Un gruppo permanente cominciava a prendere forma. Un giorno in cui eravamo con G., gli domandai: "Perché la conoscenza è tenuta così accuratamente segreta? Se l'antica conoscenza è stata preservata e se, parlando in generale, esiste una conoscenza distinta dalla nostra scienza e dalla nostra filosofia, o ad esse anche superiore, perché non diventa proprietà comune? Perché i suoi detentori si rifiutano di lasciarla entrare nel circuito generale della vita, in vista di una lotta migliore o più decisiva contro la menzogna, il male e l'ignoranza?".
Questo è, io penso, un problema che generalmente sorge in tutti coloro che incontrano per la prima volta le idee dell'esoterismo.
"Vi sono due risposte, disse G.; in primo luogo, questa conoscenza non è tenuta segreta, e in secondo luogo non può, per la sua stessa natura, diventare proprietà comune. Esamineremo subito questo secondo punto. Vi proverò in seguito che la conoscenza, egli accentuò la parola, è molto più accessibile di quanto si creda a coloro che sono capaci di assimilarla; il guaio è che la gente o non la vuole o non la può ricevere.
"Ma innanzitutto bisogna capire che la conoscenza non può appartenere a tutti e non può neppure appartenere a molti. Tale è la legge.
Voi non la comprendete, perché non vi rendete conto che la conoscenza, come ogni cosa di questo mondo, è materiale. È materiale, ossia possiede tutte le caratteristiche della materialità. Ora, una delle prime caratteristiche della materialità è che la materia è sempre limitata, voglio dire che la quantità di materia in un dato luogo e in determinate condizioni è sempre limitata. Anche la sabbia del deserto e l'acqua dell'oceano sono in quantità invariabile e strettamente misurata. Di conseguenza, dire che la conoscenza è materiale significa che in un luogo e in un tempo dato ve ne è una quantità definita. Si può dunque affermare che, nel corso di un certo periodo, poniamo un secolo, l'umanità dispone di una quantità definita di conoscenza. Ma noi sappiamo, attraverso un'osservazione anche elementare della vita, che la materia della conoscenza possiede qualità interamente diverse a seconda che essa sia assorbita in piccole o in grandi quantità. Presa in grande quantità in un dato
luogo, da un uomo, o da un piccolo gruppo di uomini, essa da risultati molto buoni; presa in piccola quantità da ognuno degli individui che compongono una grande massa di uomini, essa non da alcun risultato, o forse talvolta dei risultati negativi, contrari a quelli che si attendevano. Dunque, se una quantità definita di conoscenza viene ad essere distribuita tra milioni di uomini, ciascun individuo ne riceverà pochissima, e questa piccola dose di conoscenza non potrà cambiare nulla né nella sua vita, né nella sua comprensione delle cose. Qualunque sia il
numero di coloro che assorbiranno questa piccola dose, il suo effetto sulla loro vita sarà nullo, seppure non la renderà anche più difficile.
"Ma se, al contrario, grandi quantità di conoscenza possono essere concentrate in un piccolo gruppo di persone, allora questa conoscenza darà risultati grandissimi. Da questo punto di vista, è molto più vantaggioso che la conoscenza sia preservata in un piccolo gruppo e non diffusa tra le masse.
"Se, per dorare degli oggetti, prendiamo una certa quantità d'oro, dobbiamo conoscere o calcolare il numero esatto degli oggetti che con questa quantità si potranno dorare. Se tentiamo di dorarne un numero maggiore, la doratura risulterà ineguale, a chiazze, ed essi appariranno peggiori che se non fossero stati dorati del tutto; di fatto, avremo sprecato il nostro oro.
"La distribuzione della conoscenza si basa su un principio rigorosamente analogo. Se la conoscenza dovesse esser data a tutti, nessuno riceverebbe nulla. Se essa è riservata a pochi, ciascuno ne riceverà abbastanza non solo per conservare ciò che riceve, ma per accrescerlo.
"A prima vista questa teoria sembra molto ingiusta, perché la situazione di coloro ai quali la conoscenza è, in certo qual modo, rifiutata affinché altri ne possano ricevere di più, sembra tristissima, immeritata e più crudele di quanto dovrebbe. La realtà è però del tutto diversa; nella distribuzione della conoscenza non vi è ombra di ingiustizia.
"Il fatto è che l'enorme maggioranza della gente ignora il desiderio di conoscere; essa rifiuta la sua parte di conoscenza, trascura persino di prendere, nella distribuzione generale, la parte che le è assegnata per i bisogni della vita. Questo è particolarmente evidente in periodi di pazzia collettiva, di guerre, di rivoluzioni, quando gli uomini sembrano ad un tratto perdere persino quel piccolo granello di buon senso che di solito avevano e, trasformati in completi automi, si abbandonano a giganteschi massacri, perdendo persino l'istinto di conservazione. Enormi quantità di conoscenza rimangono così, in certo modo, non richieste, e possono essere distribuite a coloro che sanno apprezzarne il valore.
"Non vi è nulla di ingiusto in tutto questo, perché coloro che ricevono la conoscenza non prendono niente che appartenga ad altri, non privano gli altri di qualcosa; prendono soltanto ciò che gli altri hanno rigettato come inutile e che, in ogni caso, andrebbe perduto se essi non lo prendessero.
