domenica 12 novembre 2017

Magia nera a Bangkok - Tiziano Terzani

La crisi si risolse con l‘intervento del re: Suchinda si dimise, ma prima di farlo dichiarò un’amnistia generale che mise lui e gli altri responsabili del massacro al sicuro da ogni possibile azione legale. I dimostranti - disse Suchinda - erano morti non per colpa sua, ma perché era il loro karma di morire. i più si dettero pace. Solo un gruppo di irriducibili democratici trovò inaccettabile che nessuno venisse punito per la morte di tante persone e ricorse alla magia nera per farsi giustizia.
Una domenica mattina, sulla grande piazza di Sanam Luang, davanti al Palazzo Reale, si svolse una strana cerimonia. In una vecchia bara vennero messi i nomi e le foto di Suchinda e degli altri due generali della giunta, poi alcune vedove bruciarono peperoni e sale in ciotole da elemosina rotte. Bara, vedove e cocci rotti sono simboli di grande sciagura e l’intera cerimonia, celebrata secondo le vecchie formule, era intesa a mettere il malocchio addosso ai tre e a distruggerli.
I generali, dal canto loro, presero la faccenda molto seriamente: Suchinda andò da un famoso bonzo a farsi cambiare nome, così che il malocchio cadesse su quello che lui non portava più; un altro generale, su consiglio di un famoso monaco, cambiò la montatura degli occhiali, si tagliò i baffi e mangiò una foglia d’oro, così che il suo parlare diventasse più popolare; il terzo andò da un chirurgo a farsi togliere delle rughe che gli portavano male, poi, per maggior sicurezza, prese la sua amante e andò a Parigi a gestire un ristorante.
Nessun libro di storia, specie quelli che saranno scritti da occidentali, racconterà gli avvenimenti del colpo di Stato e del massacro di Bangkok così, ma è così che la maggior parte dei thailandesi li ha vissuti.
Alcuni stranieri che vivono a lungo in Thailandia finiscono per cadere vittime di questa atmosfera di magia e mistero e hanno difficoltà a sottrarsene.
Una notte ricevetti una stranissima telefonata da un inglese che chiamava da Londra: diceva di essere appena riuscito a scappare dall’isola di Pukhet, dove aveva scoperto la verità sulle ragazze trovate decapitate.
«Sì? E qual è la verità?» chiesi.
«Mettono le teste mozze sotto i piloni del nuovo ponte per rafforzarne la struttura», rispose.
La mattina dopo telefonai a una persona di fiducia che abitava da anni a Pukhet. Sì, era vero: c’erano stati dei casi di ragazze trovate senza testa e anche lui aveva sentito la storia del ponte, ma era molto più verosimile che le ragazze fossero prostitute, vittime di qualche racket che le ammazzava e buttava via le teste perché non fossero riconosciute!


Tiziano Terzani - Un indovino mi disse, pp 96-97

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