mercoledì 28 giugno 2017

Sui sapienti - Gurdjieff

Devo dirti anzitutto che le informazioni relative agli avvenimenti che sto per raccontarti mi sono state date da esseri tricerebrali di laggiù qualificati dai loro simili come "sapienti".
A questo punto prima di proseguire è importante che io ti precisi quali sono gli esseri del tuo pianeta che gli altri chiamano "sapienti".
Di fatto, ben prima del mio quinto soggiorno laggiù, prima del periodo in cui, come già ti ho detto, Babilonia era in piena fioritura, quelli che venivano ritenuti "sapienti" dagli altri non rassomigliavano affatto a tutti gli esseri che nell'intero Universo si rendono realmente degni d'essere considerati sapienti; vale a dire quegli esseri che acquisiscono, innanzi tutto grazie ai loro sforzi coscienti e alle loro sofferenze volontarie, la facoltà di contemplare ogni dettaglio di tutto ciò che esiste in rapporto all'origine del mondo e all'esistenza del mondo, cosa che permette loro di perfezionare i propri corpi superiori sino al grado voluto dalla sacra Scala di Misura della Ragione oggettiva, al fine d'essere più tardi capaci di sentire le verità cosmiche secondo il livello di realizzazione dei loro corpi esserici superiori.
Ma dal tempo della civiltà tikliamuishiana e più particolarmente ai nostri giorni, "sapienti" sono quasi sempre gli esseri che "ripetono" indefessamente la maggior quantità possibile di vuote informazioni d'ogni sorta, simili alle tiritere delle vecchiette su ciò che secondo loro si diceva nel buon tempo antico.
Sappi a questo riguardo che il nostro stimabile Mullah Nassr Eddin coglie il valore dei sapienti di laggiù con questo detto:
"Tutti parlano dei 'sapienti' come di chi sa che cinquanta è la metà di cento".
Laggiù sul tuo pianeta, quanto più uno dei tuoi beniamini immagazzina nozioni che non ha mai verificate, e ancor meno vissute e sentite, tanto più viene considerato dagli altri un "sapiente".



G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, p 259

La battaglia di cinque contro uno - Gurdjieff

In tutti i casi, figliolo, quali che siano i risultati dell'attività di quei rappresentanti attuali della "scienza", non è il caso di prendersela con loro. Se non sono di alcuna utilità per i tuoi beniamini, non sono neppure molto dannosi. Bisogna pur che facciano qualcosa, in un modo o nell'altro.
Non per nulla portano sempre occhiali di fabbricazione tedesca e palandrane di taglio inglese.
Dopo tutto, lasciamoli ai loro giochini! Che il Creatore sia con loro!
Altrimenti finirebbero anch'essi, come accade quasi sempre agli "originali" che si occupano laggiù di "questioni elevate", per ammazzare il tempo conducendo la battaglia di "cinque-contro-uno".
Ed è noto che quando gli esseri si dedicano a quest'esercizio, emettono vibrazioni estremamente malsane per chi li circonda.



G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 234-235

hexioekhari - Gurdjieff

La sostanza sacra che si elabora nella presenza di tutti gli esseri viene quasi dappertutto chiamata "hexioekhari"; sul pianeta Terra, i tuoi beniamini la definiscono "sperma".
Secondo la misericordiosissima previdenza e il comandamento del Nostro Padre Creatore Comune e secondo la realizzazione della Grande Natura, questa sacra sostanza si forma nella presenza di tutti gli esseri, senza distinzione di "sistema di cervelli" né di rivestimento esteriore, affinché tutti possano compiere coscientemente o automaticamente, per suo tramite, la parte del loro dovere esserico che consiste nella continuazione della specie; ma nella presenza degli esseri tricerebrali, essa si costituisce anche perché sia trasformata coscientemente a favore del proprio essere, rivestendone i corpi esserici superiori.
Prima della seconda perturbazione transapalniana – che gli esseri contemporanei definiscono come "scomparsa del continente Atlantide" - al tempo in cui diverse conseguenze delle proprietà dell'organo kundabuffer cominciavano a cristallizzarsi nella loro presenza, si formò in loro poco per volta un impulso esserico divenuto in seguito dominante.
Per soddisfare quest'impulso detto oggi "godimento", essi presero ad esistere in modo indegno d'esseri tricentrici, e quasi tutti pian piano cominciarono ad utilizzare l'emissione di questa sostanza esserica sacra per il puro e semplice soddisfacimento di quell'impulso.

