venerdì 30 dicembre 2016

Il metodo e il fine - Osho

La prima domanda: Se illuminazione e samadhi significano consapevolezza totale, consapevolezza cosmica, consapevolezza omnipervasiva, sembra molto strano chiamare centratura questo stato di consapevolezza cosmica, dal momento che la parola ‘centratura’ implica la concentrazione in un punto. Perché dunque la consapevolezza cosmica, o samadhi, è chiamata centratura?”.

La centratura è il sentiero, non la meta. La centratura è il metodo, non il risultato. Il samadhi non è chiamato centratura: la centratura è la tecnica per giungere al samadhi.
Naturalmente sembrano contradditori perché quando un individuo si realizza, si illumina, non rimane più alcun centro. Jacob Bohme ha detto che quando si arriva a Dio, questa esperienza può essere descritta in due modi: ora il centro è ovunque, oppure da nessuna parte; entrambe le cose hanno lo stesso significato. Perciò la parola “centratura” sembra contraddittoria, ma il sentiero non è la meta e il metodo non è il risultato. E un metodo può essere contraddittorio. Dunque dobbiamo comprenderlo perché questi centododici metodi sono metodi per centrarsi. Ma, una volta che diventerai centrato, esploderai. La centratura è solo il raccoglierti totalmente in un unico punto, una volta cristallizzato in un solo punto, quel punto, esplode automaticamente. Allora non c’è più alcun centro, oppure il centro è ovunque. Perciò la centratura è un mezzo per esplodere. Perché la centratura diventa il metodo? Se non sei centrato la tua energia non è focalizzata, è dispersa, non può esplodere. Un’esplosione ha bisogno di una grande energia. Esplosione significa che tu ora non sei disperso: sei in un punto solo. Diventi atomico, diventi un atomo spirituale. E solo quando sei abbastanza centrato da diventare un atomo, puoi esplodere. Allora si verifica un’esplosione atomica. Di quell’esplosione non si parla perché non è possibile, perciò viene dato solo il metodo. Del risultato non si parla: non è possibile. Se metti in pratica il metodo, il risultato seguirà, e non c’è modo di esprimerlo. Perciò ricorda: fondamentalmente la religione non parla mai dell’esperienza in sé, parla solo del metodo, mostra il “come”, non il “cosa”. Il “cosa” è lasciato a te. Se metti in pratica il “come”, ti arriverà il “cosa”. E non c’è modo di comunicarlo. Si può conoscere, ma non comunicare: è un’esperienza talmente infinita che il linguaggio diventa inutile. La vastità è tale che nessuna parola è in grado di esprimerla. Perciò viene dato solo il metodo. Si narra che il Buddha per quarant’anni abbia continuato a ripetere: “Non fatemi domande sulla verità, su Dio, sul nirvana, sulla liberazione. Non chiedetemi nulla in merito. Chiedetemi solo come arrivare fin lì. Posso mostrarvi il sentiero, ma non posso trasmettervi l’esperienza, neppure a parole”. L’esperienza è personale; il metodo è impersonale. IL metodo è scientifico, impersonale; l’esperienza è sempre personale e poetica. Che cosa intendo quando distinguo in questo modo? Il metodo è scientifico. Se riesci a metterlo in pratica, la centratura ne sarà il risultato inevitabile. Se la centratura non si realizza, sappi che da qualche parte hai mancato un punto essenziale, hai sbagliato il metodo, non lo hai seguito.
Il metodo è scientifico, la centratura è scientifica, ma quando arriva l’esplosione, quest’ultima è poetica. Con poetica intendo che ognuno di voi ne farà esperienza in un modo diverso. Non c’è alcun terreno comune, e ognuno l’esprimerà in un modo diverso. Il Buddha dice una cosa, Mahavira ne dice un’altra, Krishna dice qualcosa di ancora diverso e Gesù, Maometto, Mosè e Lao Tzu differiscono tutti, non nei metodi, ma nel modo in cui esprimono la loro esperienza. Sono tutti d’accordo su un punto solo: qualunque cosa stiano dicendo non esprime quello che hanno provato; sono d’accordo solo su quel punto.
Tuttavia, in qualche modo, cercano di comunicarla, di farne un accenno. Sembra impossibile, ma se hai un cuore empatico qualcosa può essere comunicato, e ciò richiede un accordo profondo, amore e riverenza. Perciò quando qualcosa viene comunicato, ciò non dipende da colui che la comunica, dipende da te. Se riesci a riceverlo con profondo amore e riverenza, qualcosa ti raggiunge. Ma se ne sei critico, non ti giungerà nulla.
