Interventi di Piero Schepis su Gurdjieff
 
GEORGE IVANOVITCH GURDJIEFF e IL LAMA DORDJIEFF
 
G. I. Gurdjieff nacque negli anni 1860 o 1870 (i biografi, pur senza
 
sicurezza, indicano generalmente la data del 1866) ad Alexandropol
 
nell’Armenia Russa, cioè  in una zona di frontiera, dove un padre prudente
 
preferi' non registrare la nascita del proprio figlio. La madre era
 
armena; il padre Ioannas Giorgiades, discendente dai Greci Ionici di
 
Cesarea, prima allevatore di bestiame, poi  commerciante di legname e
 
falegname,  era anche un “ashok”, poeta-bardo, che amava raccontare uno
 
straordinario repertorio di leggende e miti tramandati da generazioni. La
 
famiglia si  trasferi' poi a Kars  città armena , sovrastata dal monte
 
Ararat (a quell'epoca Kars era oggetto di contesa tra Russi e Turchi,
 
attualmente appartiene alla Turchia). Ivi Gurdjieff venne educato da
 
sacerdoti della chiesa armeno-ortodossa e prese in considerazione a sua
 
volta il sacerdozio, che probabilmente esercitò per uno o due anni. Non
 
era però quella la sua via e decise di esplorare altre tradizioni
 
spirituali. Fra il 1887 e il 1907 si situano i cosiddetti «vent'anni
 
mancanti» della biografia di Gurdjieff. Si sa che, con altri amici, formò
 
un gruppo chiamato dei «Cercatori della verità» e compi' numerosi viaggi
 
che lo portarono nel Medio Oriente, nell'India, nell'Asia Centrale, nel
 
Tibet, visitando monasteri e centri religiosi, cercando una misteriosa
 
«Confraternita di Sarmoung», della quale aveva trovato un riferimento nel
 
1886. Nella sua autobiografia "Incontri con uomini straordinari" Gurdjieff
 
ci parla delle persone che incontrò in quegli anni e che influenzarono il
 
suo pensiero, ma occulta abilmente luoghi e identità. All'inizio della
 
prima guerra mondiale, Gurdjieff visse a Mosca e, attraverso conferenze e
 
rapporti personali, raccolse intorno a sé numerosi allievi (il più famoso
 
è probabilmente P.D. Ouspensky) con cui formò piccoli gruppi, non solo a
 
Mosca e in Russia, ma anche a Costantinopoli, Tiflis, Londra,
 
Fontainebleau-Avon, Parigi, New York etc. Ebbe allievi illustri fra
 
scrittori, poeti, artisti, filosofi, ricercatori, uniti dal progetto
 
comune di lavorare su di sé, migliorando la propria presenza mentale.
 
Gurdjieff mori' a Parigi nel 1949. Ancora oggi ha molti seguaci e
 
costituisce un punto di riferimento per la ricerca spirituale occidentale,
 
come dimostrano talune canzoni di quell'altro poeta-bardo contemporaneo,
 
che è Franco Battiato. Il periodo della vita di Gurdjieff, che ha
 
suscitato maggiormente la curiosità dei ricercatori è naturalmente quello
 
dei  «vent'anni mancanti». Una testimonianza interessante, che potrebbe
 
chiarire l'attività di circa un decennio, riferita da Louis Pauwels nel
 
libro  "Monsieur Gurdjieff" (Roma 1972), è quella di Achmed Abdullah,
 
scrittore e ufficiale dell'Intelligence Service. Questi incontrò Gurdjieff
 
 a New York , durante un pranzo in casa di un comune amico, e  riconobbe
 
in lui il Lama Dorzhieff (o Dordjieff secondo un'altra grafia) conosciuto
 
circa trenta anni prima in Tibet. Glielo disse e lui gli strizzò l'occhio.
 