«Ebbene, figliolo, la maggior parte degli esseri tricerebrali del pianeta Terra da quel momento si mise a provocare l'emissione della sostanza, che in loro si elabora continuamente, fuori dei periodi normalmente stabiliti dalla Grande Natura, in modo conforme all'organizzazione degli esseri, con l'unico fine di continuare le singole specie; e poiché nella stragrande maggioranza avevano anche cessato di utilizzarla coscientemente per il rivestimento dei loro corpi esserici superiori, accadde che quando non la eliminavano con i mezzi divenuti a quel tempo per loro meccanici, provavano naturalmente uno stato detto "sirklinimana", che essi avrebbero descritto come "stare a disagio nella propria pelle" - stato che si accompagna invariabilmente a una "sofferenza meccanica". Mi ricorderai a tempo debito di spiegarti nei particolari tutto quel che concerne il periodo, cui ho fatto allusione, stabilito dalla Natura affinché gli "esseri di diversi sistemi di cervelli" si dedichino al normale processo di utilizzazione degli "hexioekhari" in vista della continuazione della specie.
Orbene questi esseri sono, come noi, dei puri e semplici esseri keschapmartniani, per cui di norma la sacra sostanza che si produce in loro in maniera continuativa deve essere emessa esclusivamente con il sesso opposto, per la continuazione della specie tramite il sacro processo di "elmuarno". Ma gli esseri tricerebrali fortunosamente sfuggiti al disastro non avevano l'abitudine di usare la sostanza per il rivestimento dei corpi esserici superiori, e poiché a quei tempi vivevano già in modo indegno d'esseri tricentrici, trovandosi obbligati a rimanere per molti dei loro anni separati dal sesso opposto, al fine di emettere la sacra sostanza hexioekhari fecero man mano ricorso a diversi procedimenti contro natura.
Gli esseri di sesso maschile ricorsero a processi contro natura detti "murdurten" e "androperastia", anomalie che sulla Terra vengono dette "onanismo" e "pederastia", e ne rimasero interamente soddisfatti.



G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 223-224

 

 

lunedì 26 giugno 2017

Sviluppo dell'uomo - Ouspensky

A questo punto sorge naturalmente la domanda: perché è così difficile per un uomo cominciare col cambiare se stesso, arrivare alla possibilità di crescere? Perché, vedete, dovete ricordare che l’uomo è creato dalla natura in una maniera assai interessante. Egli è sviluppato fino a un certo punto; dopo questo punto deve svilupparsi da sé. La natura non sviluppa l’uomo oltre un certo punto. In seguito apprenderemo nei particolari fino a che punto l’uomo è sviluppato e come deve comincia re il suo sviluppo successivo;


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, p 32

 

 

Influenze e centro magnetico - Ouspensky

Tutte le persone in condizioni ordinarie di vita vivono sotto due tipi di influenze. Prima vengono le influenze create nella vita: desiderio di ricchezza, di fama e così via, che chiameremo influenze A. Poi ci sono altre influenze che provengono dalla vita esterna, che funzionano nelle stesse condizioni sebbene siano diverse, e noi le chiamiamo influenze B.
Queste raggiungono l’uomo sotto forma di religione, letteratura o filosofia. Queste influenze del secondo tipo sono consce all’origine. Le influenze A sono meccaniche fin dal principio. L’uomo può imbattersi in queste influenze B, o passarci accanto senza nemmeno notarle, o può udirle e credere di comprenderle, usare le parole e al tempo stesso non averne alcuna comprensione. Queste due influenze determinano vera  mente il successivo sviluppo dell’uomo. Se l’uomo accumula influenze B, i risultati di queste influenze si cristallizzano in lui (uso la parola cristallizzarsi nel senso comune) e formano in lui un certo tipo di centro di attrazione che noi chiamiamo centro magnetico.
Questa massa compatta di ricordi e queste influenze lo attraggono in una determinata direzione o gli fanno prendere un’altra direzione.
Quando si è formato il centro magnetico in un uomo sarà più facile per lui attirarsi più influenze B e non essere distratto da influenze A.
Nelle persone ordinarie le influenze A possono prendere una tale quantità del loro tempo che nulla è lasciato alle altre influenze ed esse sono scarsamente influenzate dalle influenze B. Ma, se questo centro magnetico nell’uomo cresce, allora dopo un po’ di tempo egli incontra un altro uomo, o un gruppo di persone, da cui può apprendere qualcosa di diverso, qualcosa che non è incluso nelle influenze B e che noi chiamiamo influenza C. Quest’influenza è conscia nell’origine e nell’azione e può essere trasmessa soltanto mediante istruzioni dirette. Le influenze B possono venire tramite libri e opere d ’arte e qualcosa del genere, ma l’influenza C può venire soltanto mediante contatto diretto. Se un uomo in cui è cresciuto il centro magnetico incontra un uomo o un gruppo tramite i quali egli viene in contatto diretto con l’influenza C, ciò significa che egli ha fatto il primo passo. Allora esiste per lui possibilità di sviluppo.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, pp 31-32