Innanzitutto il messaggio è difficile da esprimere e, se sei critico persino quando viene espresso, diventa impossibile, e non ci sarà comunicazione. La comunicazione è molto delicata. Ecco perché in tutti questi centododici metodi, questo è stato completamente omesso, è solo accennato. Molte volte Shiva dice: “Fate questo e poi l’esperienza”, e poi tace; “Fate questo e poi la beatitudine”, e poi tace. La beatitudine, l’esperienza, l’esplosione: oltre di esse si nasconde l’esperienza personale. Ciò che non può essere espresso è meglio che non sia espresso, perché altrimenti verrà frainteso. Perciò Shiva tace: parla sempre di metodi, di tecniche, di come farlo. Ma la centratura non è il fine: è solo il cammino. E come mai la centratura accade, si sviluppa e cresce in un’esplosione?
Perché se molta energia è concentrata in un solo punto, il punto esploderà. Il punto è così piccolo e l’energia è così intensa che il punto non può contenerla; da ciò l’esplosione.
Questa lampadina può contenere una certa quantità di elettricità. Se l’elettricità è maggiore, la lampadina esploderà. Ecco il perché della centratura: quanto più sei centrato, tanto maggiore è l’energia nel tuo centro. Non appena ci sarà un’energia maggiore, il centro non sarà più in grado di contenerla: esploderà. Dunque è scientifico, è solo una legge scientifica. E se il centro non esplode, questo significa che non sei ancora centrato.
Una volta che sei centrato, l’esplosione seguirà immediatamente. Non c’è alcun intervallo di tempo. Perciò, se senti che l’esplosione non arriva, significa che non sei ancora focalizzato, non hai ancora un centro, hai ancora molti centri, sei ancora diviso, la tua energia è ancora dispersa, l’energia sta ancora movendosi verso l’esterno. Quando l’energia fuoriesce vieni solo svuotato, disperso. Alla fine diventerai impotente. Quando la morte arriva, in realtà sei già morto: sei solo una cellula morta. Hai continuato a scaricare energia all’esterno, perciò, qualunque sia la quantità di energia, diventerai vuoto entro un certo periodo di tempo. L’energia che fuoriesce significa morte. Tu stai morendo in ciascun istante: ti stai svuotando della tua energia; stai gettando via la tua energia, la stai dissipando. Dicono che persino il sole, che è rimasto lì per milioni e milioni di anni, un così grande serbatoio di energia, si stia costantemente svuotando, e che nel giro di quatto bilioni di anni morirà. Il sole morirà semplicemente perché non avrà energia da irradiare.
Muore ogni giorno perché i raggi trasportano la sua energia verso i confini dell’universo, se mai ci sono dei confini. L’energia fuoriesce. Solo l’uomo è capace di trasformare e di cambiare la direzione dell’energia. Altrimenti la morte è un fenomeno naturale: ogni cosa muore. Solo l’uomo è capace ci conoscere l’immortale, ciò che non muore. Perciò puoi condensare tutto questo in una legge. Se l’energia esce verso l’esterno ne conseguirà la morte e tu non saprai il significato della vita: potrai conoscere solo un lento morire, ma non sentirai mai l’intensità di essere vivo. Se l’energia esce, la morte ne è l’automatica conseguenza, e ciò vale per qualunque cosa, senza eccezioni. Se riesci a cambiare la direzione dell’energia, a far sì che non si muova verso l’esterno, ma verso l’interno, accade una trasformazione, un cambiamento. Questa energia che rientra all’interno si centra in te in un punto solo. Quel punto è proprio vicino all’ombelico perché in realtà sei nato come ombelico. Sei connesso a tua madre attraverso l’ombelico: la sua energia vitale si riserva in te attraverso l’ombelico e, una vota che il cordone ombelicale è tagliato, quando vieni separato dalla madre, diventi un individuo. Prima non lo eri, eri solo una parte di tua madre. Perciò la tua vera nascita ha luogo quando il cordone ombelicale è tagliato. In quel momento il bambino comincia la propria vita, diventa il proprio centro.
Quel centro si trova necessariamente a livello dell’ombelico, perché è attraverso l’ombelico che l’energia giunge al bambino. Era l’anello di connessione. E, che tu ne sia consapevole o meno, l’ombelico rimane ancora il centro. Se l’energia comincia a riversarsi all’interno, se cambi la direzione dell’energia in modo tale che entri, finirà nell’ombelico. Continuerà a entrare e si centrerà nell’ombelico. Quando ce n’è così tanta che l’ombelico non riesce più a contenerla, il centro esplode. In quell’esplosione tu, di nuovo, non sei più un individuo.