Si parlarono in lingua tagik. Dorzhieff  era stato precettore del giovane
 
tredicesimo Dalai Lama ed era il principale agente segreto della Russia
 
nel Tibet. Quando le truppe Inglesi invasero il Tibet (antecedentemente
 
alla prima guerra mondiale) fuggi' insieme al Dalai Lama in direzione
 
della Mongolia. Tutto ciò spiegherebbe le difficoltà che più tardi
 
Gurdjieff incontrò a Londra, nonostante gli interventi dei suoi amici
 
presso Lloyd George. La testimonianza di A. Abdullah è stata spesso
 
sottovalutata da parte dei seguaci di Gurdjieff, forse perchè Alexandra
 
David Neel, che ha scritto molti libri di viaggio sul Tibet, in un
 
articolo apparso su Nouvelles Litteraires di Parigi il 22 Aprile 1954,
 
dichiarò che era stato confuso Gurdjieff con un lama buriate di nome
 
Dordjieff. A favore della tesi di Abdullah è invece l’ambasciatore indiano
 
in Cina K.M. Panikkar in "Storia della dominazione europea in Asia dal
 
Cinquecento ai nostri giorni" Einaudi, Torino 1977, che si appoggia anche
 
sulla testimonianza di Sir Charles Bell, diplomatico inglese in Tibet e
 
amico personale del tredicesimo Dalai Lama,  nella biografia autorizzata "
 
Portrait of a Dalai Lama: The Life and Times of the Great Thirteenth", 
 
pubblicata per la prima volta nel 1946 da W.M. Collins  e successivamente
 
ristampata nel 1987, a Londra, da Wisdom Publications. Del resto, il libro
 
di Rom Landau "God is My Adventure" (ultima ristampa : Unwin, 1964) che
 
per primo riportò la testimonianza di Abdullah, usci' quando era ancora
 
vivo Gurdjieff, il quale non fece la minima obiezione.
 
  
  
Nel libro "I Maestri di Gurdjieff" (ediz. italiana: 1991, Roma, E.
 