 

 

Il male è sempre meccanico - Ouspensky

Un altro importantissimo problema da considerare è l’idea di bene e di male in questo sistema, perché generalmente le idee della gente su questo argomento sono assai confuse ed è necessario che stabiliate da voi stessi come comprenderle. Dal punto di vista del sistema ci sono due cose soltanto che possono essere confrontate e viste nell’uomo: la manifestazione delle leggi meccaniche e la manifestazione della consapevolezza. Se volete trovare esempi di ciò che potete chiamare bene o male, per arrivare ad un certo standard, vedrete immediatamente che quanto noi chiamiamo male è sempre meccanico, non può mai essere consapevole; e ciò che chiamiamo bene è sempre consapevole, non può essere meccanico. Ci vorrà molto tempo prima di scorgere la ragione di ciò, in quanto queste idee di meccanico e di consapevole sono confuse nella nostra mente. Non le descriviamo mai nella maniera giusta, questo è quindi il prossimo punto che voi dovete considerare e studiare.

[..]
Cercate di collegare nella vostra mente quanto ho detto circa lo studio di bene e male, meccanicità e consapevolezza, morale e coscienza, e poi ponetevi la domanda: “È possibile il male conscio?”. Ciò richiederà studio e osservazione, ma dal punto di vista del sistema esiste un principio ben preciso che il male conscio è impossibile; la meccanicità deve essere inconscia.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, pp 28-29



Importanza della Legge del Sette - Ouspensky

Il motivo per cui è necessario comprendere la Legge del Sette è che essa ha una parte importantissima in tutti gli eventi. Se non ci fosse la Legge del Sette ogni cosa nel mondo andrebbe alla sua conclusione finale, mentre per effetto di questa legge, ogni cosa devia. Per esempio, se cominciasse la pioggia essa proseguirebbe senza fermarsi, se cominciassero le alluvioni esse sommergerebbero tutto, se cominciasse un terremoto esso proseguirebbe indefinitamente. Invece essi si fermano per effetto della Legge del Sette, perché in ciascun semitono mancante le cose deviano, non vanno avanti in linee rette. La Legge del Sette spiega anche perché non esistono linee rette in natura.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, p 26

 

 

giovedì 22 giugno 2017

Lei legge solo con la testa - Gurdjieff

Simone: Un po’ di tempo fa ho ricominciato a leggere, ma trovo in me quel che mi ha sempre impedito di lavorare, una sorta di avidità che mi lascia stanca poco dopo, senza che mi sia rimasto niente. Così mi accorgo di aver sprecato del tempo.

Gurdjief: Questo perché lei legge solo con la testa. Faccia un esercizio: legga poco, una pagina alla volta. All’inizio deve provare a capire con la sua testa, poi sentire e poi farne esperienza Poi torni indietro, e pensi. Si eserciti a leggere con i suoi tre centri. In ogni libro c’è materiale per arricchire sé stessi. Non importa cosa legge e quanto legge, ma solo la qualità del modo in cui lo fa.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, p 26

Più si è coscienti e meno si soffre - Gurdjieff

Domanda: Ho lavorato soprattutto sull’amore per sé stessi.