Non eri un individuo quando eri unito a tua madre; di nuovo non sarai più un individuo. Ha avuto luogo una nuova nascita: sei diventato una cosa sola con il cosmo. Ora non hai più un centro, non puoi dire: “Io”. Ora non c’è più alcun ego. Un Buddha, un Krishna continuano a parlare e a usare la parola “io”, ma è solo una convenzione, questi esseri non hanno alcun ego. Loro non sono. Il Buddha stava morendo. Il giorno in cui sarebbe morto moltissima gente, i discepoli, snnyasin si radunarono ed erano tutti tristi: piangevano e si lamentavano. Perciò il Buddha chiese: “Perché state piangendo?”. Qualcuno rispose: “Perché presto tu non ci sarai più”. Il Buddha rise e disse: “Ma io non ci sono stato per quarant’anni. Sono morto il giorno in cui mi sono illuminato. E’ da quarant’anni che non c’è il centro. Non piangete, dunque; non siate tristi. Ora nessuno sta per morire. Io non ci sono più! Tuttavia la parola ‘io’ dev’essere ancora usata, perfino per indicare che io non ci sono più”. La religione, tutto ciò che si intende per ricerca religiosa si occupa dell’energia che rientra all’interno. Come smuovere l’energia, come creare una totale inversione di direzione? Questi metodi sono d’aiuto. Perciò ricorda, la centratura non è il samadhi, non è l’esperienza, è la soglia che conduce all’esperienza. E quando l’esperienza accade non c’è alcuna centratura. La centratura è soltanto un passaggio. Ora tu non sei centrato, in realtà hai centri molteplici. Questa è la ragione per la quale io dico che ora non sei centrato. Quando divieni centrato, c’è un centro solo, e l’energia che andava agli altri centri ritorna; è un tornare a casa. Allora sei nel tuo centro; poi... l’esplosione. Di nuovo il centro non c’è più, ma tu non hai più centri molteplici: non c’è affatto alcun centro e sei diventato una cosa sola con il cosmo. Allora tu e l’esistenza significante la stessa e unica cosa. Per esempio, un iceberg galleggia in mare. L’iceberg ha un suo centro, ha un’individualità separata, è separato dall’oceano. In fondo in fondo non è separato perché non è nient’altro che acqua a una certa temperatura. La differenza tra l’acqua dell’oceano e l’iceberg non è nella sostanza, sostanzialmente sono la stessa cosa. La differenza è solo di temperatura. Poi sorge il sole, l’atmosfera si surriscalda e l’iceberg comincia a sciogliersi: scompare, si scioglie; alla fine non lo vedi più perché in esso non c’è alcuna individualità, alcun centro. E’ diventato tutt’uno con l’oceano. Tu e il Buddha, coloro che stavano crocifiggendo Gesù, e Gesù stesso, Krishna e Arjuna siete uguali. Arjuna è come un iceberg e Krishna è come un oceano. Non c’è alcuna differenza sostanziale: entrambi sono la stessa cosa, ma Arjuna ha una forma, un nome, un’esistenza individuale e isolata.
Lui sente: “Io sono”. Con questi metodi per centrarsi la temperatura cambierà, l’iceberg si scioglierà e quindi la differenza non ci sarà più. Quella sensazione oceanica è il samadhi; quell’essere un iceberg è la mente. E sentirsi oceanici e essere una nonmente. La centratura è soltanto il passaggio, il punto di trasformazione a partire dal quale l’iceberg non esisterà più. Prima di esso non c’era alcun oceano, solo un iceberg. Dopo non ci sarà più alcun iceberg, solo l’oceano. La sensazione oceanica è il samadhi: sentirsi una cosa sola con il Tutto. Ma io non sto dicendo di pensarti una cosa sola con il Tutto. Puoi pensarlo, ma il pensare viene prima della centratura. Questo non è realizzazione. Tu non sai: hai solo sentito dire, hai letto, Speri che un giorno possa accadere anche a te, ma non lo hai realizzato. Prima di centrarti puoi continuare a pensare, ma non serve a niente.
