venerdì 31 marzo 2017

Sul moto perpetuo - Gurdjieff

«Mi trovavo un giorno in una città dov'erano esposti "modelli" di ogni genere e innumerevoli "progetti" di meccanismi per il moto perpetuo. Che cosa non si poteva vedere! Che macchinari tortuosi e complicati ho avuto l'opportunità di osservare! In ognuno dei congegni che avevo sotto gli occhi c'erano più trovate e più artifizi di quanti ce ne siano in tutte le leggi della creazione del mondo e dell'esistenza del mondo messe insieme.
Negl'innumerevoli modelli e progetti che vidi allora notai che l'idea dominante era quella di trar profitto dalla "forza del peso", vale a dire che un meccanismo complicatissimo doveva sollevare un certo peso, la cui caduta rimetteva in moto tutto il meccanismo, che a sua volta faceva rimontare il peso, e così via...
Il risultato fu che migliaia di quegl'infelici dovettero esser rinchiusi nei cosiddetti "manicomi" mentre altre migliaia, persi nel sogno, trascuravano del tutto le obbligazioni esseriche stabilitesi più o meno bene nel corso dei secoli, o le mettevano in pratica nel modo peggiore.
Non so come sarebbe finita la cosa se un essere già del tutto rincitrullito e in declino, uno di quelli che loro chiamano "vecchi rimbambiti", e che aveva acquisito laggiù coi trucchi del mestiere un certo credito, non avesse "provato", con calcoli noti a lui solo, che inventare il moto perpetuo era assolutamente impossibile.


G. I. Gurdjieff - I racconti di Belzebù a suo nipote, pp 66-67

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