martedì 20 dicembre 2016

Conosci te stesso: l'osservazione di sè - Gurdjieff

   "Libertà, liberazione. Questo deve essere lo scopo dell'uomo. Diventare libero, sfuggire alla schiavitù — ecco ciò per cui un uomo dovrebbe lottare allorché è diventato, anche solo un poco, cosciente della sua situazione. Questa è la sola via d'uscita per lui, poiché nient'altro è possibile finché resta uno schiavo, interiormente ed esteriormente. Ma non può cessare d'essere schiavo esteriormente finché resta schiavo interiormente. Così, per diventare libero, deve conquistare la libertà interiore.
   "La prima ragione della schiavitù interiore dell'uomo è la sua ignoranza, e, soprattutto l'ignoranza di sé stesso. Senza la conoscenza di sé, senza la comprensione del moto e delle funzioni della sua macchina, l'uomo non può essere libero, non può governarsi e resterà sempre uno schiavo, in balia delle forze che agiscono su di lui.
   "Ecco perché, negli insegnamenti antichi, la prima richiesta a chi si metteva sulla via della liberazione, era: 'Conosci te stesso' ".

La seguente riunione incominciò precisamente con le parole: "Conosci te stesso".
   "Queste parole, disse G., che sono generalmente attribuite a Socrate, si trovano alla base di parecchie dottrine e scuole molto più antiche della scuola socratica. Ma benché il pensiero moderno non ignori l'esistenza di questo principio, non ha che un'idea molto vaga del suo significato e della sua portata. L'uomo ordinario del nostro tempo, anche se si interessa alla filosofia o alle scienze, non comprende che il principio 'Conosci te stesso' si riferisce alla necessità di conoscere la propria macchina, la 'macchina umana'. La struttura della macchina è più o meno la stessa in tutti gli uomini; è quindi questa struttura che l'uomo deve per prima cosa studiare, cioè le funzioni e le leggi del suo organismo. Nella macchina umana tutto è collegato, una cosa dipende a tal punto da un'altra che è del tutto impossibile studiare una qualsiasi funzione senza studiare tutte le altre. La conoscenza di una parte richiede la conoscenza dell'insieme. Conoscere tutto di un uomo è possibile, ma per questo, occorre molto tempo e lavoro, occorre soprattutto applicare il metodo giusto e, cosa non meno necessaria, occorre la giusta direzione di un maestro.
   "Il principio 'Conosci te stesso' ha un contenuto molto ricco. Esso richiede in primo luogo, all'uomo che vuole conoscersi, di comprendere ciò che questo significa, in quale insieme di relazioni s'inscriva questa conoscenza e da che cosa essa necessariamente dipenda.
   "La conoscenza di sé è uno scopo molto alto, ma molto vago e distante. L'uomo nel suo stato attuale è molto lontano dalla conoscenza di sé. Questa è la ragione per cui, rigorosamente parlando, lo scopo di un uomo non può essere definito la conoscenza di sé. Il suo grande scopo deve essere lo studio di sé. Per lui sarà ampiamente sufficiente comprendere che deve studiare sé stesso. Ecco lo scopo dell'uomo: cominciare a studiare sé stesso, conoscere sé stesso, nel modo più giusto.
   "Lo studio di sé è il lavoro, o la via, che conduce alla conoscenza di sé.
   "Ma per studiare sé stessi, occorre innanzitutto imparare come studiare, da dove cominciare, quali mezzi impiegare. Un uomo deve imparare come studiare sé stesso, deve imparare i metodi dello studio di sé.
   "Il metodo fondamentale per lo studio di sé è l'osservazione di sé. Senza una osservazione di sé eseguita in modo corretto, un uomo non comprenderà mai come le diverse funzioni della sua macchina siano collegate e in correlazione tra loro, non comprenderà mai come e perché, in lui, 'tutto accade'.
   "Ma la pratica dei giusti metodi di osservazione di sé e dello studio di sé, richiede una comprensione precisa delle funzioni e delle caratteristiche della macchina umana. Così, per osservare le funzioni della macchina umana è necessario comprendere le loro giuste divisioni e poterle definire esattamente e subito; inoltre, questa definizione non deve essere verbale, ma interiore: mediante il gusto, mediante la sensazione, nello stesso modo in cui individuiamo le esperienze interiori.
   "Vi sono due metodi di osservazione di sé: il primo è l'analisi, o i tentativi di analisi, cioè i tentativi di trovare una risposta a queste domande: Da che dipende tale cosa, e perché si verifica? Il secondo è il metodo delle constatazioni, che consiste semplicemente nel registrare nella propria mente tutto ciò che si osserva nel momento presente.