Dopo che ti sei centrato non pensi. Lo sai! E’ accaduto! Tu non esisti più, esiste solo l’oceano. La centratura è il metodo, il samadhi è il fine. Non si è detto nulla riguardo a ciò che accade nel samadhi perché nulla può essere detto. E Shiva è molto scientifico: non è affatto interessato a raccontare, è telegrafico, non usa una sola parola in più. Perciò accenna solo: “L’esperienza, la beatitudine, l’evento”. Non solo: a volte dice semplicemente “allora”. Dice: “Concentrati tra i due respiri e allora”. E si ferma. A volte dice semplicemente: Sii nel mezzo, proprio nel mezzo tra i due estremi, e a quel punto”.
Queste sono indicazioni: “quello “, “allora”, l’esperienza, la beatitudine, l’evento, l’esplosione. Ma poi si ferma completamente. Perché? Vorremmo che dicesse qualche cosa in più. Per due ragioni. Primo “quello” non può essere spiegato. Come mai? Ci sono pensatori, per esempio i positivisti moderni, gli analisti del linguaggio e altri in Europa, che dicono che ciò di cui si può avere esperienza può essere spiegato. E sostengono una tesi: dicono che se puoi farne esperienza, perché dunque non puoi parlarne? Dopo tutto cos’è un’esperienza? L’hai capita, perché dunque non puoi farla capire ad altri? Quindi dicono che se un’esperienza si verifica, può essere espressa. E se non puoi esprimerla, ciò dimostra semplicemente che non c’è alcuna esperienza. Sei una persona dalle idee confuse, vaga, nebulosa. E se non riesci neppure a esprimerti, non c’è possibilità che tu sia in grado di farne esperienza. A causa di questo punto di vista costoro sostengono che la religione è tutta ciarlataneria. Perché non puoi esprimere una cosa se dici di averne fatto esperienza? La loro tesi attrae molti, ma è infondata: lasciando da parte le esperienze religiose, neppure le esperienze ordinarie possono essere spiegate ed espresse, neppure esperienze molto semplici. Ho il mal di testa e, se tu non lo hai mai avuto, non posso spiegarti che cosa significhi. Questo non significa che io sia una persona dalle idee confuse, che io stia solo pensando e che non abbia alcuna esperienza. Il mal di testa c’è. Io ne faccio esperienza nella sua totalità, nella sua piena dolorosità. Tuttavia se tu non hai mai avuto l’esperienza di un mal di testa, non ti può essere spiegato, o illustrato.
Se invece anche tu ne hai avuto esperienza, allora naturalmente, non c’è alcun problema: può essere espresso. La difficoltà del Buddha sta in questo: deve parlare con dei non- Buddha, non con dei non-buddhisti, perché anche dei non-buddhisti possono essere dei Buddha. Gesù non è buddista, ma è un Buddha. La difficoltà esiste perché il Buddha deve comunicare con persone che non hanno fatto esperienza. Tu non sai cosa sia un mal di testa. Molti non lo hanno mai provato: hanno solo udito la parola, ma per loro non ha alcun senso. Puoi parlare della luce con un cieco, ma non potrai dargliene l’idea. Sente la parola “luce”, ascolta la spiegazione. Può comprendere l’intera teoria della luce, comunque la parola “luce” non gli dice niente. A meno che non possa farne esperienza, la comunicazione è impossibile. Dunque, prendi nota: la comunicazione è possibile solo se le due persone che comunicano tra di loro hanno avuto la stessa esperienza. Nella vita ordinaria siamo in grado di comunicare perché le nostre esperienze sono simili. Ma anche allora ci saranno difficoltà, se si comincia a spaccare il capello in quattro. Io dico che il cielo è blu e anche tu lo dici, ma come facciamo a decidere se la mia esperienza del blu è uguale alla tua? Non c’è alcun modo per decidere. Posso vedere una diversa sfumatura di blu e tu ne vedi una ancora differente, ma non ti può essere comunicato che cosa io veda dentro di me, che cosa sto provando. Posso semplicemente dire “blu”. Anche tu dici “blu”, ma il blu ha mille sfumature, non solo: ha mille significati. Nel mio schema mentale, “blu” potrebbe significare una cosa; per te potrebbe significare un’altra perché “blu” non è il significato. Il significato sta sempre nello schema della mente. Perciò, persino nelle esperienze comuni è difficile comunicare. Inoltre ci sono esperienze che appartengono all’ambito del trascendente. Per esempio, qualcuno s’innamora, prova qualcosa. La sua vita intera è in gioco, ma lui non riesce a spiegare che cosa gli sia accaduto, che cosa gli stia accadendo. E’ possibile che pianga, canti, danzi: queste sono indicazioni che qualcosa sta accadendo dentro di lui. Ma che cosa sta accadendo? Quando l’amore accade a qualcuno, che cosa accade realmente? E l’amore non è un fenomeno molto insolito. In un modo e nell’altro capita a tutti; tuttavia non siamo ancora riusciti a esprimere cosa accada all’interno. Ci sono persone che sentono l’amore come una febbre, come una sorta di malattia. Rousseau dice che la giovinezza non è il culmine della vita umana, perché è incline alla malattia chiamata amore. A meno che non si sia diventati vecchi a tal punto che l’amore ha perso tutto il suo significato, la mente rimane confusa e perplessa.