Mediterranee) , Rafael Lefort, studioso di esoterismo, narra che, dopo
 
essere entrato a far parte di una delle scuole ispirate alla dottrina di
 
Gurdjieff, avendo trovato un metodo di insegnamento non conforme alla sue
 
aspettative, decise di mettersi in viaggio verso l’Oriente, alla ricerca
 
delle fonti originali dell'insegnamento. I capitoli di questo libro sono
 
dedicati alle figure  degli uomini, quasi tutti mercanti o artigiani, con
 
i quali Lefort era riuscito ad avere un incontro: si tratta di persone che
 
avevano insegnato a Gurdjieff, o che avevano imparato assieme a lui, la
 
loro arte, oppure che erano stati suoi maestri o condiscepoli nello studio
 
di una particolare disciplina. Per mezzo di suggerimenti e indicazioni,
 
Lefort venne guidato da essi nel suo viaggio di città in città, di maestro
 
in maestro, fino a trovarsi nuovamente in Europa, in seno ad una scuola
 
esoterica, situata (ironia della sorte!) a soli quindici chilometri dalla
 
sua abitazione. Nel corso del suo lungo peregrinare, l’autore prende
 
coscienza della sterilità delle motivazioni, quasi esclusivamente
 
intellettuali, che lo avevano portato ad intraprenderlo, e si pone in una
 
nuova prospettiva riguardo a Gurdjieff ed al suo pensiero. Mentre rinuncia
 
ad una sicurezza che ora gli appare falsa ed acquisisce umiltà e
 
disponibilità, viene altresì messo in guardia nei confronti delle scuole
 
in grado di tramandare l’aspetto esclusivamente esteriore
 
dell’insegnamento di Gurdjieff. Il messaggio di Gurdjieff viene dichiarato
 
morto con la scomparsa del maestro, ma si afferma che l’insegnamento
 
autentico è sempre accessibile. Alla fine del suo viaggio, Lefort è posto
 
di fronte ad una scelta: continuare le sue ricerche o rinunciare ad esse
 
per intraprendere effettivamente il cammino evolutivo. Il libro pretende
 
di essere una ricerca dei Maestri di Gurdjieff, fisicamente intesi, svolta
 
negli anni sessanta. A meno di non ammettere, nei loro riguardi, una
 
longevità ben superiore a quella di Gurdjieff, una interpretazione
 
letterale del testo ha poche possibilità di corrispondere al vero. Si dice
 
che Rafael Lefort sia lo pseudonimo del famoso scrittore   Idries Shah
 
(1924 Simla/India-1996 Londra). Quest'ultimo, scheik Naqshabandy d'origine
 
afgana (partecipò coi mujaiddin alla guerra di resistenza contro
 
l'invasione sovietica dell'Afghanistan),  è stato uno dei maggiori
 
divulgatori moderni del sufismo, soprattutto di quell'ala che lo svincola
 
dall'aderenza all'Islam. All'opposto vi è l'ala tradizionalista, che vanta
 
rappresentanti altrettanto famosi come Syed Hossein Nasr, la quale ritiene
 
indispensabile la pratica della forma religiosa islamica.Gli scheik
 
tradizionalisti sostengono che l'altra ala estremizzi,  il cosmopolitismo
 
ed universalismo sufi, disancorandolo dalla sua base terrena e storica che
 
è appunto l'Islam. E' abbastanza noto che la "Fondazione Gurdjieff",
 
avente le sue sedi principali a Parigi, Londra e New York, guidata prima
 
da  Madame Jeanne Matignon de Salzmann (1889-1990) e poi dal figlio Dr.
 
Michel de Salzmann , cercò di integrarsi nella tradizione orientale, al
 
fine di completare l'insegnamento lasciato in eredità da Gurdjieff. Poichè
 
tale insegnamento era esteriormente svincolato tanto dall'Islam, quanto
 
dal Buddhismo, sembrò naturale rivolgersi all'ala cosmopolita di Idries
 
Shah. Egli accettò di accogliere i membri della fondazione, ma a patto che
 
rinunciassero alla gerarchia che si era formata all'interno del loro
 
gruppo, cioè a condizione che ricominciassero tutti dallo stesso grado di
 
neofiti. Essi rifiutarono e Shah rispose con il libro firmato Lefort. 
 
L'interpretazione delle origini dell'insegnamento di Gurdjieff , presente
 
in questo libro, è senz'altro di parte, sia perchè trascura l'influsso
 
buddhista ed altri minori, sia perchè dimentica che Gurdjieff non usci'
 
mai dalla tradizione cristiano-ortodossa, considerando, con ogni
 
probabilità,  i suoi contatti orientali nient'altro che un approfondimento
 
di quello che S. Simeone definisce "il secondo modo di attenzione e di
 
preghiera". Prova ne è che, alla sua morte, dopo quattro giorni e quattro
 
notti di veglia, venne cantata una messa solenne nella cattedrale della
 
Chiesa Ortodossa Alexandre Nevsky in Rue Daru a Parigi.
 
  
  
Per comprendere come l'insegnamento di G. I. Gurdjieff, relativo alla
 
presenza mentale,  ha raggiunto il suo aspetto definitivo, non vi è altro
 
modo che seguire, per quanto è possibile, la sua evoluzione temporale.
 