   "L'osservazione di sé, soprattutto all'inizio, non deve con nessun pretesto diventare analisi, o tentativo di analisi. L'analisi non è possibile che molto più tardi, quando si conoscono già tutte le funzioni della propria macchina e tutte le leggi che la governano.
   "Tentando di analizzare questo o quel fenomeno che l'ha colpito, un uomo si chiede generalmente: 'Che cos'è questo? Perché ciò accade in questo modo e non in un altro?'. Egli comincia a cercare una risposta a queste domande, dimenticando tutto ciò che potrebbe fornirgli delle ulteriori osservazioni. Sempre più assorbito da queste domande, egli perde del tutto il filo della osservazione di sé e finisce per dimenticarne persino l'idea. L'osservazione s'interrompe. È chiaro, perciò, che una sola cosa può progredire: o l'osservazione, oppure i tentativi di analisi.
   "Pertanto ogni tentativo di analisi dei fenomeni isolati, senza una conoscenza delle leggi generali, è una totale perdita di tempo. Prima di poter analizzare i fenomeni anche più elementari, un uomo deve accumulare sufficiente materiale sotto forma di 'registrazioni'. Le registrazioni, risultato di una osservazione diretta di ciò che avviene in un determinato momento, sono il materiale più importante nello studio di sé. Quando le registrazioni siano state raccolte in numero sufficiente e al tempo stesso le leggi siano state studiate e comprese fino a un certo punto, allora l'analisi diventa possibile.
   "Fin dal primo inizio, l'osservazione e la 'registrazione' devono essere basate sulla conoscenza dei principi fondamentali dell'attività della macchina umana. L'osservazione di sé non può essere condotta correttamente senza comprendere questi principi e senza averli costantemente presenti. Perciò l’ordinaria osservazione di sé, nella quale le persone sono occupate durante tutta la loro vita, è completamente inutile e non approda a nulla.
   "L'osservazione deve cominciare dalla divisione delle funzioni. L'intera attività della macchina umana è divisa in quattro gruppi di funzioni nettamente distinti, ognuno dei quali è retto dal suo proprio 'cervello' o 'centro'. Osservando sé stesso, un uomo deve distinguere le quattro funzioni fondamentali della sua macchina; le funzioni intellettuale, emozionale, motrice e istintiva. Ogni fenomeno che un uomo osserva in sé stesso si riferisce all'una o all'altra di queste funzioni. Perciò, prima di cominciare a osservarsi, un uomo deve comprendere in che cosa le funzioni differiscono; che cosa significa attività intellettuale, che cosa significano attività emozionale, attività motrice e attività istintiva.
   "L'osservazione deve cominciare da zero. Tutte le esperienze precedenti, tutti i risultati di tutte le osservazioni anteriori, devono essere lasciate da parte. È possibile che siano contenuti in esse, elementi di grande valore. Ma tutto questo materiale,è basato su divisioni erronee delle funzioni osservate e il materiale stesso è diviso in modo non corretto. Perciò non può essere utilizzato; in ogni caso, è inutilizzabile all'inizio dello studio di sé. Ciò che vi è di valido in esso, sarà a suo tempo preso e utilizzato. Ma è necessario cominciare dal principio, cominciare cioè a osservare sé stessi come se non ci si conoscesse affatto, come se non ci fossimo mai osservati prima".
   "Cominciando a osservarsi, si deve cercare subito di determinare a quale gruppo, a quale centro appartengono i fenomeni che si stanno osservando.
   "Alcuni trovano difficile comprendere la differenza tra pensiero e sentimento, altri distinguono a stento tra sentimento e sensazione, o tra pensiero e impulso motore.
   "Si può dire, grosso modo, che la funzione del pensiero lavora sempre per comparazione. Le conclusioni intellettuali sono sempre il risultato del confronto di due o di più impressioni.
   "La sensazione e l'emozione non ragionano, non comparano, definiscono solamente una data impressione dal suo aspetto, dal suo carattere piacevole o spiacevole in un senso o nell'altro, dal suo colore, gusto oppure odore. Inoltre, le sensazioni possono essere indifferenti: né caldo né freddo, né piacevole né spiacevole: 'carta bianca', 'matita rossa'. Nella sensazione del bianco e del rosso non vi è nulla di piacevole né di spiacevole. Per lo meno, nulla di simile è necessariamente legato alla sensazione di questo o quel colore. Queste sensazioni, che provengono da ciò che noi chiamiamo i 'cinque sensi', e le altre, come la sensazione del caldo, del freddo, ecc. sono istintive. Le funzioni del sentimento, o emozioni, sono sempre piacevoli o spiacevoli; le emozioni indifferenti non esistono".