Perciò la saggezza è possibile solo in età molto, molto avanzata. L’amore non ti permetterà di essere saggio, questa è la sensazione. Ci sono altri che possono sentire diversamente. Coloro che sono veramente saggi taceranno di fronte all’amore. Non diranno nulla, perché il sentimento dell’amore è così infinito, così profondo, che il linguaggio lo tradirebbe inevitabilmente. E, se viene espresso, ci si sente colpevoli perché non si riesce mai a rendere giustizia al sentimento dell’infinito. Perciò si rimane in silenzio: quanto più profonda è l’esperienza, tanto minore è la possibilità di espressione. Il Buddha tacque riguardo a Dio, non perché non vi sia alcun Dio. E coloro che sono molto loquaci riguardo a Dio in realtà dimostrano di non averne alcuna esperienza. Il Buddha tacque.
Ogni volta che entrava in una città dichiarava: “Per piacere non chiedetemi nulla su Dio.
Potete chiedermi qualunque cosa, ma non su Dio”. Eruditi, pandit che non avevano in verità alcuna esperienza, ma solo delle conoscenze, cominciarono a parlare del Buddha e a diffondere delle voci dicendo: “Tace perché non sa. Se sapesse, perché non parlarne?”.
E il Buddha rideva, e quel riso poteva venir capito solo da pochissimi. Se non può essere espresso l’amore, come potrebbe essere espresso Dio? Inoltre ogni espressione è dannosa. Ecco perché Shiva tace riguardo a quell’esperienza. Giunge fino al punto a partire dal quale un dito può essere usato come indicazione: “Allora, quello, l’esperienza”, e poi tace. In secondo luogo, sarebbe non possa essere espresso veramente, ma solo parzialmente, tuttavia si possono creare dei paralleli che aiutano. Ma Shiva non usa neppure quelli, e c’è una ragione: infatti la nostra mente è così avida che quando viene detto qualcosa di quell’esperienza, vi si aggrappa. E quindi si dimentica il metodo e si ricorda solo l’esperienza, perché il metodo necessita di sforzo; un lungo sforzo che talvolta è noioso, a volte pericoloso. E’ necessario uno sforzo lungo e sostenuto. Perciò ci dimentichiamo del metodo. Ci ricordiamo del risultato e continuiamo a immaginarci, a sperare, a desiderare il risultato. E si può ingannare se stessi molto facilmente. Ci si può immaginare di aver già conseguito il risultato. Un paio di giorni fa era presente una persona; è un sannyasin, un uomo vecchio, molto vecchio. Prese il sannyas trent’anni fa, ora ne ha quasi settanta. Venne da me e disse: “Sono venuto per fare alcune indagini, per sapere una certa cosa”. Perciò gli chiesi: “Che cosa vuoi sapere?”. Improvvisamente cambiò. Disse: “No, non proprio per sapere, volevo solo incontrarti, perché tutto ciò che si può sapere l’ho già saputo”. Per trent’anni ha continuato a immaginare, a desiderare – a desiderare la beatitudine, esperienze divine – e ora, alla sua età avanzata, è diventato debole e la morte è vicina. Ora si crea delle allucinazioni, per convincersi di averne fatto esperienza. Perciò gli dissi: “Se ne hai fatto esperienza, allora stà zitto. Stà qui con me per qualche istante perché non c’è bisogno di parlare”. A quel punto diventò irrequieto.