Come si è già accennato, Gurdjieff, già affascinato da miti e leggende
 
della tradizione orale paterna, ebbe come primo maestro vero e proprio
 
padre Borsh, allora arciprete della chiesa militare di Kars, massima
 
autorità spirituale di quel paese, che era stato da poco conquistato dai
 
Russi. Borsh insegnò a Gurdjieff medicina e teologia. Uno dei più
 
importanti testi della chiesa ortodossa è senz'altro la Filocalia, che
 
letteralmente significa «amore della bellezza», ma di quella bellezza che
 
si identifica col bene. La parola era già stata usata da S.Basilio e da
 
Gregorio di Nazianzo per la loro raccolta di passi scelti di Origene. Nel
 
1782 vide luce a Venezia un'altra Filocalia, destinata a diventare ben più
 
nota, i cui esemplari, appena stampati, furono rimpatriati in blocco in
 
Oriente. Tale Filocalia è una raccolta di testi tradizionali sulla
 
preghiera ortodossa, sopratutto "solitaria", che prende le mosse dagli
 
anacoreti cristiani egiziani del IV secolo per giungere fino ai monaci del
 
Monte Athos del XV. La Filocalia doveva conoscere un successo
 
straordinario in Russia, grazie a un grande staretz,  Paissy Velitchkovski
 
(1722-1794), animatore di una vera rinascita spirituale sia nei paesi
 
moldavi che in Russia. Egli preparò in breve tempo una traduzione slava,
 
la Dobrotolubiye (Pietroburgo, 1793), della quale si ebbero otto
 
riedizioni. La Filocalia è vasta, ma , per nostra fortuna, uno dei testi
 
in essa contenuti, costituisce una sintesi dell'intera opera. Si tratta
 
del capitolo "Sui tre modi di preghiera" tratto dagli scritti di San
 
Simeone il Nuovo Teologo (949-1O22) che, per la sua importanza, riportiamo
 
"Sui tre modi di preghiera
 
Esistono tre modi di attenzione e di preghiera, per essi l'anima può
 
elevarsi e progredire, oppure cadere e perdersi. Chi usa di questi metodi
 
nel modo e nel tempo giusto progredisce, chi invece li pratica
 
inopportunamente e insipientemente si smarrisce.
 
L'attenzione e la preghiera sono unite inseparabilmente come il corpo è
 
legato all'anima. L'attenzione procede e controlla i movimenti del nemico
 
come un'avanguardia, è la prima ad ingaggiare la lotta col peccato, e ad
 
opporsi ai pensieri malvagi che vorrebbero entrare nell'anima. La
 
preghiera ne segue le orme, sterminando e distruggendo tutti i pensieri
 
malvagi contro i quali l'attenzione è entrata in lotta, la sola attenzione
 
non ha la forza di distruggerli. Da questo combattimento contro i pensieri
 
malvagi condotto con l'attenzione e la preghiera dipende la vita
 
dell'anima. Servendosi dell'attenzione possiamo render pura la preghiera e
 
compiere dei progressi; se non ci serviamo dell'attenzione per conservarla
 
pura e la lasciamo incustodita, diventa inquinata dai pensieri malvagi e
 
diveniamo degli inservibili falliti.
 
Sul primo modo dell'attenzione e della preghiera
 
Queste sono le caratteristiche del primo modo: uno si mette in orazione,
 
solleva le mani, gli occhi e la mente verso il cielo, tiene fermi nella
 
mente i pensieri di Dio, immagina i beni celesti, le schiere degli angeli
 
e le dimore dei santi, riunisce, in una parola, nella mente quanto ha
 
appreso dalle Sante Sctitture e durante la preghiera vi si sofferma,
 
esortando l'anima ad essere desiderosa di Dio e del suo amore. Gli può
 
capitare in questo stato di versare delle lacrime e di piangere. Può
 
succedere, se uno segue soltanto questo modo, che poco a poco il suo cuore
 
s'inorgoglisca senza che lui l'avverta, e pensi che ciò che esperimenta
 
gli venga dalla grazia di Dio come consolazione, e comincia a domandare a
 
Dio di poter rimanere sempre in quello stato. Ma questo è segno di
 
smarrimento, il bene quando non è compiuto come si deve non è più bene. Se
 
quest'uomo s'impegna in una vita solitaria totale difficilmente potrà
 
sfuggire alla follia. Se questo per un puro caso non avvenga, gli sarà
 
impossibile raggiungere il possesso della virtù e il calmo pensiero.
 
Questo modo contiene un altro rischio di deviazione: uno può vedere con
 
gli occhi del corpo delle luci e dei fulgori, gustare dei profumi soavi,
 
sentire dei suoni e altre simili cose. Alcuni ne sono rimasti del tutto
 
invasati, nella loro insania hanno cominciato a vagolare da un luogo
 
all'altro; altri, scambiando il diavolo per un angelo della luce, sono
 
rimasti ingannati, fino a diventare incorreggibili rifiutando di
 
accogliere l'ammonimento dei fratelli. Altri, istigati dal diavolo, si
 
sono suicidati gettandosi chi da un precipizio, chi impiccandosi. Da
 
quanto abbiamo detto non è difficile, per chi ha buon senso, comprendere
 
quale rischio sia incluso in questo primo modo di attenzione e di
 
preghiera (quando venga considerato come l'unico nella via della
 
preghiera). Anche se qualcuno evita questi pericoli nel praticarlo perché
 
vive in una comunità, ai suoi rischi sono esposti particolarmente gli
 
eremiti, sappia che non farà nessun passo avanti nella vita spirituale.
 