   "La difficoltà di distinguere le funzioni è accresciuta dal fatto che le persone le sentono in modo molto diverso. È ciò che generalmente non comprendiamo. Noi crediamo le persone molto più simili tra loro di quanto non lo siano in realtà. In realtà, vi sono grandi differenze da una persona all'altra per quanto riguarda le forme e le modalità delle loro percezioni. Alcuni percepiscono principalmente attraverso il pensiero, altri attraverso le emozioni, altri attraverso le sensazioni. È molto difficile, se non impossibile, per uomini appartenenti a categorie diverse e con modi diversi di percezione, comprendersi reciprocamente, perché essi danno nomi diversi a una stessa cosa, e danno lo stesso nome a cose differenti. Oltre a ciò, ogni sorta di combinazioni sono ancora possibili. Un uomo percepisce attraverso i suoi pensieri e le sue sensazioni, un altro attraverso i suoi pensieri e i suoi sentimenti, e così via. E ogni modo di percezione, quale che sia, è messo immediatamente in relazione con un particolare tipo di reazione agli avvenimenti esterni. Queste differenze nella percezione e la reazione agli avvenimenti esterni producono due risultati: le persone non si comprendono fra di loro, e non comprendono se stesse. Un uomo ad esempio definisce molto spesso i suoi pensieri, o le sue percezioni intellettuali, dei sentimenti e chiama i suoi sentimenti pensieri; le sue sensazioni, sentimenti. Quest'ultimo caso è il più frequente. Per esempio, due persone percepiscono la stessa cosa in modo differente, diciamo che una la percepisce attraverso i sentimenti e l'altra attraverso le sensazioni: esse possono discutere per tutta la vita, senza mai comprendere di che cosa è fatta la differenza dei loro atteggiamenti in presenza di un dato oggetto. Infatti, la prima lo vede sotto uno dei suoi aspetti, la seconda, sotto un altro aspetto.
   "Per trovare il metodo di discriminazione, dobbiamo comprendere che ogni funzione psichica normale è un mezzo o uno strumento di conoscenza. Con l'aiuto del pensiero, vediamo un aspetto delle cose e degli avvenimenti, con l'aiuto delle emozioni un altro aspetto, con l’aiuto delle sensazioni un terzo aspetto. La conoscenza più completa che ci è possibile avere, di un dato soggetto, può essere ottenuta soltanto se lo esaminiamo simultaneamente attraverso i nostri pensieri, i nostri sentimenti e le nostre sensazioni. Ogni uomo che si sforza di raggiungere la vera conoscenza, deve tendere alla possibilità di una tale percezione. Nelle condizioni ordinarie, l'uomo vede il mondo attraverso un vetro deformato, irregolare. E anche se se ne rende conto, non può farci nulla. Il suo modo di percepire, qualunque esso sia, dipende dal lavoro del suo intero organismo. Tutte le funzioni sono interdipendenti e si equilibrano vicendevolmente, tutte le funzioni tendono reciprocamente a mantenersi nello stato in cui sono. Per questa ragione un uomo che cominci a studiare sé stesso, se scopre in lui qualcosa che non gli piace, deve comprendere che non sarà capace di cambiarla. Una cosa è studiare, un'altra è cambiare. Ma lo studio è il primo passo verso la possibilità di cambiare in futuro. E fin dall'inizio dello studio di sé, ci si deve ben convincere che per lungo tempo tutto il lavoro consisterà soltanto nello studiarsi.
   "Nelle condizioni ordinarie, non è possibile alcun cambiamento, perché, ogni volta che un uomo vuole cambiare una cosa, non vuole cambiare che questa cosa., Ma tutto nella macchina è collegato e ogni funzione è inevitabilmente controbilanciata da un'altra o da tutta una serie di altre funzioni, benché non ci rendiamo conto di questa interdipendenza delle diverse funzioni in noi. La macchina è equilibrata in tutti i suoi particolari ad ogni momento della sua attività. Se un uomo constata in se stesso qualcosa che non gli piace e comincia a fare degli sforzi per cambiarlo, può giungere ad un certo risultato. Ma contemporaneamente a questo risultato, ne otterrà inevitabilmente un altro, che non poteva immaginare. Sforzandosi di distruggere e di annullare tutto ciò che in lui non gli piace, compiendo degli sforzi a tale scopo, egli compromette l'equilibrio della sua macchina. La macchina si sforza di ritrovare il suo equilibrio e lo ristabilisce creando una nuova funzione che l'uomo non aveva previsto. Per esempio un uomo può osservare che è molto distratto, che dimentica tutto, che perde tutto, ecc. Egli comincia a lottare contro questa abitudine e se è abbastanza metodico e risoluto, riesce, dopo un certo tempo, a ottenere il risultato voluto: smette di dimenticare o di perdere le cose. Questo, egli lo osserva; tuttavia vi è qualcosa che non osserva, ma che gli altri notano, ad esempio, che è diventato irritabile, pedante, litigioso, sgradevole. Ha vinto la distrazione, ma al posto di questa è apparsa l'irritabilità. Perché? È impossibile dirlo. Soltanto un'analisi dettagliata delle qualità  particolari dei centri di un uomo può mostrare perché la perdita di una qualità ha provocato l'apparizione di un'altra. Questo non vuol dire che la perdita della distrazione debba necessariamente dare origine all'irritabilità. Anche una caratteristica senza alcuna relazione con la distrazione sarebbe potuta apparire, ad esempio la meschinità, l'invidia o qualche altra cosa.