Replicò: “Va bene! Allora presumi che io non ne abbia fatto esperienza, e dimmi qualcosa”. Gli dissi: “Con me non c’è possibilità di presumere. L’hai conosciuto oppure non l’hai conosciuto. Quindi sii chiaro al riguardo. Se l’hai conosciuto, allora sta zitto. Stà qui per alcuni istanti e poi va’. Se non l’hai conosciuto, allora sii chiaro. Dimmelo”. Rimase perplesso. Era venuto per indagare su alcuni metodi. Perciò disse: “In realtà non ne ho fatto esperienza, ma ho pensato così tanto a: ‘Aham Brahmasmi – io sono il Braham’ che a volte mi dimentico che sto solo pensando. L’ho ripetuto così tanto, notte e giorno continuamente per trent’anni, che a volte mi dimentico del tutto che tutto che non l’ho conosciuto. E’ solo un detto preso in prestito”. E’ difficile ricordarsi che cosa sia sapere e che cosa sia esperienza. Si confondono, si mescolano e si fondono. Ed è molto facile sentire che il proprio sapere è diventato la propria esperienza. La mente umana è così ingannatrice, così astuta, che può accadere. Questa è un’altra ragione per la quale Shiva ha taciuto riguardo all’esperienza: non dice nulla in merito. Continua a parlare di metodi, tacendo completamente riguardo al risultato. Non puoi venire ingannato da lui. Questa è una delle ragioni per le quali questo libro, uno dei più validi, è rimasto del tutto sconosciuto. Questo Vigna Bhairava Tantra è uno dei libri più importanti che esistano al mondo. Nessuna Bibbia, nessuna Gita è così importante, eppure è rimasto completamente sconosciuto. La ragione? Contiene solo semplici metodi senza alcuna possibilità per la tua avidità di aggrapparti ai risultati. La mente vuole aggrapparsi ai risultati, non è interessata al metodo: è interessata al risultato finale. E se puoi eludere il metodo e raggiungere il risultato, la mente ne sarà estremamente felice. Qualcuno mi ha chiesto: “Perché così tanti metodi? Kabir ha detto: ‘Sahaj Samadhi bhali, sii spontaneo’.
L’estasi spontanea è quella buona, perché non c’è bisogno di metodi”. Gli ho risposto: “Se hai raggiunto il Sahaj Samadhi, l’estasi spontanea, allora, naturalmente, non ti serve alcun metodo. Non è necessario. Ma perché sei venuto qui?”. Mi ha detto: “Non l’ho ancora raggiunto ma sento che il Sahaj – ciò che è spontaneo – è la cosa migliore”. “Ma perché senti che ciò che è spontaneo è meglio?” ho chiesto. Poiché non viene proposto alcun metodo, la mente è contenta che tu non abbia niente da fare, e che tu possa avere tutto senza far nulla! E’ per questo che lo Zen è diventato una mania in Occidente, perché lo Zen dice di raggiungere lo scopo senza sforzo; lo sforzo non è necessario. Lo Zen ha ragione: non c’è alcun bisogno di uno sforzo, Ma, ricordati, per raggiungere questo punto di non-sforzo ti sarà necessario un lunghissimo sforzo. Per giungere a un punto in cui non è necessario alcuno sforzo, per giungere a un punto in cui tu possa restare nel no-fare, sarà necessario un lungo sforzo. Ma la conclusione superficiale, data dal fatto che lo Zen dice che non sia necessario alcuno sforzo, è diventata molto attraente in Occidente. Se non è necessario far fatica la mente dice che questa è la cosa giusta, perché puoi farla senza fare nulla. Ma nessuno riesce a farla. Suzuki, che ha divulgato lo Zen in Occidente, ha reso un buon servizio e al tempo stesso un cattivo servizio. E, alla lunga, quello cattivo prevarrà. Era un uomo molto autentico, uno degli uomini più autentici di questo secolo, e lottò tutta la vita per diffondere il messaggio dello Zen in Occidente. E da solo, con il suo unico sforzo, l’ha reso noto; ora è diventato una mania. Ci sono amici dello Zen in tutto l’Occidente: oggigiorno nulla attrae come lo Zen. Ma l’essenziale è stato perso di vista. Lo Zen ha tanto successo perché dice che non è necessario alcun metodo, che non è necessario alcun sforzo. Non devi fare nulla: l’evento fiorisce spontaneamente. E’ giusto, ma tu non sei spontaneo, perciò in te non fiorirà mai. Essere spontanei... Sembra assurdo e contraddittorio perché hai bisogno di molti metodi per essere spontaneo, per purificarti, per renderti innocente, altrimenti non puoi essere spontaneo in nulla. Il Vigyana Bhairava Tantra venne tradotto in inglese da Paul Reps. Reps ha scritto un bellissimo libro, La porta senza porta, e nell’appendice ha incluso il Vigyana Bhairava Tantra. Il suo libro si occupa dello Zen, ma in appendice ha aggiunto anche questi centododici metodi, e li ha definiti uno scritto “pre-Zen”. A molti seguaci dello Zen non piacque perché dissero che secondo lo Zen non è necessario alcun sforzo, alcun metodo, mentre questo libro si occupa solo dello sforzo, solo di metodi. Perciò è “anti-Zen”, non “pre-Zen”. Da un punto di vista superficiale hanno ragione, ma in profondità no, perché per acquisire un essere spontaneo si deve fare un lungo viaggio. Uno dei discepoli di Gurdjieff, Ouspensky, quando qualcuno gli chiedeva qualcosa sulla via era solito dire: “Noi non sappiamo nulla di ciò che riguarda la via. Insegniamo solo dei passi che conducono alla via. La via non ci è nota”. Non crederti già sulla via. Anch’essa è ben lontana. Da dove sei, da questo punto, anche la via è lontana. Perciò prima devi giungervi. Ouspensky era un uomo molto umile, ed è molto difficile essere religiosi ed essere umili, molto, molto difficile, perché una volta che cominci a sentire di sapere, la testa impazzisce. Diceva sempre: “Noi della via non sappiamo nulla.