Gurdjieff: Senza amore per sé stessi non si può fare niente. Ci sono due diverse qualità di amore per sé stessi. La prima è qualcosa di sporco, l’altra è un impulso, l’amore del vero “Io”. Senza questo è impossibile muoversi. Un antico detto hindu dice: “Felice è chi ama sé stesso, perché può amare me”. Vedo dal resoconto di Madame De Salzmann che nessuno di voi mi ha capito. Vedete, c’è bisogno di fuoco. Senza fuoco non ci sarà mai niente. Questo fuoco è sofferenza, sofferenza volontaria, senza la quale non è possibile creare alcunché. Bisogna prepararsi, bisogna sapere che cosa ci farà soffrire e, quando questa cosa si presenta, farne uso. Solo lei può prepararsi, solo lei sa cosa la fa soffrire, cosa crea il fuoco che cuoce, che cementa, che cristallizza, che fa. Soffra per i suoi difetti, per il suo orgoglio, per il suo egoismo. Ricordi a sé stesso qual è lo scopo. Senza una sofferenza volontaria non accade niente, perché più si è coscienti e meno si soffre. Senza una sofferenza volontaria non avviene alcun processo ulteriore, niente. È per questo che la sua_coscienza deve preparare ciò che le serve. Lei è in debito con la natura. Per il cibo che mangia, che nutre la sua vita. Deve pagare per queste sostanze cosmiche. Ha un debito, ha un obbligo che deve ripagare con il lavoro consapevole. Non mangi come un animale. ripaghi la natura per quello che le ha dato. La natura, sua madre. Il lavoro — goccia, dopo goccia, dopo goccia — accumulato nel corso di giorni, mesi, anni, secoli forse
darà qualche risultato.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, pp 21-22

Lei non vale niente - Gurdjieff

Domanda: Ho fatto questo esercizio fino a farmi dolere le spalle. Facendolo, ho avuto la sensazione di “Io”. Mi mo sentito separato, davvero “Io”.

Gurdjieff: Non può avere “Io”. “Io” è una cosa molto costosa, mentre lei non vale niente. Non filosofeggi, non mi interessa, e non mi parli di “Io”. Faccia l’esercizio come un servizio, come un obbligo, non per qualche risultato, come “Io”. I risultati verranno in seguito. Oggi è solo un servizio, solo questo è reale.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, p 20

In che modo bisognerebbe pregare? - Gurdjieff

Domanda: In che modo bisognerebbe pregare?

Gurdjieff: Glielo spiegherò, ma più in là. Nel nostro Sistema Solare ci sono sostanze che vengono emanate dal Sole e dai pianeti, allo stesso modo di quelle emanate dalla Terra, che entrano in contatto in certi punti del Sistema Solare. E questi punti possono riflettersi in immagini materializzate, che sono le immagini invertite dell’Altissimo — l’Assoluto. Posso dirle che esiste sempre un’immagine materializzata nella nostra atmosfera. Se le persone si concentrassero abbastanza per entrare in contatto con questa immagine, potrebbero riceverne l’essenza. Potrebbero stabilire una linea telepatica, come un telefono.


G.I.Gurdjieff - Incontri con Gurdjieff - 1941-1943, p 18

mercoledì 21 giugno 2017

I sette tipi di uomo - Ouspensky

L’uomo, in relazione alle funzioni e agli stati di consapevolezza e dal punto di vista della sua possibile evoluzione, è diviso in sette categorie.
Le persone nascono soltanto in una delle prime tre categorie. Una persona in cui predomina la funzione istintiva o motoria, e in cui le funzioni intellettuali ed emozionali sono meno sviluppate, è chiamata uomo n. 1; ma se la funzione emozionale predomina sulle altre funzioni, è chiamata uomo n. 2; e, se predomina la funzione intellettuale, egli è uomo n. 3. Oltre questi tre tipi di uomo, ma non nato come tale, c’è l’uomo n. 4. Ciò significa l’inizio del mutamento, principalmente nella consapevolezza, ma anche nella conoscenza e capacità di osservazione. Poi vie ne l’uomo n. 5 che ha già sviluppato in se stesso il terzo stato di consapevolezza, cioè la consapevolezza di sé, ed in cui agisce la funzione emozionale superiore. Poi viene l’uomo n. 6, ed infine l’uomo n. 7, che ha piena consapevolezza obiettiva e nel quale opera la funzione intellettuale superiore.