   "Per questo, quando un uomo lavora su di sé in modo giusto, deve considerare i cambiamenti compensatori che possono intervenire e tenerne conto in anticipo. Soltanto in questo modo potrà evitare i cambiamenti indesiderabili, o l'apparizione di qualità interamente opposte al fine e alla direzione del suo lavoro.
   "Ma nel piano generale del lavoro e del funzionamento della macchina umana vi sono certi punti in cui si può apportare un cambiamento senza dare origine ad alcun risultato parassitario.
   "È necessario sapere quali sono questi punti e come avvicinarli, perché senza cominciare da questi punti non si otterrà alcun risultato che non sia cattivo o indesiderabile.
   "Avendo fissato nella sua mente la differenza tra funzioni intellettuali, emozionali, e motrici, un uomo, quando osserva se stesso, deve mettere immediatamente in relazione le sue impressioni a questa o quella categoria e per cominciare, deve annotare nella sua mente soltanto le constatazioni sulle quali non ha alcun dubbio, cioè quelle di cui riconosce subito la categoria. Deve tralasciare tutti i casi vaghi o dubbiosi e ricordarsi soltanto quelli che sono incontestabili. Se questo lavoro è fatto in modo corretto, il numero delle constatazioni indubitabili aumenterà rapidamente. E ciò che gli sembrava dubbioso all'inizio, gli apparirà presto chiaramente derivante dal primo, dal secondo o dal terzo centro.
   "Ogni centro ha la sua propria memoria, le sue proprie associazioni e il suo proprio pensiero. Infatti, ogni centro comprende tre parti: pensante, emotiva e motrice. Noi non sappiamo quasi nulla su questo lato della nostra natura. Non conosciamo che una parte di ciascuno dei nostri centri. Ma l'osservazione di sé ci mostrerà molto rapidamente che la vita dei nostri centri è molto più ricca, o, in ogni caso, che contiene possibilità molto maggiori di quanto pensiamo.
   "Allo stesso tempo, osservando i centri, potremo constatare accanto al loro lavoro corretto il loro lavoro scorretto, cioè quello che un centro fa al posto di un altro: i tentativi di sentimento del centro intellettuale, o le sue pretese di sentimento, i tentativi di pensiero del centro emozionale, i tentativi di pensiero e di sentimento del centro motore. Come ho già detto, il lavoro che un centro fa per un altro è utile, in certi casi, per salvaguardare la continuità della vita. Ma questo tipo di sostituzione, diventando abituale, diventa al tempo stesso nocivo perché comincia ad interferire con il lavoro corretto, permettendo gradatamente a ciascun centro di trascurare i propri compiti immediati e di fare non ciò che è tenuto a fare, ma ciò che più gli piace al momento. In un uomo normale, fisicamente sano, ogni centro fa il proprio lavoro, cioè il lavoro al quale è specialmente destinato e che è qualificato a compiere nel modo migliore. Vi sono nella vita delle situazioni nelle quali non possiamo cavarcela se non con l'aiuto del pensiero, e soltanto di esso. Se, in un momento del genere, il centro emozionale comincia a funzionare al posto del centro intellettuale, ne risulterà una confusione generale e le conseguenze di un tale intervento saranno delle più incresciose. In un uomo non equilibrato, la sostituzione continua di un centro ad un altro è precisamente ciò che si definisce 'squilibrio' o 'nevrosi'. Ogni centro cerca in qualche modo di passare il suo lavoro ad un altro e, al tempo stesso, cerca di fare il lavoro di un altro centro, lavoro per il quale esso non è fatto.