E’ molto lontana, e per ora non è necessario discuterne”. Ovunque ti trovi, prima devi creare un anello, un piccolo ponte, un cammino che ti conduca alla via. La spontaneità – il sahaj yoga – è molto lontano da te. Là dove ti trovi tu sei totalmente artificiale, educato e colto. Nulla è spontaneo, “nulla, lo sottolineo, è spontaneo. E se nella tua vita nulla è spontaneo, come può esserlo la religione? Se nulla è spontaneo neppure l’amore lo è; persino l’amore è un contratto, un calcolo, uno sforzo. In quel caso nulla può essere spontaneo ed è impossibile esplodere spontaneamente nel cosmo. Nella situazione in cui ti trovi, in quello stato di cose, è impossibile. Come prima cosa dovrai sbarazzarti di tutta la tua artificialità, tutti i tuoi falsi atteggiamenti, tutte le tue colte convenzioni, tutti i tuoi pregiudizi. Solo allora potrà accadere un evento spontaneo. Questi metodi ti aiuteranno ad arrivare a un punto a partire dal quale non è più necessario fare alcunché: il tuo semplice essere è sufficiente. Ma la mente può ingannare, e la mente inganna facilmente, perché in questo modo può consolarsi. Shiva non parla mai di risultati, solo di metodi. Ricordati questa enfasi. Fa qualcosa, in modo che possa esistere un momento in cui nulla sarà necessario, in cui il tuo essere centrale potrà semplicemente dissolversi nel cosmo. Ma lo si deve conseguire. Lo Zen attrae per la ragione sbagliata, e lo stesso vale per Krishnamurti, perché anche lui dice che non è necessario alcuno yoga, non è necessario alcun metodo, non esiste alcun “metodo” di meditazione. Ha ragione. Ha ragione, ma Shiva dice che ci sono questi centododici metodi di meditazione, e anche Shiva ha ragione. Per quanto ti riguarda, Shiva ha più ragione. Se devi scegliere tra Shiva e Krishnamurti, scegli Shiva. Krishnamurti non ti serve a nulla. Per aiutarti posso dirti perfino questo: Krishnamurti sbaglia completamente. Ed è dannoso. Ricorda: anche questo lo dico per aiutarti, perché se segui le sue parole non raggiungerai il sammadhi.
Raggiungerai solo una conclusione: che non è necessario alcun metodo. E questo è pericoloso. Per te il metodi è necessario! Arriva un momento in cui non è più necessario alcun metodo, ma per te quel momento non è ancora giunto. E prima di quel momento è pericoloso sapere qualcosa su ciò che dovrà seguire. Ecco perché Shiva tace: non dice nulla del futuro, di ciò che avverrà. Si accompagna semplicemente a te, a ciò che sei e a ciò che si deve fare con te. Krishnamurti continua a parlare in termini che non puoi comprendere. Se ne sente la logica. La logica è giusta, è bella. Va benissimo che tu riesca a ricordare la logica di Krishnamurti: dice che, se stai praticando qualche metodo, chi è che lo sta praticando? E’ la mente che lo pratica. E come può un metodo praticato dalla mente dissolvere la mente? Non è possibile, anzi, al contrario, la rafforzerà ancora di più; rafforzerà la tua mente ancora di più. Diventerà un condizionamento, sarà falso. Perciò la meditazione è spontanea, tu non puoi fare nulla in merito. Che cosa puoi fare per amare?