"L'accumulare conoscenza da parte di alcuni, dipende dal fatto che altri la rifiutano.
"Vi sono periodi nella vita dell'umanità, che generalmente coincidono con l'inizio del declino delle civiltà, in cui le masse perdono irrimediabilmente la ragione e si mettono a distruggere tutto ciò che era stato creato in secoli e millenni di cultura. Tali periodi di demenza, che spesso coincidono con cataclismi geologici, perturbazioni climatiche, ed altri fenomeni di carattere planetario, liberano una grandissima quantità di questa materia di conoscenza. Ciò che, a sua volta, rende necessario un lavoro di ricupero, senza il quale essa andrebbe perduta. Così, il lavoro consistente nel raccogliere la materia sparsa della conoscenza, molto spesso coincide con il declino e la distruzione di culture e civiltà.
"Questo aspetto della questione è chiaro. Le masse non si preoccupano della conoscenza, non vogliono saperne, e i loro capi politici, nel proprio interesse, non lavorano che a rafforzarne l'avversione, la paura del nuovo e dell'ignoto. La schiavitù nella quale vive l'umanità è basata su questa paura. È persino difficile immaginarne tutto l'orrore. La gente non comprende il valore di ciò che perde. Ma per capire la causa di tale schiavitù basta osservare come vivono le persone, ciò che costituisce lo scopo della loro esistenza, l'oggetto dei loro desideri, delle
loro passioni e aspirazioni, a che pensano, di cosa parlano, cosa servono e adorano. Guardate dove va a finire il denaro della società colta dei nostri tempi; a parte la guerra, considerate ciò che impone i prezzi più alti, dove si riversano le grandi folle. Se si riflette un momento intorno a questi fatti, diventa chiaro che l'umanità, così com'è ora, con gli interessi di cui vive, non può aspettarsi niente di diverso da ciò che ha. Ma come ho già detto, non può essere altrimenti. Immaginate che, per tutta l'umanità, non vi sia che una mezza libbra di conoscenza disponibile all'anno! Se questa conoscenza viene diffusa tra le masse, ciascuno ne riceverà così poco che continuerà a restare il pazzo che era. Ma, grazie al fatto che pochissimi uomini hanno il desiderio di questa conoscenza, coloro che la chiedono potranno riceverne, per così dire, un granello ciascuno, e acquistare la possibilità di diventare più intelligenti. Tutti
non potrebbero diventare intelligenti, anche se lo desiderassero. Se anche diventassero intelligenti, non servirebbe a nulla, perché esiste un equilibrio generale che non potrebbe essere rovesciato.
"Ecco un aspetto. L'altro, come ho già detto, consiste nel fatto che nessuno nasconde nulla; non vi è il minimo mistero. Ma l'acquisizione o la trasmissione della vera conoscenza esige grande fatica e grandi sforzi, sia da parte di chi riceve che da parte di chi da. Coloro che possiedono questa conoscenza fanno tutto ciò che possono per trasmetterla e comunicarla al più gran numero possibile di uomini, per aiutarli ad avvicinarsi ad essa e renderli capaci di prepararsi a ricevere la verità. Ma la conoscenza non può essere data con la forza a coloro che non la vogliono e, come abbiamo appena visto, un esame imparziale della vita dell'uomo medio, dei suoi interessi, di ciò che riempie le sue
giornate, dimostrerà immediatamente che è impossibile accusare gli uomini che posseggono la conoscenza di nasconderla, di non volerla trasmettere o di non desiderare di insegnare agli altri ciò che essi sanno.
"Colui che desidera la conoscenza deve fare egli stesso gli sforzi iniziali per trovarne la sorgente, per avvicinarla, servendosi delle indicazioni date a tutti, ma che generalmente la gente non desidera vedere, né riconoscere. La conoscenza non può venire agli uomini senza che essi facciano degli sforzi. Essi lo capiscono benissimo quando non si tratta che di conoscenze ordinarie; ma nel caso della grande conoscenza, posto che ne ammettano la possibilità di esistenza, pensano che ci si possa aspettare qualcosa di diverso. Ognuno sa benissimo, per esempio, che chi voglia imparare il cinese dovrà lavorare intensamente per molti anni; tutti sanno che cinque anni di studi sono indispensabili per afferrare i principi della medicina, e più del doppio, forse, per lo studio della musica e della pittura. E tuttavia certe teorie affermano che la conoscenza può venire senza alcuno sforzo, che essa può essere acquisita anche dormendo. Il solo fatto che esistano simili teorie costituisce una spiegazione supplementare del fatto che la conoscenza non può raggiungere gli uomini. Allo stesso tempo è essenziale comprendere che gli sforzi indipendenti di un uomo per raggiungere qualcosa in questa direzione non possono, da soli, dare alcun risultato. Un uomo può raggiungere la conoscenza soltanto con l'aiuto di coloro che la posseggono. Questo deve essere compreso fin dall'inizio. Bisogna imparare da coloro che sanno".
P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto - la
testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G. I. Gurdjieff,
pp 44-48
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