Sul secondo modo di attenzione e di preghiera
 
Questo è il secondo modo di attenzione e di preghiera: l’orante ritrae la
 
mente dagli oggetti sensibili e la raccoglie nel suo intimo; vigila sui
 
sensi e unifica i suoi pensieri in modo che interrompano il vagabondaggio
 
tra le vanità mondane. A volte esamina i suoi pensieri, a volte si ferma a
 
considerare le parole che le sue labbra pronunciano; a volte ferma il
 
pensiero quando affascinato dal diavolo vola verso qualcosa di peccaminoso
 
e di vano; a volte, vinto da qualche passione, con grande travaglio e
 
sforzo lotta per rientrare in sé stesso. La nota specifica di questo modo
 
è che si svolge nella testa, i pensieri combattono contro i pensieri.
 
In questo combattimento contro se stesso, non si può trovare la pace, né
 
il tempo di praticare quelle virtù che sono il coronamento della verità.
 
Questo stato è paragonabile ad uno che lotti con i nemici, nella notte, al
 
buio, sente le loro voci, subisce i loro colpi, ma non vede chiaramente
 
dove siano, da dove vengano e per qual motivo stiano aggredendolo; rimane
 
dentro la testa, mentre i pensieri malvagi escono dal cuore. La tenebra
 
che gli avvolge la mente, la tempesta che infuria nei suoi pensieri sono
 
la causa che impedisce di vedere la origine di questa deviazione, non
 
riesce a sfuggire dalla presa dei demoni, suoi nemici, e a riconoscere i
 
loro colpi. Se poi insieme a tutto questo uno vien preso dalla vanità di
 
ritenersi vigilante su se stesso come dovrebbe, lavora inutilmente e
 
perderà per sempre ogni ricompensa. Orgoglioso disprezza e critica gli
 
altri e loda se stesso, considerandosi atto ad essere un pastore di uomini
 
e di guidare gli altri diventa simile ad un cieco che vuol condurre altri
 
ciechi. Questi sono i cararteri del secondo modo di attenzione e di
 
preghiera. Chi vuol raggiungere la salvezza saprà riconoscere il danno che
 
sta arrecando all'anima sua e aprirà con cura gli occhi su se stesso.
 
Questo modo, ciò nonostante, è migliore del primo come una notte di
 
plenilunio è meglio di una notte senza luna.
 
Sul terzo modo di attenzione e di preghiera
 
Il terzo modo è meraviglioso ma difficile a spiegare; è insieme difficile
 
e incredibile per chi non lo abbia mai praticato, fino al punto da esser
 
respinto come possibile attuazione. Nel nostro tempo infatti è difficile
 
incontrare chi pratichi questo modo di attenzione e di preghiera; verrebbe
 
da pensare che questo dono benedetto ci abbia abbandonato insieme
 
Se uno osserva l'obbedienza perfetta al suo padre spirituale, si libera da
 
ogni perplessità, avendole poste sulle spalle della sua guida. Libero da
 
ogni attaccamento sensibile, può dedicarsi con zelo e diligenza alla
 
pratica del terzo modo di preghiera, supponendo però che si sia posto
 
sotto la direzione di una guida non sottoposta a smarrimenti. Se vuoi
 
raggiungere la salvezza comincia in questo modo: stabilisci nel tuo cuore
 
la perfetta obbedienza alla tua guida spirituale, compi qualunque cosa con
 
coscienza pura, alla presenza di Dio; non è possibile avere la coscienza
 
pura senza l'obbedienza. Conserva pura la coscienza in queste tre
 
direzioni: di fronte a Dio, di fronte alla tua guida spirituale, di fronte
 
agli uomini e alle cose e alla realtà del mondo.
 