Puoi forse praticare un metodo per amare? Se lo pratichi, il tuo amore sa à falso. Accade: non può essere praticato. Se persino l’amore non può essere praticato, come può essere praticata la preghiera? Come può essere praticata la meditazione? La logica è esatta, è assolutamente giusta, ma non per te, perché se continuerai ad ascoltarla, ne sarai condizionato. E coloro che da quarant’anni danno ascolto a Krishnamurti sono le persone più condizionate che io abbia mai incontrato. Dicono che non esiste alcun metodo e, malgrado ciò, sono ancora al punto di partenza. Io dico: “Voi avete capito che non c’è alcun metodo e non praticate alcun metodo, ma la spontaneità è forse fiorita in voi? Loro rispondono: “No!”. E se io dico loro: “Allora praticate un qualche metodo”, immediatamente scatta il loro condizionamento. Replicano: “Non c’è alcun metodo”. Non hanno praticato alcun metodo e il samadhi non è accaduto. E se tu dici loro: “Allora provate qualche metodo”, loro sostengono che non esiste alcun metodo. Così sono in un dilemma: non si sono mossi di un millimetro, perché è stato detto loro qualcosa che non era per loro. E’ come fare educazione sessuale a un bambino. Puoi continuare a insegnare, ma stai dicendo cose che sono ancora senza senso per il bambino. Il tuo insegnamento sarà pericoloso perché stai condizionando la sua mente, e non è questo ciò di cui ha bisogno; la cosa non lo preoccupa. Non conosce il significato del sesso perché le sue ghiandole non funzionano ancora. Il suo corpo non è ancora sessuale. La sua energia non si è ancora mossa biologicamente verso il centro sessuale, e tu gliene stai già parlando. Pensi forse che gli possa venire insegnata qualunque cosa solo perché ha le orecchie? Pensi forse di potergli insegnare qualunque cosa solo perché annuisce? Puoi insegnare, e il tuo insegnamento può diventare pericoloso e nocivo. Per lui il sesso non è materia da indagare. Per lui non è ancora diventato un problema; il bambino non è ancora giunto a quel punto di maturità in cui il sesso diventa importante. Aspetta! Quando comincia a indagare, quando matura e fa domande, allora parlagliene. E non dirgli mai più di quanto non possa capire perché quel di più diventerà un peso sulla sua testa. Lo stesso vale per il fenomeno della meditazione. Ti si possono insegnare solo i metodi, non i risultati. Questo è fare un salto, e fare un salto senza avere un punto d’appoggio nel metodo si riduce a una faccenda cerebrale, a un affare mentale. In questo modo perderai sempre la parte essenziale del metodo. E’ come con i bambini quando fanno aritmetica. Possono sempre tornare al libro e conoscere la risposta. La risposta è lì: alla fine del libro vengono date le risposte. Possono guardare una domanda, poi andare alla fine e sapere la risposta. E una volta che un bambino conosce la risposta è molto difficile per lui imparare il metodo, perché sembra che non sia necessario. Visto che sa già la risposta non ce n’è bisogno. In realtà farà tutto con ordine inverso: arriverà alla risposta attraverso qualunque falso, pseudo-metodo. Conosce l’essenziale, conosce la risposta, perciò può arrivarci semplicemente creando un falso metodo. E lo stesso capita nella religione: sembra che anche nella religione ognuno faccia proprio come i bambini. La risposta non ti fa bene. C’è la domanda, c’è il metodo, e tu devi arrivare alla risposta. Nessun altro dovrebbe dartela. I veri insegnamenti non ti aiutano a conoscere la risposta prima che il processo sia compiuto, ti aiutano semplicemente a passare attraverso il processo. E se anche hai saputo la risposta in qualche modo, o l’hai rubata da qualche parte, diranno che è sbagliata. Potrebbe essere corretta, ma loro diranno: “Questo è sbagliato. Sbarazzatene: non è necessario”. Ti impediranno di conoscere la risposta prima che tu giunga realmente a conoscerla. Questo è il motivo per cui non viene data alcuna risposta. L’amata di Shiva, Devi, gli ha posto delle domande. Lui dà dei semplici metodi. C’è la domanda, c’è il metodo. Sta a te elaborare, vivere la risposta. Perciò ricordati la centratura è il metodo, non il risultato. Il risultato è l’esperienza cosmica, oceanica. A quel punto non c’è più alcun centro.


Osho, Il libro dei segreti

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