[..]
Cercate di riflettere un po’ sulle caratteristiche di queste sette categorie di uomo. Per esempio, quali potrebbero essere le caratteristiche generali dell’uomo 1, 2, 3? Prima di tutto il sonno. L’uomo 1, 2 e 3, prima di cominciare a studiare se stesso in collegamento con qualche sistema che gli dia la possibilità dello studio di sé, trascorre tutta la sua vita nel sonno. Egli ha l’aspetto di uno che è desto, ma in realtà non è mai sveglio, oppure occasionalmente si sveglia per un momento, si guarda attorno e ricade nel sonno. Questa è la prima caratteristica dell’uomo 1, 2 e 3. La seconda caratteristica sta nel fatto che, sebbene egli abbia parecchi ‘io’ differenti, alcuni di questi ‘io’ non si conoscono nemmeno tra loro. L’uomo può avere atteggiamenti ben definiti, convinzioni precise, punti di vista ben definiti e d ’altra parte può avere convinzioni affatto differenti, punti di vista completamente diversi, simpatie e antipatie completamente diverse, e uno di essi non conosce l’altro. Questa è una delle principali caratteristiche dell’uomo 1, 2 e 3.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, pp 23-24 

 

 

Ricordo di se stessi e risveglio - Ouspensky

Per me personalmente, da principio, l’idea più interessante era quella del ricordare se stessi. Proprio non potevo capire come alla gente po tesse sfuggire una cosa del genere. A tutta la filosofia e psicologia europea era sfuggito questo punto. Ne esistono tracce in vecchi insegnamenti, ma sono così ben occultate e poste tra cose meno importanti che non potete afferrare l’importanza dell’idea.
Quando cerchiamo di tenere a mente queste cose e di osservare noi stessi, arriviamo alla ben definita conclusione che nello stato di coscienza in cui ci troviamo, con tutta questa identificazione, considerare, emozioni negative e assenza di ricordare se stessi, siamo veramente addormentati. Immaginiamo di essere svegli. Perciò, quando cerchiamo di ricordare noi stessi, ciò significa una sola cosa: cerchiamo di svegliarci. E ci svegliamo per un secondo ma poi ricadiamo nel sonno. Questo è il nostro stato di essere, quindi in realtà siamo addormentati. Ci possiamo svegliare soltanto se correggiamo parecchie cose nella macchina e se lavoriamo tenacemente e per molto tempo sull’idea del risveglio.

[..]
Esistono parecchie cose interessanti in relazione a ciò. Il gruppo da me incontrato a Mosca usava metafore e parabole orientali, e una del le cose di cui essi amavano parlare era la prigione: quell’uomo sta in prigione, cosa gli può quindi piacere, cosa può desiderare? Se è un uomo più o meno sensibile, egli può volere soltanto una cosa: evadere.
Ma ancor prima che egli possa formulare questo desiderio, che desidera evadere, deve divenir conscio di essere in prigione. Poi, quando formula questo desiderio, egli comincia a rendersi conto delle possibilità di fuga, e comprende che, da solo, non può evadere perché è necessario scavare sotto i muri e cose del genere. Egli si rende conto che, prima di tutto, deve avere qualche persona che desideri fuggire con lui:un piccolo gruppo di persone. Egli si rende quindi conto che un certo numero di persone può forse fuggire. Ma non tutti possono evadere.

[..]
Ripeto, non tutti possono fuggire. Esistono parecchie leggi contro ciò. Per dirla in parole povere, ciò sarebbe troppo osservabile e produrrebbe immediatamente una reazione da par te delle forze meccaniche.

D. Il desiderio di evadere è istintivo, non è vero?

R. No, Soltanto il lavoro interiore dell’organismo è istintivo. Deve essere intellettuale o emotivo, perché la funzione istintiva appartiene in realtà alle funzioni inferiori, quelle fisiche. Tuttavia, in qualche occasione, ci può essere un desiderio fisico di evasione. Supponiamo che faccia troppo caldo nella stanza e che sappiamo che fuori fa fresco; indubbia mente possiamo desiderare di uscirne. Ma il rendersi conto di essere in prigione, e che esiste la possibilità di evadere, richiede ragione e senti mento.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, pp 21-22

 

 