   "Il centro emozionale, quando lavora per il centro intellettuale, introduce un nervosismo, una febbre ed una fretta inutili nelle situazioni in cui occorrerebbe invece della calma nel giudizio e nella deliberazione. Il centro intellettuale, da parte sua, quando lavora per il centro emozionale, si mette a deliberare in situazioni che esigono decisioni rapide e rende impossibile distinguere le particolarità e i punti delicati della situazione. Il pensiero è troppo lento. Esso elabora un certo piano di azione e continua a seguirlo anche quando le circostanze sono cambiate e si rende necessario agire in tutt'altro modo. In certi casi, d'altra parte, l'intervento del centro intellettuale fa nascere delle reazioni del tutto false, perché il centro intellettuale è semplicemente incapace di comprendere le sfumature e le sottigliezze di numerosi avvenimenti. Situazioni del tutto diverse per il centro motore e per il centro emozionale, gli appaiono identiche. Le sue decisioni sono troppo generali e non corrispondono a quelle che avrebbe preso il centro emozionale. Ciò diventa perfettamente chiaro quando ci rappresentiamo l'intervento del pensiero, cioè dello spirito teorico, nell'ambito del sentimento, o della sensazione o del movimento; in ciascuno di questi tre casi l'intervento del pensiero porta a risultati del tutto indesiderabili.
   "Il pensiero non può comprendere le sfumature del sentimento. Afferreremo perfettamente questo concetto se immaginiamo un uomo che ragioni sulle emozioni di un altro. Poiché egli stesso non prova nulla, ciò che l'altro prova non esiste per lui. Un uomo sazio non comprende un uomo che ha fame. Ma per quest'ultimo, la sua fame è ben reale. E le decisioni del primo, che sono quelle dell'intelletto non possono in nessun caso soddisfarlo.
   "Nello stesso modo, il pensiero non può apprezzare le sensazioni. Esse sono per lui delle cose morte. Quanto ai movimenti, il pensiero non è capace di controllarli più di quanto non avvenga con le sensazioni. In questo campo, è facilissimo trovare degli esempi. Qualunque lavoro un uomo stia facendo, sarà sufficiente per lui provare a compiere ciascun gesto deliberatamente, con il suo pensiero, seguendo ciascun movimento, per vedere che la qualità del suo lavoro cambierà immediatamente. Se scrive a macchina, le sue dita, comandate dal suo centro motore, trovano da sole le lettere necessarie, ma se cerca di domandarsi prima di ogni lettera: "Dov'è la C? Dov'è la virgola? Come si sillaba questa parola?", egli fa subito degli errori o si mette a scrivere molto lentamente. Se un uomo guida un'auto con il suo centro intellettuale, certamente non gli converrà passare in seconda. Il pensiero non può seguire il ritmo di tutti i movimenti necessari a una andatura rapida. Guidare in fretta, specialmente nelle strade di una grande città, con il centro intellettuale, è assolutamente impossibile per un uomo comune.
   "Il centro motore, quando esegue il lavoro del centro intellettuale, produce come risultato la lettura meccanica o l'ascolto meccanico, quello di un lettore o di un ascoltatore che percepisce solo delle parole e rimane interamente incosciente di ciò che legge o ascolta. Questo succede generalmente quando l'attenzione, cioè la direzione dell'attività del centro intellettuale, è occupata da qualche altra cosa, e quando il centro motore tenta di supplire al centro intellettuale assente; ma questo diventa molto facilmente un'abitudine, perché il centro intellettuale è generalmente distratto non da un lavoro utile, pensiero o contemplazione, ma semplicemente dal sogno o dall'immaginazione".

   "L'immaginazione è una delle cause principali del cattivo lavoro dei centri. Ogni centro ha la sua propria forma d'immaginazione e di sogno, ma di regola, il centro motore e il centro emozionale si servono ambedue del centro intellettuale, sempre pronto a cedere loro il suo posto e a mettersi a loro disposizione a questo scopo, perché il sogno corrisponde alle sue inclinazioni. Il sogno è assolutamente il contrario di un'attività mentale 'utile'. 'Utile', in questo caso, significa: diretta verso uno scopo definito. Il sogno non tende ad alcun scopo, non si sforza verso alcun fine. L'impulso al sogno si trova sempre nel centro emozionale o nel centro motore. Quanto al processo effettivo, esso è assunto dal centro intellettuale. La tendenza a sognare è dovuta da una parte alla pigrizia del centro intellettuale, cioè ai suoi tentativi di risparmiarsi ogni sforzo legato a un lavoro orientato verso uno scopo definito e verso una direzione definita, dall'altra alla tendenza dei centri emozionale e  motore a ripetersi, a mantenere viventi o a riprodurre delle esperienze piacevoli o spiacevoli, già vissute o 'immaginate'. I sogni penosi, morbosi, sono caratteristici di uno squilibrio della macchina umana. Dopo tutto, si può comprendere il sogno quando presenta un carattere gradevole, e gli si può trovare una giustificazione logica. Ma il sogno di genere penoso è una pura assurdità. Tuttavia, molta gente passa i nove decimi della propria esistenza a immaginare ogni genere di avvenimenti spiacevoli, tutte le disgrazie che possono piombare su di loro e sulla loro famiglia, tutte le malattie che possono contrarre, tutte le sofferenze che dovranno forse sopportare.
