lunedì 8 maggio 2017

Ricordate voi stessi - Ouspensky

D. Quando dite “ricordate voi stessi”, intendete con ciò il ricordare dopo esserci osservati, o ricordare le cose che sappiamo essere in noi?
R. No, esso va completamente separato dall’osservazione. Ricordare se stesso significa la stessa cosa che essere conscio di se stesso: “Io sono”.
Qualche volta ciò viene da sé; è una sensazione stranissima. Non è una funzione, né un pensiero, né un sentimento; è uno stato di consapevolezza diverso. Da sé viene soltanto per brevissimi momenti, generalmente in ambienti completamente nuovi, e allora uno si dice: “Che strano. Sto qui”. Questo è ricordare se stesso; in quel momento ricordate voi stessi.
Successivamente, quando cominciate a distinguere questi momenti, arrivate ad un’altra interessante conclusione: vi rendete conto che quanto ricordate della vostra infanzia sono barlumi di ricordi di voi stessi, in quanto tutto ciò che sapete dei momenti ordinari è che le cose sono accadute. Sapete che eravate là, ma non ricordate nulla con esattezza; mentre, se c’è quel lampo, allora ricordate tutto quello che circondava quel momento.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, p 15

 

 

Sulla immaginazione - Ouspensky

Tuttavia, dovete rendervi conto che la nostra macchina funziona tutt’altro che perfettamente; e ciò, a causa di parecchie funzioni sbagliate, sicché un’importantissima parte dello studio di sé è connessa con lo studio delle funzioni sbagliate. Dobbiamo conoscerle al fine di eliminarle. E una delle funzioni particolarmente sbagliate, che a volte ci piace in noi, è l’immaginazione. In questo sistema ‘immaginazione’ non significa pensiero consapevole o intenzionale su qualche soggetto, o visualizzazione di qualcosa, ma immaginazione che muta senza alcun controllo o senza alcun risultato. Essa sottrae molta energia e indirizza il pensiero in una direzione sbagliata.
D. Quando voi dite ‘immaginazione’, intendete immaginare che qualcosa è vero, non il creare delle immagini?
R. L ’immaginazione ha parecchi aspetti; può essere semplicemente comuni sogni ad occhi aperti, o per esempio, immaginare poteri inesistenti in noi stessi. E la stessa cosa, funziona senza controllo, corre da sola.
D. Ognuno di essi è illusione?
R. Uno non la prende come illusione: egli immagina qualcosa, poi ci crede e dimentica che era immaginazione.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, pp 13-14

 

 

Metodi di osservazione di sé - Ouspensky

Per cominciare lo studio di sé è necessario studiare metodi di osservazione di sé, ma questa a sua volta deve essere basata su una certa comprensione delle divisioni delle nostre funzioni. La nostra idea ordinaria di queste divisioni è completamente errata. Conosciamo la differenza tra funzioni intellettuali ed emozionali. Per esempio, quando discutiamo le cose, ci riflettiamo sopra, le confrontiamo con altre, inventiamo spiegazioni o troviamo vere spiegazioni: questo è tutto lavoro intellettuale; mentre amore, odio, paura, sospetto e così via, sono emozionali. Molto spesso però, quando cerchiamo di osservarci, confondiamo addirittura funzioni intellettuali ed emozionali; quanto realmente sentiamo, chiamiamo pensare, e quanto pensiamo chiamiamo sentire.
Ma nel corso dello studio apprendiamo in qual maniera questi differiscano. Per esempio, c’è un’enorme differenza di velocità, ma ne parleremo in seguito.
Ci sono poi altre due funzioni che nessun sistema di ordinaria psicologia divide e comprende in maniera giusta: la funzione istintiva e la funzione motrice. Quella istintiva si riferisce al lavoro interno dell’organismo: digestione del cibo, battiti del cuore, respirazione, queste sono funzioni istintive. Alle funzioni istintive appartengono anche i sensi ordinari: vista, udito, odorato, gusto, tatto, la sensazione di freddo e di caldo, cose del genere; e ciò in realtà è tutto. Tra i movimenti esterni, soltanto i riflessi semplici appartengono alla funzione istintiva, in quanto quelli più complicati appartengono alla funzione motoria. E facilissimo distinguere fra funzioni istintive e funzioni motorie. Non dobbiamo apprendere nulla di quanto appartiene alla funzione istintiva; siamo nati con le capacità di usare tutte le funzioni istintive. Le funzioni motorie, invece, debbono tutte essere apprese: un bambino impara a camminare, a scrivere, e così via. Esiste un’enorme differenza tra le due funzioni in quanto non c’è nulla di inerente nelle funzioni motorie mentre quelle istintive sono tutte inerenti.
Quindi, nell’osservazione di sé, è necessario prima di tutto dividere queste quattro funzioni e classificare immediatamente tutto ciò che osserviamo, dicendo: “Questa è una funzione intellettuale”, “Questa è una funzione emozionale” e così di seguito.
Se praticherete questa osservazione per qualche tempo, vi potrà accadere di notare alcune cose strane. Scoprirete, per esempio, che la cosa realmente difficile nell’osservazione è che ve ne dimenticate. Cominciate con l’osservare, le vostre emozioni si mettono in relazione con qualche tipo di pensiero, e voi dimenticate di osservarvi.
Un’altra volta, dopo un po’ di tempo, se continuerete nello sforzo di osservare, che è una funzione nuova non usata nella stessa maniera nel la vita ordinaria, noterete un’altra cosa interessante: generalmente non ricordate voi stessi. Se poteste essere consapevoli di voi stessi tutto il tempo, sareste sempre capaci di osservare, o in ogni caso finché ne avete voglia. Ma poiché non potete ricordare voi stessi, non vi potete concentrare; questo è il motivo per cui dovrete ammettere di non avere volontà. Se poteste ricordare voi stessi, avreste volontà e potreste fare ciò che vi piace. Ma non potete ricordare voi stessi, non potete essere consapevoli di voi stessi e perciò non avete volontà. Qualche volta potrete avere volontà per breve tempo, ma questa si rivolge verso qualcos’altro e voi la dimenticate.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, pp 10-11