Osservazione, identificazione e attaccamento - Ouspensky

D. Non avete parlato dell’identificazione. Posso fare una domanda su di essa?

R. Prego. Ma non tutti i presenti ne hanno sentito parlare, perciò spiegherò un po’. Vedete, quando cominciamo a osservare in particolare le emozioni, ma in realtà anche tutte le altre funzioni, troviamo che tutte le nostre funzioni sono accompagnate da un certo atteggiamento: diveniamo troppo assorbiti dalle cose, troppo persi nelle cose, specialmente quando compare anche il più piccolo elemento emotivo. Ciò è chiamato identificazione. Ci identifichiamo con le cose. Non è una parola molto esatta, ma in inglese non ce n’è una migliore. L’idea di identificazione esiste negli scritti indiani e i Buddisti parlano di attaccamento e non attaccamento. Queste parole mi sembrano ancor meno soddisfacenti per ché, prima di incontrare questo sistema, le ho lette e non le ho comprese, o piuttosto ho compreso, ma ho colto l’idea intellettualmente.
Compresi perfettamente soltanto quando trovai la stessa idea espressa in russo e in greco da primitivi scrittori cristiani. Essi hanno quattro paro le per quattro gradi di identificazione, ma ciò non è ancora necessario per noi. Noi cerchiamo di comprendere l’idea non mediante la definizione ma mediante l’osservazione. E una certa qualità di attaccamento: essere perduti nelle cose.

D. Si perde il senso dell’osservazione?

R. Quando si diviene identificati non si può osservare.

D. Comincia di solito con l’emozione? C’entra in questo la possessività?

R. Sì. Parecchie cose. Essa comincia prima con l’interesse. Siete interessati in qualche cosa e il momento dopo siete in essa e non esistete più.

D. Ma se si pensa e si è consci dello sforzo di pensare, ciò salva dall’identificazione? Non si possono fare le due cose assieme, vero?

R. Sì, ciò salva per un momento, ma il momento successivo arriva un altro pensiero e vi porta via. Non c’è quindi garanzia. Dovete stare sempre in guardia contro di essa.

D. Quali emozioni negative è più facile esaltare?

R. Alcuni sono molto orgogliosi della loro irritabilità o eccitabilità o qualcosa del genere. Amano essere ritenuti dei durissimi. Non esiste praticamente emozione negativa che non possiate godervi e questa è la cosa più difficile di cui rendersi conto. In realtà alcune persone ricavano ogni loro piacere da emozioni negative.
L ’identificazione in rapporto alla gente prende una forma speciale che, in questo sistema, è chiamata considerare. Ma considerare può es sere di due tipi. Quando consideriamo i sentimenti degli altri e quando consideriamo i nostri. Consideriamo principalmente i nostri sentimenti.
Li consideriamo soprattutto nel senso che la gente in qualche modo non ci stima abbastanza o ci sottovaluta, o non è troppo riguardosa con noi. Troviamo parecchie parole per dirlo. Questo è un importantissimo aspetto dell’identificazione da cui è difficilissimo liberarsi; alcuni sono totalmente in suo potere. Comunque, è importante osservare il considerare.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, pp 19-21 

 

 

Sull'emozioni negative - Ouspensky

[..]
Come ho detto, il primo passo sta nel cercare di non esprimere queste emozioni negative; il secondo passo è lo studio delle emozioni negative stesse, facendone elenchi, scoprendo le loro relazioni - in quanto al cune sono semplici e alcune complesse - e cercando di comprendere che sono assolutamente inutili. Può sembrare strano, ma è importantissimo comprendere che tutte le emozioni negative sono assolutamente inutili; non servono ad alcuno scopo utile; non ci danno la conoscenza di cose nuove e non ci portano più vicini a cose nuove; non ci danno energia,non fanno altro che consumare energia e creare illusioni spiacevoli. Arrivano persino a rovinare la salute fisica.
In terzo luogo, dopo una certa quantità di studio e di osservazione è possibile arrivare alla conclusione che possiamo liberarci delle emozioni negative, che non sono obbligatorie. Qui il sistema è di aiuto per ché mostra che in realtà non esiste un centro reale per le emozioni negative, ma che esse appartengono ad un centro artificiale in noi, che noi creiamo nell’infanzia imitando persone con emozioni negative da cui siamo circondati. Alcuni addirittura insegnano ai bambini ad esprimere emozioni negative. Poi i bambini apprendono ancora di più con l’imitazione, essi imitano bambini più anziani; questi imitano gli adulti e così, già in età giovanissima, divengono professori di emozioni negative.
E una gran liberazione quando cominciamo a comprendere che non esistono emozioni negative obbligatorie. Siamo nati senza di esse, ma per qualche ignota ragione insegniamo a noi stessi emozioni negative.