   "L' 'immaginazione' e il 'sogno' sono esempi del cattivo funzionamento del centro intellettuale.
   "L'osservazione dell'attività dell'immaginazione e del sogno costituisce una parte molto importante dello studio di sé.
   "In seguito l'osservazione dovrà portarsi sulle abitudini in generale. Ogni uomo adulto è intessuto di abitudini, benché il più delle volte non se ne renda affatto conto e possa anche affermare di non avere alcuna abitudine; che è un caso da escludersi. Tutti e tre i centri sono pieni di abitudini e un uomo non può mai conoscersi senza aver prima studiato tutte le sue abitudini. La loro osservazione e il loro studio sono particolarmente difficili perché, per vederle e per 'constatarle', occorre sfuggire ad esse, rendersene libero non fosse che per un solo momento. Fin tanto che un uomo è governato da un'abitudine particolare, non può osservarla; ma fin dal suo primo tentativo, per quanto debole, di combatterla, egli la sente e la nota. Per tale ragione, per osservare e studiare le abitudini, occorre cercare di lottare contro di esse. Questo ci apre una via pratica di osservazione di sé. Ho detto in precedenza che un uomo non può cambiare nulla in se stesso, che può soltanto osservare e 'constatare'. È vero. Ma è anche vero che un uomo non può osservare e 'constatare' nulla se non tenta di lottare contro sé stesso, vale a dire contro le sue abitudini. Questa lotta non può dare dei risultati immediati; essa non può condurre ad alcun cambiamento permanente o duraturo. Ma rivela ciò che c'è da vedere. Senza lotta, un uomo non può vedere di che cosa è fatto. La lotta contro le piccole abitudini è molto difficile e molto fastidiosa, ma, senza di essa, l'osservazione di sé è impossibile.
   "Fin dal primo tentativo di studio dell'elementare attività del centro motore, un uomo viene a urtarsi con le sue abitudini. Per esempio, può voler studiare i propri movimenti e osservare come cammina. Ma non riuscirà a far questo per più di un istante, se continua a camminare nel modo abituale. Al contrario, se comprende che il suo modo di camminare è fatto di un certo numero di abitudini: passi di una certa lunghezza, una certa andatura, ecc. ... e se tenta di cambiarla, cioè di camminare più o meno svelto, di allungare più o meno il passo, sarà capace di osservare sé stesso e di studiare i suoi movimenti quando cammina. Se un uomo vuole osservarsi mentre scrive, deve notare il modo in cui tiene la penna e tentare di tenerla in modo diverso; allora l'osservazione diventa possibile. Per osservarsi, un uomo deve cercare di non camminare nel modo in cui è abituato, di sedersi in modo inconsueto, deve stare in piedi quando ordinariamente sta seduto, sedersi quando abitualmente sta in piedi, fare con la mano sinistra i movimenti che è uso a fare con la mano destra e viceversa. Tutto ciò gli permetterà di osservarsi e di studiare le abitudini e le associazioni del centro motore.
   "Nel campo delle emozioni, è molto utile tentare di lottare contro l'abitudine di dare immediatamente espressione alle emozioni sgradevoli. Molte persone trovano assai difficile trattenersi dall'esprimere i loro sentimenti circa il cattivo tempo. E ancora più difficile non esprimere emozioni sgradevoli quando ritengono che l'ordine o la giustizia, così come li concepiscono, sono stati violati.
   "La lotta contro l'espressione delle emozioni sgradevoli non è soltanto un eccellente metodo di osservazione di sé, essa ha pure un altro significato. È una delle rare direzioni nelle quali un uomo può cambiare e cambiare le sue abitudini senza provocarne altre indesiderabili. Per tale ragione l'osservazione di sé e lo studio di sé devono accompagnarsi fin dall'inizio ad una lotta contro l'espressione delle emozioni sgradevoli.
