"Si può dire che vi è una forza cosciente in lotta contro l'evoluzione dell'umanità?", domandai.
"Da un certo punto di vista lo si può dire", rispose G.
Riporto questa risposta perché essa sembra in contraddizione con quello che G. aveva detto prima: che non vi erano che due forze in lotta nel mondo, la 'coscienza' e la 'meccanicità'.
"Da dove viene questa forza?".
"Ci vorrebbe troppo tempo per darvi una spiegazione e questo per noi attualmente non avrebbe alcun significato pratico. Vi sono due processi, talvolta chiamati 'involutivo' e 'evolutivo'. Ecco la loro differenza: un processo involutivo comincia coscientemente nell'Assoluto,ma allo stadio seguente è già meccanico e lo diventa sempre di più. Il processo evolutivo, al contrario, incomincia semiconsciamente, e diventa sempre più cosciente man mano che si sviluppa. Ma a certi momenti, una certa coscienza può apparire nel processo 'involutivo',sotto forma di opposizione cosciente al processo d'evoluzione.
"Da dove viene questa coscienza? Dal processo evolutivo, naturalmente. Questo deve procedere senza interruzione. Ogni arresto causa una separazione dal processo fondamentale. Questi frammenti sparsi di coscienza che sono stati arrestati nel loro sviluppo possono anche unirsi,e, per un certo tempo, vivere lottando contro il processo di evoluzione Dopo tutto, ciò non fa che renderlo più interessante. In luogo di una lotta contro delle forze meccaniche, può esserci, in certi momenti, una lotta contro l'opposizione intenzionale di forze realmente molto forti,benché la loro potenza non sia certamente da paragonare con la potenza delle forze che dirigono il processo evolutivo. Queste forze avverse possono anche a volte prendere il sopravvento, e ciò perché le forze che dirigono l'evoluzione hanno una scelta di mezzi più limitata; in altri termini, esse non possono fare uso che di certi mezzi e di certi metodi. Le forze avverse invece non sono limitate nella scelta dei mezzi, possono usarne diversi, anche quelli che non apportano che un successo temporaneo, e in fin dei conti annullano sia l'evoluzione che l'involuzione.
"Ma, come ho già detto, questo argomento è senza significato pratico per noi. Per noi, importa soltanto stabilire dove cominci l'evoluzione e come essa proceda. E se ci ricordiamo la completa analogia tra l'umanità e l'uomo, non sarà difficile stabilire se l'umanità sia in via d'evoluzione.
"Possiamo dire, a esempio, che la vita sia governata da un gruppo di uomini coscienti? Dove sono? Chi sono? Vediamo esattamente il contrario: che la vita è in potere dei più incoscienti e dei più addormentati.
"Possiamo dire di vedere nella vita una preponderanza degli elementi migliori, più forti, più coraggiosi? Per nulla. Al contrario, vediamo ovunque regnare la volgarità e la stupidità in tutti i loro aspetti.
"Possiamo dire infine di vedere nella vita aspirazioni verso l’unità,verso una unificazione? Certamente no. Noi non vediamo che nuove divisioni, nuove ostilità, nuovi malintesi.
"Di modo che, nella situazione attuale dell’umanità, nulla denota una evoluzione. Al contrario, paragonando l'umanità a un uomo, vediamo chiaramente il crescere della personalità a spese dell'essenza, vale a dire la crescita dell'artificiale, dell'irreale, di ciò che non ci appartiene, a spese del naturale, del reale, di ciò che è veramente nostro.
"Nello stesso tempo, constatiamo una crescita dell'automatismo.
"La civiltà contemporanea vuole degli automi. E le persone sono certamente sul punto di perdere le proprie abitudini di indipendenza,diventando sempre più simili ad automi, a pezzi di macchine. Non è possibile dire come finirà tutto questo né come uscirne, e neppure se ci sarà una fine o un'uscita. Una sola cosa è certa, ed è che la schiavitù dell'uomo non fa che aumentare. L'uomo sta diventando uno schiavo volontario. Non ha più bisogno di catene: incomincia ad amare la sua schiavitù, a esserne fiero. E nulla di più terribile potrebbe accadere ad un uomo.
P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 342-343
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