Di fronte a Dio il dovere della tua coscienza consiste nel non fare azione
 
che, secondo la tua coscienza, non sia gradita e accetta a Dio. Di fronte
 
al tuo padre spirituale fa soltanto quello che ti dirà, non voler fare
 
niente di più o di meno di quanto ti suggerisce, cammina sotto la guida
 
della sua volontà e della sua intenzione. Di fronte agli uomini non fare
 
alcuna cosa che non vorresti venisse fatta a te stesso. Di fronte alle
 
cose il tuo dovere è di mantenere pura la tua coscienza usandola in
 
maniera giusta, per le cose intendo il cibo, le bevande e le vesti.
 
Procedendo in questo modo ti appronterai un sentiero solido e diretto
 
verso il terzo modo di attenzione e di preghiera, esso consiste
 
essenzialmente in questo: la mente scenda nel cuore. Mentre preghi ferma
 
l'attenzione nel cuore, percorrilo in tutti i sensi, senza mai
 
distaccartene, e dalle profondità del cuore fa' salire a Dio la tua
 
preghiera. Quando la mente, dimorando nel cuore, comincia a gustare quanto
 
è buono il Signore e si sente colma di grande diletto non vorrà più
 
abbandonare quel luogo. Contemplerà le profondità del cuore e vi rimarrà
 
cercando e allontanando quei pensieri che il demonio vi avrà disseminato.
 
Chi non conosce e non ha provato questo modo, lo considererà difficile e
 
opprimente. Chi invece avrà gustato la sua dolcezza e avrà goduto nelle
 
profondità del cuore, grida con San Paolo: "Chi potrà distaccarsi
 
dall'amore di Cristo?..".Osserva prima di ogni altra cosa queste tre
 
direttive: sii libero da ogni preoccupazione, non solo riguardo a ciò che
 
è malefico e vano ma anche a ciò che è buono, in una parola sii morto a
 
tutto; conserva la tua coscienza in modo che nulla possa rimproverarsi;
 
abbi il perfetto distacco da ogni attaccamento passionale, in modo da non
 
avere alcuna inclinazione verso ciò che appartiene al mondo. Mantieni la
 
tua attenzione in te stesso, tieni ferma la mente nel cuore, con tutti i
 
mezzi possibili cerca di scoprire il luogo dove è il cuore; se avrai il
 
dono di trovarlo il tuo pensiero vi dimorerà per sempre. Impegnandoti in
 
tal modo la mente scoprirà il luogo del cuore, quando l'avrà trovato la
 
grazia renderà la preghiera soave e ardente. La mente acquisterà la
 
capacità di allontanare i pensieri malvagi da qualunque parte si
 
manifestino prima che abbiano preso consistenza, facendoli dissipare con
 
l'invocazione: "Signore Gesù abbi pietà di me! ". Il primo e il secondo
 
modo di attenzione e di preghiera non conducono l'uomo alla perfezione.
 
Volendo costruire una cosa non cominciamo dal tetto ma dalle fondamenta;
 
prima gettiamo le fondamenta poi innalziamo i muri infine edifichiamo il
 
tetto. Altrettanto ci è richiesto per l'edificio spirituale, innanzi tutto
 
gettiamo il fondamento: vigilando sul cuore e purificandolo dalle
 
passioni; quindi innalziamo le mura respingendo l'assalto dei nemici che
 
si scagliano contro servendosi dei sensi, e addestrandoci a controbattere
 
i loro assalti il più presto possibile; dopo aver fatto questo possiamo
 
porre mano al tetto, alla totale rinuncia a tutto per offrirci
 
completamente a Dio. In questo modo potremo ultimare la nostra casa in
 
Gesù Cristo, a Lui sia lode per sempre. Amen." (Filocalia , vol. V pp.
 
73-89. edizione italiana della Filocalia, ed. Gribaudi)
 
Non poteva sfuggire a Gurdjieff che l'aspetto "preghiera" è massimo nel
 
terzo modo, mentre l'aspetto "attenzione" è massimo nel secondo. Forse gli
 
 venne il sospetto che il secondo modo, già all'epoca di San Simeone, non
 
fosse più noto nella sua completezza, in ambiente cristiano e che, proprio
 
per la sua incompletezza, gli venisse preferito il terzo. Tutti i suoi
 
anni successivi li dedicò infatti ad un approfondimento esoterico del
 
secondo modo, entrando cosi' in contatto con svariati ambienti,
 
soprattutto sufi e buddhisti.