 

 

L'illusione di un io unico - Ouspensky

Se cominciamo a studiarci ci imbattiamo prima di tutto in una parola che usiamo più di ogni altra: la parola ‘io’. Diciamo ‘io sto facendo’, ‘io sto seduto’, ‘io sento’, ‘io amo’, ‘io non amo’, e così di seguito. Questa è la nostra principale illusione, in quanto il maggior errore che facciamo riguardo a noi stessi è quello di considerarci come uno; parliamo di noi stessi come ‘io’, e supponiamo di riferirci sempre alla stessa cosa, mentre in realtà siamo divisi in centinaia e centinaia di ‘io’ differenti. In un certo momento, quando dico ‘io’, sta parlando una parte di me; e in un altro momento, quando dico ‘io’, è completamente un altro ‘io’ che parla. Non sappiamo di non avere soltanto un ‘io’, ma parecchi ‘io’ differenti, collegati con i nostri sentimenti e desideri, i quali non hanno un ‘io’ che li controlla. Questi ‘io’ cambiano continuamente; uno soffoca l’altro, uno rimpiazza l’altro, e tutta questa lotta forma la nostra vita interiore.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, p 9

 

 

Consapevolezza indipendente dal corpo fisico - Ouspensky

Quando, nel 1907, cominciai a scrivere A New Model of the Universe mi dissi chiaramente, come tanti altri hanno fatto prima e poi, che sotto la superficie della vita da noi conosciuta c’è qualcosa di molto più grande e importante. E aggiunsi che, finché non conosciamo maggiormente ciò che le sta dietro, tutta la nostra conoscenza della vita e di noi stessi è in realtà trascurabile. Ricordo una conversazione di quell’epoca, in cui affermai: “Se fosse possibile accettare come provato che la consapevolezza (o, come la chiamerei ora, l’intelligenza) può manifestarsi indipendentemente dal corpo fisico, parecchie altre cose potrebbero essere dimostrate. Soltanto che ciò non può essere accettato come provato”.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, p 7

 

 

Sulle sette - Gurdjieff

«Devo dirti, figliolo, che gli esseri di quel pianeta hanno da molto tempo una particolarità propria soltanto a loro: appena sorge qualche nuova havatviernone o religione, immediatamente i suoi adepti si dividono in diversi partiti, e ciascun partito costituisce ben presto una propria "setta".
L'aspetto più strano di questa particolarità è che gli esseri appartenenti a una setta non danno mai a se stessi il nome di "settari", perché questo nome sembra loro offensivo: sono chiamati "settari" solo da coloro che non appartengono alla loro setta.
Gli adepti di una setta qualsiasi sono visti dagli altri come dei settari soltanto finché non hanno a disposizione "cannoni" o "navi"; ma appena ne possiedono in quantità sufficiente, la loro singolare dottrina settaria diventa di colpo la religione dominante.


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, p 208

domenica 7 maggio 2017

Incontri con Gurdjieff - 1941-1943

È il 1941, in una Parigi devastata dalla guerra, Gurdjieff continua a insegnare nonostante i pericoli e le difficoltà del periodo. Col gruppo di lavoro che gli è stato presentato da madame De Salzmann, il maestro armeno tiene regolari incontri nel suo appartamento, durante i quali risponde su questioni pratiche del Lavoro e dà consigli specifici, esercizi e direttive.

