivoluzionari. È bastato dimostrare che quella rivoluzione era un fallimento perché la tragedia arrivasse al suo epilogo, perché i cinesi andassero alla deriva e fossero presi dalla corrente dei tempi: quella di diventare come tutti. Poveri cinesi!
Il destino di questa straordinaria civiltà che aveva, davvero per millenni, preso un‘altra via, che aveva affrontato la vita, la morte, la natura, gli dei in maniera diversa dagli altri, mi rattristava! Quella cinese era una civiltà che aveva inventato un suo modo di scrivere, di mangiare, di fare l’amore, di pettinarsi; una civiltà che per secoli ha curato diversamente i suoi malati, ha guardato diversamente il cielo, le montagne, i fiumi; che ha avuto una diversa idea di come costruire le case, di fare i templi, un’altra concezione dell’anatomia, un diverso concetto di anima, di forza, di vento, d’acqua; una civiltà che ha scoperto la polvere da sparo e l’ha solo usata per fare fuochi d’artificio invece che proiettili per i cannoni. Quella civiltà oggi cerca solo di essere moderna come l’Occidente; vuole diventare come quell’isolotto ad aria condizionata che è Singapore; produce giovani che sognano solo di vestirsi come rappresentanti di commercio, di fare la coda davanti ai fast food di Macdonald, di avere un orologio al quarzo, un televisore a colori e un telefonino portatile.
Non è triste? Non dico per i cinesi. Ma per l‘umanità in genere, che perde molto nel perdere le sue diversità e nel diventare tutta uguale. Mao aveva capito che, per salvare la Cina, bisognava proteggerla contro l’influenza occidentale e farle cercare una soluzione cinese al problema della modernità e dello sviluppo. Nel porsi il problema Mao era stato grande. Grande era stato anche nello sbagliarsi sul come risolverlo. Ma sempre grande, Mao: grande poeta, grande stratega, grande intellettuale e grande assassino. Ma grande come la Cina. Così come ora è grande la sua tragedia.
Se qualcuno, fra qualche secolo, riuscirà a guardare indietro alla storia dell‘umanità, la fine della civiltà cinese gli dovrà apparire come una grande perdita, perché con quella è finita una grande alternativa la cui esistenza forse garantiva l’armonia del mondo.
Non è un caso che siano stati i cinesi a scoprire che l‘essenza di tutto è l’equilibro fra gli opposti, fra lo yin e lo yang, fra il sole e la luna, la luce e l’ombra, il maschio e la femmina, l’acqua e il fuoco. È nell’armonia fra le diversità che il mondo si regge, si riproduce, sta in tensione, vive. Per questo c’è una qualche ragione di rimpiangere il comunismo, non in quanto tale, ma in quanto alternativa, contrapposizione. Senza più quello, s’è creato oggi nel mondo uno squilibrio e la stessa parte che crede di aver vinto soffre ora di quella mancanza di tensione che dopotutto stimolava la sua creatività.


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, pp 391-392

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