   "Se segue tutte queste regole osservando sé stesso, un uomo scoprirà una quantità di aspetti molto importanti del suo essere. Per cominciare, constaterà con chiarezza indubitabile, il fatto che, le sue azioni, i suoi pensieri, i suoi sentimenti e le sue parole sono il risultato di influenze esteriori, e che nulla proviene da lui. Egli comprenderà e vedrà che è effettivamente un automa che agisce sotto l'influenza di stimoli esterni. Egli sentirà la sua completa meccanicità. Tutto accade, l'uomo non può 'fare' nulla. È una macchina comandata dall'esterno da chocs accidentali. Ogni choc richiama alla superficie uno dei suoi 'io'. Un nuovo choc, e questo 'io' scompare, un altro prende il suo posto. Un altro piccolo cambiamento nel mondo che lo circonda, ed ecco ancora un nuovo 'io'.
   "L'uomo comincerà da quel momento a capire che non ha il minimo potere su sé stesso, che non sa mai ciò che potrà dire o fare un momento dopo, che non può rispondere di sé stesso, non fosse che per qualche istante. Capirà che, se rimane lo stesso e non fa nulla di inatteso è semplicemente perché non si verifica alcun cambiamento esteriore inatteso. Capirà che le sue azioni sono interamente comandate dalle  condizioni esterne e che non ha in sé nulla di permanente dal quale possa venire un controllo, non una sola funzione permanente, non un solo stato permanente".

   Vi erano parecchi punti nelle teorie psicologiche di G. che suscitavano particolarmente il mio interesse. Il primo era la possibilità di un cambiamento di sé, vale a dire che, quando un uomo comincia a osservarsi nel modo giusto, per questo stesso fatto comincia a cambiare e non può più essere soddisfatto di sé. Il secondo punto era la necessità di 'non esprimere le emozioni sgradevoli'. Sentii immediatamente che qui si nascondeva qualcosa di grande. E l'avvenire mi diede ragione, perché lo studio delle emozioni e il lavoro sulle emozioni divenne la base dello sviluppo ulteriore di tutto il sistema. Ma questo non mi fu chiaro che molto più tardi. Il terzo punto che aveva attirato la mia attenzione e sul quale mi ero messo subito a riflettere, era l'idea di centro motore. Ciò che mi interessava in special modo, era la relazione che G. stabiliva tra le funzioni motrici e le funzioni istintive. Erano la stessa cosa o erano cose differenti? Inoltre, qual'era il rapporto tra le divisioni fatte da G. e le divisioni abituali della psicologia? Con certe riserve e aggiunte, avevo ritenuto possibile fino a quel momento accettare la vecchia classificazione delle azioni dell'uomo in azioni 'coscienti', azioni 'automatiche' (che devono dapprima essere coscienti), azioni 'istintive' (opportune, ma senza scopo cosciente), e azioni 'riflesse', semplici e complesse, che non sono mai coscienti e che possono essere, in certi casi inopportune. In più, vi erano le azioni compiute sotto l'influenza di disposizioni emozionali nascoste e di impulsi interiori sconosciuti. G. metteva sottosopra tutta questa struttura. Anzitutto negava completamente le azioni 'coscienti' perché, come risultava da tutto ciò che diceva, nulla era cosciente. Il termine 'subcosciente', che ha una parte tanto importante nelle teorie di alcuni autori, diventava in tal modo del tutto inutile e persino ingannevole, perché fenomeni di categorie completamente differenti erano sempre classificati nella categoria 'subcosciente'. La divisione delle azioni, secondo i centri che le comandano, eliminava ogni incertezza e ogni dubbio possibile sulla giustezza di queste divisioni. Particolarmente importante nel sistema di G. era l'idea che azioni identiche potessero avere origine in centri differenti. Un buon esempio è quello della giovane recluta e del vecchio soldato alle esercitazioni. Il primo deve impiegare il suo centro intellettuale per maneggiare il fucile, il secondo lo fa molto meglio con il suo centro motore.
   Ma G. non chiamava 'automatiche' le azioni regolate dal centro motore. Egli designava così solo le azioni che l'uomo compie in maniera a lui stesso non percepibile. Le stesse azioni, dal momento che vengono osservate, non possono più essere chiamate 'automatiche'. Egli attribuiva un gran posto all'automatismo, ma non confondeva funzioni motrici e funzioni automatiche, e, ciò che è più importante ancora, trovava azioni automatiche in tutti i centri: parlava, ad esempio, di 'pensieri automatici' e di 'sentimenti automatici'. Quando l'interrogai sui riflessi, egli li definì 'azioni istintive'. E, come ebbi poi modo di comprendere, fra tutti i movimenti esteriori, considerava soltanto i riflessi come azioni istintive. Ero molto interessato dalla sua descrizione dei rapporti fra le funzioni motrici e istintive e ritornavo spesso su questo argomento nelle mie conversazioni con lui.