“Le dirò un segreto: lo sforzo personale non è mai possibile tutto in una volta: è necessaria una preparazione. Fare fatica è necessario. Finché non ci riesce, uno dimentica, ricorda, dimentica, ricorda. Ma quando lei è seduta, calma, può pensare e cominciare a fare”.


La Quarta Via - Ouspensky

Apparso dieci anni dopo la morte del suo autore, La quarta via è l'esposizione più completa finora pubblicata delle idee di P. D. Ouspensky.
Il libro, che riporta fedelmente i suoi insegnamenti orali degli anni dal 1921 al 1946, sviluppa le idee già formulate in In Search of the Miraculous (uscito presso questa casa editrice col titolo Frammenti di un insegnamento sconosciuto) e offre una lucida spiegazione dell'aspetto pratico dell'insegnamento di G. I. Gurdjieff.
Questo insegnamento indica una via di sviluppo da seguire nelle condizioni normali di vita, a differenza delle altre Vie - quella del fachiro, del monaco e dello yogi - che esigono il ritiro dal mondo. Gurdjieff aveva offerto il suo insegnamento in forma grezza ed è stato compito di Ouspensky riunirlo in un tutto sistematico; e quando Ouspeusky venne a Londra si fece dovere di trasmetterlo in conferenze e discorsi.
Il primo grande libro di Ouspensky, Tertium Organum, trattava di un nuovo modo di pensare; La quarta via riguarda un nuovo modo di vivere.
In questo libro le risposte alle domande su una vasta gamma di problemi sono date con caratteristica chiarezza, semplicità e sicurezza. Questo libro sarà una guida preziosa per chi cerca non una via facile ma una vera via di crescita interiore in condizioni aperte a molti uomini e molte donne di oggi.


sabato 6 maggio 2017

Kundabuffer e Kundalini - Gurdjieff

«Ovviamente nessuna verità insegnata dal Santo Buddha si è trasmessa fino ai nostri giorni.
Eppure... sì: la metà d'una parola di cui egli si è servito è giunta fino agli esseri attuali di quell'incomparabile pianeta.
La mezza parola è giunta loro in questo modo.
Il Santo Buddha, fra le altre cose, aveva spiegato agli esseri di Perlania come e in quale parte del corpo era stato innestato presso i loro antenati il famoso organo kundabuffer.
Disse loro che l'Angelo Luisos aveva fatto crescere in un certo modo quell'organo all'estremità inferiore del cervello che la Natura ha sistemato, in loro come in noi, lungo tutta la schiena nella "colonna vertebrale".
Il Santo Buddha disse loro:
"Per quanto le proprietà di quest'organo siano state interamente distrutte nei vostri antenati, il suo supporto materiale, situato all'estremità di quel cervello, è rimasto; e trasmettendosi di generazione in generazione, si trova ancor oggi in voi.
Tuttavia questo supporto materiale non ha più in voi alcun significato, e se la vostra esistenza trascorre in modo degno di esseri tricentrici potrà con l'andar del tempo essere completamente distrutto".
E proprio quando essi cominciarono a escogitare e inventare varie forme della loro famosa "sofferenza", si misero anche a fare i loro soliti "trucchi" con questa parola nel modo seguente.
La radice della seconda metà della parola coincideva per caso con quel che nella lingua del tempo significava "riflesso". E giacché avevano immaginato anche un modo rapido per distruggere il supporto materiale - senza affatto tener conto del tempo, come invece aveva consigliato il Santo Buddha - si misero a "fare sofismi" su quel nome e svilupparono, con l'aiuto della loro contorta ragione, la seguente argomentazione: "Quando quest'organo funzionava ancora, il suo nome comprendeva la radice della parola 'riflesso'. Ma dal momento che ne distruggiamo anche la base materiale, quel nome adesso deve contenere la radice di 'antico'". Ora, nella lingua del tempo "antico" si diceva "lana"; perciò, invece della parola "kundabuffer" si veniva ad avere la parola "kundalina".
In questo modo la metà della parola kundabuffer fu conservata, e di generazione in generazione pervenne infine ai tuoi beniamini attuali, accompagnata beninteso da mille svariati commenti.
I "sapienti" attuali danno anche un nome a questa parte del midollo spinale, a partire da complicate parole latine.
Oggi tutta la pretesa "filosofia indù" è basata a sua volta sulla famosa "kundalina", ed esistono su questa parola migliaia di "scienze" occulte, segrete o rivelate, che non spiegano proprio niente.
Ma che significato diano i sapienti terrestri attuali che coltivano le cosiddette "scienze esatte" a quella parte del midollo spinale, questo, caro figliolo, è un gran mistero.
Ed è diventato un mistero perché molti secoli fa questa spiegazione scientifica aderì tutt'a un tratto, senza ombra d'un motivo, al bellissimo neo che la famosa Sheherazade, insuperabile danzatrice araba, aveva per caso appena a destra del suo delizioso ombelico.
E la "spiegazione scientifica" è rimasta lì fino ad oggi in tutta la sua integrità...