D. Per essere liberi dalle emozioni negative, dobbiamo essere capaci di impedire che sorgano?

R. Questo è sbagliato, perché non possiamo controllare le emozioni.
Ho già parlato della diversa rapidità di funzioni differenti. La funzione intellettuale è la più lenta. Poi vengono la funzione motoria e istintiva, che hanno una velocità approssimativamente uguale, e che è enorme mente più rapida di quella intellettuale. La funzione emotiva dovrebbe essere ancora più veloce, ma generalmente funziona pressappoco alla stessa velocità di quella istintiva. Quindi le funzioni motorie, istintive ed emozionali sono assai più rapide del pensiero ed è perciò impossibile cogliere le emozioni col pensiero. Quando ci troviamo in uno stato emotivo, esse si succedono così rapidamente da non darci il tempo di pensare. Ma possiamo avere un’idea della differenza di rapidità confrontando le funzioni del pensiero con quelle motorie. Se, effettuando qualche rapido movimento, cercate di osservare voi stessi, vedrete che non potete. Il pensiero non può seguire il movimento. O dovete fare il movimento lentissimamente o non potete osservare. Questo è un fatto certo.


P. D. Ouspensky, La Quarta Via, pp 17-18

 

 

Immaginiamo noi stessi - Ouspensky

D. Mi interessa la faccenda dell’immaginazione. Suppongo significhi che, nell’impiego comune della parola, si stava usando il significato sbagliato?
R. Nel significato comune di immaginazione manca il fattore più importante, mentre nella terminologia di questo sistema cominciamo con ciò che è più importante. Il più importante fattore in ogni funzione è: “Sta sotto il nostro controllo o no?”. Perciò, quando l’immaginazione è sotto il nostro controllo, non la chiamiamo nemmeno immaginazione; le diamo vari nomi: visualizzazione, pensiero creativo, pensiero inventivo; possiamo trovare un nome per ciascun caso speciale. Ma quando questa viene da sola e ci controlla, sicché siamo in suo potere, allora la chiamiamo immaginazione.
Ancora una volta esiste un altro aspetto dell’immaginazione che ci sfugge nella comprensione ordinaria. Esso è che immaginiamo cose inesistenti: per esempio, capacità inesistenti. Ci attribuiamo poteri che non abbiamo, immaginiamo di essere consci di noi stessi sebbene non lo sia  mo. Abbiamo poteri immaginari, immaginaria consapevolezza di noi stessi, e immaginiamo di essere un ‘io’ unico, mentre in realtà siamo tanti ‘io’ differenti. Esistono parecchie cose del genere che immaginiamo di poter ‘fare’, di avere una scelta; non abbiamo scelta, non possiamo ‘fare’: le cose semplicemente ci accadono.
Perciò, in realtà, immaginiamo noi stessi. Non siamo ciò che ci immaginiamo di essere.
D. C’è qualche differenza tra immaginazione e sogno ad occhi aperti?
R. Se non potete controllare il sognare ad occhi aperti ciò significa che esso fa parte dell’immaginazione; ma non tutto. L’immaginazione ha parecchi aspetti diversi. Immaginiamo stati inesistenti, possibilità inesistenti, poteri inesistenti.
D. Mi potreste dare una definizione di immaginazione negativa?
R. L’immaginare ogni genere di cose spiacevoli, il tormentare se stessi, l’immaginare tutte le cose che possono accadere a voi o ad altri, roba di questo genere; essa prende forme diverse. Alcune persone immaginano svariate malattie, altre immaginano incidenti, altre ancora immaginano sventure.


 P. D. Ouspensky, La Quarta Via, pp 16-17

 

 

lunedì 19 giugno 2017

Tiziano Terzani - La scienza, il nuovo "oppio dei popoli"