   Anzitutto, G. richiamava la nostra attenzione su continuo abuso delle parole 'istinto' e 'istintivo'. Appariva, da quanto diceva, che questi termini non potessero applicarsi di diritto che alle funzioni interne dell'organismo. Respirazione, circolazione del sangue, digestione — tali erano le funzioni istintive. Le sole funzioni esterne appartenenti a questa categoria erano i riflessi. La differenza tra funzioni istintive e motrici era la seguente: le funzioni motrici dell'uomo, come pure quelle degli animali, di un uccello, di un cane, devono essere apprese: ma le funzioni istintive sono innate. L'uomo possiede pochissimi movimenti esteriori innati; gli animali ne hanno di più, benché in varia misura, alcuni di più, altri di meno; ma ciò che è abitualmente definito 'istinto' riguarda molto spesso una serie di funzioni motrici complesse, che i giovani animali imparano dai vecchi. Una delle principali proprietà del centro motore, è la sua capacità di imitazione. Il centro motore imita ciò che vede senza ragionare. Questa è l'origine delle leggende sulla meravigliosa 'intelligenza' degli animali, o sull' ‘istinto' che, prendendo il posto dell'intelligenza, permette loro di compiere tutta una serie di azioni complesse e perfettamente adeguate.
   L'idea di un centro motore indipendente, che non dipende cioè dalla mente, che non richiede la mente, che è di per sé una mente, ma che d'altra parte non dipende neppure dall'istinto e deve prima di tutto educarsi — poneva un numero grandissimo di problemi su una base interamente nuova. L'esistenza di un centro motore che funziona per imitazione, spiegava il mantenimento dell' 'ordine esistente' negli alveari, nei termitai e nei formicai. Guidata dall'imitazione, una generazione deve assolutamente modellarsi sul sistema della generazione precedente. Non può esservi alcun cambiamento, alcuna deviazione dal modello. Ma l'imitazione non spiega come un tale ordine si sia stabilito all'origine. Ero spesso tentato di porre un'infinità di domande a questo proposito. Ma G. sfuggiva tali conversazioni riconducendole sempre all'uomo e ai problemi reali dello studio di sé.

   Molte cose mi erano divenute chiare con l'idea che ciascun centro non è solamente una forza di impulso, ma anche un 'apparecchio ricevente' che capta influenze diverse e talvolta molto distanti. Quando pensavo a ciò che era stato detto sulle guerre, le rivoluzioni, le migrazioni dei popoli, ecc, quando mi rappresentavo come le masse umane potevano muoversi sotto il controllo di influenze planetarie, intravedevo il nostro errore fondamentale nel determinare le azioni individuali. Noi consideriamo le azioni di un individuo come aventi origine in lui stesso. Non immaginiamo che le 'masse' possono essere formate da automi che obbediscono a stimoli esterni e possono muoversi, non sotto l'influenza della volontà, della coscienza o delle tendenze degli individui, ma sotto l'influenza di stimoli esteriori, provenienti anche da molto lontano.
   "Le funzioni istintive e motrici possono essere governate da due centri distinti?", domandai un giorno a G.
   "Sì, disse, e occorre aggiungervi il centro sessuale. Questi sono i centri del piano inferiore. Il centro sessuale agisce come centro neutralizzante in rapporto ai centri istintivo e motore. Il piano inferiore può esistere di per sé, perché in esso i tre centri sono i conduttori di tre forze. I centri intellettuale e emozionale non sono necessari alla vita".
   "Qual è attivo e quale passivo dei centri del piano inferiore?".
   "Ciò cambia, rispose G. Talvolta il centro motore è attivo, e il centro istintivo passivo. Talvolta è il contrario. Dovete trovare in voi stesso esempi di questi due stati. Ma indipendentemente dai differenti stati, vi sono anche differenze di tipi. Presso alcuni il centro motore è più attivo, presso altri è il centro istintivo. Ma per maggiore comodità nel ragionamento, e soprattutto al principio, quando ciò che più conta è l'esplicazione dei principi, noi li consideriamo come un solo centro comportante differenti funzioni che lavorano allo stesso livello. I centri intellettuale, emozionale e motore, lavorano a differenti livelli. I centri motore e istintivo a uno stesso livello. Più in là comprenderete cosa significano questi livelli e da cosa dipendono".

P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff, pp 117-130

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