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 202-204

 

 

Pseudo-insegnamenti - Gurdjieff

«Eh, che vuoi... Caro figliolo!...
Le sofferenze volontarie e gli sforzi coscienti specialmente realizzati per loro dal Santo Buddha, che s'era rivestito d'una presenza planetaria simile alla loro, si sono da allora dimostrati inutili. A causa della loro stranezza psichica, i suoi sforzi non generarono alcun risultato del tipo di quelli che avrebbero necessariamente dovuto prodursi, ma diedero solo origine a "pseudo-insegnamenti" di vario genere, come quelli che ai nostri giorni esistono laggiù sotto i nomi di "occultismo", "teosofia", "spiritualismo", "psicoanalisi" eccetera...; e che ora come allora sono solo mezzi per "mistificare" il loro psichismo, che del resto è già sin troppo mistificato così com'è...


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, p 202

Sofferenza Volontaria - Gurdjieff

Un giorno, nella cerchia dei suoi più stretti iniziati, il Santo Buddha parlò in termini precisi d'un mezzo con cui essi avrebbero potuto distruggere nella propria natura le conseguenze delle proprietà dell'organo kundabuffer trasmessesi per eredità.
Disse fra l'altro: "Uno dei mezzi migliori per rendere inoffensive le predisposizioni dovute alla cristallizzazione delle conseguenze delle proprietà dell'organo kundabuffer nelle vostre nature è la 'sofferenza volontaria'; e la più grande 'sofferenza volontaria' che noi possiamo suscitare nelle nostre presenze è quella di costringerci a sopportare le sgradevoli manifestazioni altrui nei nostri confronti".
Questa spiegazione del Santo Buddha venne diffusa tra gli esseri ordinari, insieme con altri precetti, dai suoi più stretti iniziati, e quando questi ultimi ebbero subito il sacro processo del "raskuarno" continuò a trasmettersi di generazione in generazione.
Come già ti ho detto, figliolo dopo il disastro di Atlantide una particolarità detta "bisogno organo-psichico di cercare mezzogiorno alle tre" s'era fissata nello psichismo di quegli esseri tricentrici. E sotto l'influsso di questa particolarità gli esseri della seconda e della terza generazione successiva ai contemporanei del Santo Buddha si misero a loro volta, per sventura di tutti gli esseri terrestri tricerebrali presenti e futuri, a cercare sempre più tenacemente "mezzogiorno alle tre"riguardo al consiglio del Santo Buddha, formandosene infine una particolare concezione, che si trasmise a sua volta alle generazioni successive, secondo cui la "sopportazione" doveva assolutamente praticarsi nella più completa solitudine.
[..]

 «Ebbene, figliolo, dal momento in cui si sparse laggiù questa specifica concezione, alcuni tuoi beniamini abbandonarono deliberatamente le condizioni già stabilite d'esistenza esserica ordinaria a causa delle quali si era rinforzata la predisposizione a cristallizzare nelle loro presenze le conseguenze delle proprietà dell'organo kundabuffer.
E tuttavia, come presumeva il Divino Maestro Buddha, queste condizioni erano le sole in cui la "sopportazione" delle sgradevoli manifestazioni altrui potesse cristallizzare nella loro presenza le realizzazioni volontarie dette "partk-dolg-doveri esserici", che sono necessarie in generale a tutti gli esseri tricentrici e senza le quali non è possibile alcun "perfezionamento di sé".
Così per sopportare la loro famosa "sofferenza", numerosi esseri tricerebrali del tuo pianeta, sia isolatamente sia in gruppi, vale a dire con quelli che la pensavano come loro, si ritirarono dalla società dei loro simili.
Fondarono persino a questo scopo alcune speciali colonie organizzate sulla base di un'esistenza in comune, ma nelle quali tutto era stato previsto in modo tale da permetter loro di acquisire la "sopportazione" in solitudine.
Comparvero così per la prima volta i loro famosi "monasteri , di cui alcuni esistono ancora ai nostri giorni, dove i tuoi beniamini vanno, come dicono, a "salvarsi l'anima".


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 196-198