Nessuno ha più risposte che contano, perché nessuno pone più le domande giuste. Tanto meno la scienza, che in Occidente è stata asservita ai grandi interessi economici e messa sull'altare al posto della religione. Così lei stessa è diventata l' "oppio dei popoli", con quella sua falsa pretesa di saper prima o poi risolvere tutti i problemi. La scienza è arrivata a clonare la vita, ma non a dirci che cos'è la vita. La medicina è riuscita a rimandare la morte, ma non a dirci cosa succede dopo la morte. O sappiamo forse davvero che cosa permette ai nostri occhi di vedere e alla nostra mente di pensare?
Eppure, grazie alla grande fiducia che abbiamo nella scienza, diamo ormai tutto per scontato. Si crede di sapere e non si sa. Ci si accontenta dunque di non sapere, convinti che presto si saprà. Qualcuno se ne sta certo occupando! La popolazione aumenta, esaurendo le risorse della Terra, l'acqua innanzitutto? Sicuramente la scienza risolverà anche questo problema. Milioni di esseri umani patiscono la fame in gran parte del mondo? Rimettiamoci alla modificazione genetica di certi semi che presto produrranno raccolti miracolosi e magari anche... nuovi tipi di cancro.
Viviamo come se questo fosse il solo dei mondi possibili, un mondo che promette sempre una qualche felicità. Una felicità a cui ci avvicineremo con un progresso fatto sostanzialmente di più istruzione (che istruzione!), più benessere, e ovviamente più scienza. Alla fine dei conti tutto sembra ridursi a un problema di organizzazione, di efficienza. Che illusione! Ma è così che ci siamo tarpati le ali della fantasia, che abbiamo messo il bavaglio al cuore, che abbiamo ridotto tutto il mondo al solo mondo dei sensi, con questo negandoci l'altra metà.
Per i saggi, specie quelli indiani, il mondo visibile non è mai stato l'intera realtà, ma solo una parte. E nemmeno la parte più importante, dal momento che è mutevole e sempre in balia del distruttivo scorrere del tempo.
Eppure, a volte basta poco per rendersi conto anche del resto. Tagore, il grande poeta bengalese, lo dice con una semplice similitudine. Una sera è a bordo di una casa galleggiante sul Gange e al lume di candela legge un saggio di Benedetto Croce. Il vento fa spegnere la fiamma e improvvisamente la stanza è invasa dalla luce della luna. E Tagore scrive:

La bellezza era tutta attorno a me,
Ma il lume dì una candela ci separava.
Quella piccola luce impediva
Alla bella, grande luce della luna di raggiungermi

La nostra vita quotidiana è piena di piccole luci che ci impediscono di vederne una più grande. Il campo della nostra mente si è ristretto in maniera impressionante. Così come si è ristretta la nostra libertà. Quello che facciamo è soprattutto reagire. Reagiamo a quello che ci capita, reagiamo a quello che leggiamo, che vediamo alla TV, a quello che ci viene detto. Reagiamo secondo modelli culturali e sociali prestabiliti. E sempre di più reagiamo automaticamente. Non abbiamo il tempo di fare altro. C'è una strada già tracciata. Procediamo per quella.
Nell'ashram non era così. Si aveva il tempo di vivere con attenzione ogni momento. Ci si esercitava ad agire, non a reagire; a tenere all'erta la mente, a essere consapevoli di ogni gesto. Delle zanzare mi ronzavano attorno agli orecchi? Facile reagire distrattamente, sovrappensiero, con una manata. Mi costringevo invece a non ucciderle. E mi piaceva.
Sì, l'ashram era, per tanti versi, uno strano posto. Strano certo per me che, abituato da una vita a stare in mezzo alla gente e a scorrazzare per il mondo per raccontarne le storie e i mille problemi, improvvisamente mi ritrovavo lì, isolato da tutto, senza radio, senza televisione, senza giornali, con un unico problema su cui riflettere, ora dopo ora, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana: «Io, chi sono?»


sabato 17 giugno 2017

Chiaroveggenza - la si acquisisce con l'amore

Non cercate la chiaroveggenza con i mezzi e i metodi dell'occultismo, poiché la vera chiaroveggenza e i veri occhi si trovano nel cuore: è l'amore che apre gli occhi. La donna che ama un uomo vede in lui cose che nessun altro vede, e se lo trova simile a una divinità, non ditele che s'inganna. Oggettivamente, senza dubbio ella si sbaglia; ma se pare che esageri le virtù e le bellezze dell'uomo che ama, è perché lo vede come Dio lo ha creato in origine, o come sarà quando ritornerà in seno all'Eterno. Ancora non si è compresa la potenza dell'amore che apre gli occhi dell'anima. Chi vuole diventare chiaroveggente deve imparare ad amare. È necessario che il suo cuore invochi l'aiuto, come i ciechi del Vangelo che imploravano Gesù: «Abbi pietà di noi, Figlio di David!». Lanciate un appello, e un giorno la luce cosmica verrà e vi chiederà: «Cosa vuoi che faccia per te? – Fa' che i miei occhi si aprano!». E sarete esauditi: i vostri occhi si apriranno.

 Omraam Mikhaël Aïvanhov